R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

È da un po’ che facevo la posta a questo disco, Where you Wish you Were del duo Laurance- League. Innanzitutto per la copertina dell’album – finalmente qualcosa di decoroso nel tristo panorama grafico della ACT – e poi naturalmente per l’interessante accoppiata del duo proveniente dagli Snarky Puppy, il pianista Bill Laurance e il polistrumentista e bassista Michael League. Ma al di là dell’ovvio riconoscimento della caratura tecnica di questi musicisti e della loro indubbia capacità creativa, il mio svalvolato cuore Byrdsiano ha battuto ritmi più felici quando Laurance prima e League poi hanno collaborato con David Crosby, chiudendo un cerchio generazionale originatosi alla fine dei ’60 e conclusosi qualche settimana fa, con la morte dello stesso. Quindi una serie di buone motivazioni che mi hanno indotto a prestare la dovuta attenzione a questa particolare miscellanea di suoni, visto che accanto al pianoforte s’alternano i diversi strumenti utilizzati da League e cioè alcuni cordofoni tradizionali come l’oud e lo ngoni originario del Mali, più la chitarra acustica e l’elettrica baritono entrambe fretless, cioè senza la tastiera segnata dalle usuali traversine metalliche. Naturalmente anche il basso elettrico, lo strumento d’elezione all’interno dell’economia S.P, compare nella dotazione di League che dimostra una capacità di adattamento al climadi ogni strumento invidiabile. Sebbene egli ammetta di avere un approccio con l’oud più istintivo che tecnico, uno stile rimastogli impresso forse dai ricordi delle origini greche della sua famiglia, il risultato ottenuto non perde un grammo di quella modesta nudità essenziale che lo oud possiede per natura. Così come la dimensione evocativa che rimanda giocoforza ad immagini paesaggistiche medio-orientali che ben si sposano con gli altopiani spirituali raggiunti dal pianoforte. La relativa povertà strumentale a cui la coppia di Autori si è qui consacrata è cosa molto diversa dalla usuale e coinvolgente baraonda strumentale degli Snarky Puppy e la capacità di raggiungere i momenti lirici e rarefatti che ritroviamo in questo album è, a mio parere, resa possibile anche per il duraturo rapporto d’amicizia che lega i due strumentisti, datato addirittura prima del 2006, anno della pubblicazione dello primo disco degli stessi Puppies. La capacità di entrare in risonanza emotiva l’uno con l’altro crea un sospeso, caldo magnetismo che si espande all’ascoltatore avvolgendolo come un soffio d’aria vibrante. Le composizioni si svolgono in una misura essenziale, con linee melodiche addolcite ben al di qua dell’instabile confine della contemporaneità, anzi, a ben vedere questa è una musica che aggira il Tempo e si cala in uno spazio senza memoria geografica, al di là di ogni moda e tendenza.

Si entra subito nel cuore visionario dell’album con il primo brano, La Marinada. Il piano traccia il percorso da seguire, una strada assai melodica che si snoda tra l’ombra di un flamenco e una veduta panoramica di dune sabbiose. Ed è subito lo oud a declinare il suo fraseggio con vulnerabile immediatezza e malinconia, una voce simil-umana che sembra somigliare a un canto solitario. Meeting of the Mind inizia con un paio di decise pennellate sullo oud con accordi molto aperti, un incipit che ricorda John Fahey e il suo raga sound all’americana. Il piano di Laurance un po’ si allontana da questo clima, vuoi per l’intrinseca sonorità del suo strumento – storicamente il più occidentale che ci sia – ma anche per l’intenzione dello stesso pianista che pare voler mantenere una certa, equilibrata distanza dall’inflessione filo-indiana a cui League sembra voler indirizzarsi. Round-House si discosta dalle atmosfere fin qui innescate inerpicandosi su uno stretto 2/4, quasi ossessivo, assomigliando a una danza un po’ bislacca in cui basso e pianoforte s’inseguono in una improvvisazione molto più jazzata rispetto al contesto dei brani fin qui ascoltati. Tutto si mantiene in ambito assolutamente tonale, anche nei momenti in cui i due strumenti si lanciano nei loro assoli. Una traccia nel complesso parzialmente straniante ma pur sempre divertente. Sant Esteve si rituffa nella situazione di lucentezza emotiva che era stata inizialmente impostata dal duo con una lunga cavalcata modale su un’unica nota come bordone, attorno a cui girano gli accordi di piano che per un certo momento si sovrappongono a quelli dello oud. Laurance cerca di spremere un po’ di blues dalla sua tastiera, stando ben attento a non prevaricare l’autonomia di League, tema che peraltro verrà rigorosamente rispettato lungo tutta la sequenza dei brani. Il pezzo finisce sfumando in una serie di curiosi rintocchi di campane lontane, udibili soltanto se si è soliti trastullarsi con impianti audio di una certa levatura… Kin, di estrema dolcezza, immerso in una poetica di rimembranze, parte da un suono levigato di piano e viene magistralmente sorretto da League che, mantenendo il costante tenore nostalgico del brano, si palesa in uno dei più coinvolgenti, pregnanti e tecnici assoli di basso che abbia mai ascoltato da molti anni. Ma è tutta la composizione – di Laurence – ad essere molto bella con alcuni momenti sublimi, dimostrando l’alto livello ispirativo e creativo di questo duