L I V E – R E P O R T – D A N Z A


Articolo di Annalisa Fortin

Se vi chiedessero che colore ha la purezza, cosa rispondereste? Probabilmente la maggior parte direbbe il bianco. Un candido e luminoso bianco.
È proprio una sensazione di purezza e di estasi quella che lascia Anima Animus, il balletto che apre lo spettacolo “Dawson/Duato/Kratz/Kylián” in scena in questi giorni al Teatro alla Scala.
Il sipario si alza su un palcoscenico colmo del fulgore di una luce bianca. Lo spettatore, inizialmente destabilizzato da una sorta di vertigine, si ridesta subito, percependo l’armonia e la raffinatezza che pervade l’intero teatro. E ne trae una sensazione benefica, ammaliante. Estasiante.
La musica è di Ezio Bosso, al cui concerto il coreografo David Dawson assistette a San Francisco, nel 2017, con un quaderno che riempì di idee. Ne emerse, dopo un lavoro intenso e frenetico di tre settimane, un capolavoro dall’ampio respiro e di estrema bellezza.
La conformazione della melodia, la complessità dei contrattempi, la frammentarietà della retrospezione immortalata in bellissimi effetti di controluce, mettono in risalto le esili forme di danzatrici che sembrano meravigliose libellule. Il quadro, dalla grande forza poetica, è arricchito dall’armonia degli interpreti maschili, splendidi e capaci partner nelle numerose prese previste dalla coreografia. Un lavoro delicato, virtuoso, umano e musicale. Quasi a ricalcare quanto scriveva lo stesso Bosso:“Mentre scrivo penso ancora e ancora a ciò che rimane e realizzo… che le registrazioni, i dischi, sono proprio una delle cose che restano. Spesso ciò che resta del suono, dell’idea, del tocco e soprattutto di un momento preciso della vita di un musicista, sono quelle fotografie.”

Il secondo atto dello spettacolo prevede un pezzo intimo, delicato, introspettivo. Una fusione di musica, linee, corpi e luce. È Remanso di Nacho Duato a catalizzare il pubblico questa volta, con la musica di Enrique Granados, magistralmente suonata dal vivo al pianoforte da Takahiro Yoshikawa. La creazione dalla gestualità espressiva e aperta, richiama lo stile di Maurice Béjart, con cui Duato si è formato, conservandone la grande libertà d’invenzione e al contempo una rigorosa precisione del gesto. Proprio la precisione è una nota di merito dei tre interpreti Nicola Del Freo, Mattia Semperboni e niente meno che Roberto Bolle. Lodare l’étoile di fama mondiale può sembrare superfluo, ma vanno riconosciute una allure e una tecnica impareggiabili. Il pubblico lo ha omaggiato, estasiato, con un lunghissimo applauso al termine dell’esibizione, senza dimenticare però di lodare Del Freo e Semperboni, che hanno saputo calcare la scena controllando movimenti, intensità ed emozione, dosandoli con maestria, facendo risaltare l’eleganza che caratterizza la piece. Remanso risulta infatti un delizioso piccolo balletto in un atto, ove esplode il semplice piacere di danzare e di condivisione in un intenso clima poetico. Un’opera cesellata su ballerini che appaiono di volta in volta fragili o atletici, teneri o ludici. Tutto sembra spontaneo in questa triade, come se la danza fluisse dai corpi senza sforzo.

Nel corso degli anni, il Corpo di Ballo della Scala, oggi diretto da Manuel Legris, ha avuto la fortuna, grazie a lungimiranti direttori, di farsi confezionare su misura diverse coreografie. Non c’è dubbio che il vivere l’atto creativo nel suo “farsi” consenta ai ballerini di coglierne tutta la profondità e complessità. Così è stato per Solitude Sometimes, nuova creazione firmata da Philippe Kratz, su musica di Thom Yorke e dei Radiohead. Il linguaggio astratto, minimalista ma emozionale e denso, del giovane coreografo ha coinvolto i danzatori in un’opera che usa lo spazio come metafora di un percorso di resistenza verso una possibile rigenerazione giocata sul loop della musica elettronica. Una scenografia di Led suggerisce un aldilà digitale. Quattordici danzatori, cui uno solo non esce mai di scena (il talentuoso Navrin Turnbull), con vestiti chiari e a tratti ricoperti di squame, sono gli interpreti di un viaggio ciclico che si snoda davanti al pubblico in un fluire perenne, che scorre da destra a sinistra, scomparendo agli occhi dello spettatore dietro al fondale, per poi ricomparire da destra in continue forme diverse. Kratz mette in scena il “nuovo” in perfetta sintonia con il valore etico del luogo in cui si trova e lo manifesta nelle sue parole:“È un grande onore lavorare nelle sale ballo di un teatro storico come la Scala. Inevitabilmente penso al passato e alle persone che hanno attraversato questi spazi, che li hanno segnati e resi posti emblematici della cultura coreutica. E altrettanto penso al futuro, alle idee, le estetiche e le sensibilità che si vogliono presentare e proclamare d’ora in avanti, penso al grande valore etico di questa forma d’arte in cui il corpo umano si espone con tutta la sua forza e fragilità. Sono immensamente grato al maestro Legris di aver invitato me, coreografo emergente, a lavorare con la sua meravigliosa Compagnia. In sala c’è stato uno scambio sia artistico che umano, ho trovato delle persone di grande sensibilità e curiosità.”
I danzatori hanno dato prova di una versatilità che a volte non viene riconosciuta a chi compie studi altamente accademici e classici, dimostrando di essere pronti ad affrontare anche un gesto completamente nuovo e complesso senza esitazione, cimentandosi nella sfida più difficile richiesta ad un danzatore dalla forte tecnica classica: ripartire da zero, senza rinnegare la propria preparazione ma usandola come strumento di consapevolezza che facilita e agevola.

La storia del Corpo di Ballo al Teatro alla Scala è poco più breve di quella del Teatro stesso e si è intrecciata per oltre due secoli con la storia mondiale della danza. La Compagnia, dalle radici profonde, ha sempre saputo essere al passo con i tempi, soprattutto nei recenti sviluppi. Ha cambiato volto grazie agli ultimi concorsi che hanno completato i ranghi del gruppo, rendendolo stabile e coeso e che sono stati il punto di partenza per un rilancio che ha toccato la disciplina collettiva, quanto la consapevolezza dei singoli ballerini.
Altro stile destabilizzante e innovativo, che ha caratterizzato l’ultimo atto portato in scena al Piermarini, è stato quello di Jirì Kylián. Bella Figura ha impegnato la Compagnia in un serrato dialogo lirico tra melodia e corpi. Questa magnifica creazione risale al 1995 e coinvolge la modernità delle musiche barocche più avvolgenti. Grandi gonne rosse e delicati torsi nudi unisex dei ballerini caratterizzano questo capolavoro che esprime, già dal titolo, l’idea di ben comparire, mostrare il volto migliore. Il che vale per ognuno nella vita, ma anche e sempre per i danzatori di fronte al pubblico, qualunque sia il loro stato d’animo del momento. È questo il senso chiave del titolo secondo quanto dichiarato da Kylián stesso, sviluppando il nucleo concettuale in un pezzo breve, di bellezza commovente, quella bellezza vissuta (e magistralmente interpretata) come necessità di contrasto al dolore e alla bruttura della realtà in cui siamo immersi.

Il Corpo di Ballo scaligero ha avuto diversi e prestigiosi riconoscimenti, per i singoli artisti come per l’insieme della Compagnia. Il più importante rimane quello del pubblico che riempie la sala, fa il tifo per i suoi interpreti preferiti, partecipa e commenta. Un pubblico sempre più giovane, ma anche più competente oltre che appassionato. A dimostrazione di ciò l’aumento delle rappresentazioni di balletto nella stagione 2022/23, un segnale decisamente confortante, in un periodo storico in cui l’artigianalità di un’arte che richiede moltissimo tempo e dedizione sembra non avere speranza davanti ad una civiltà sempre più veloce e tecnologica. Invece una coesistenza può esistere. Può resistere. E bene.

Photo Credit © Brescia e Amisano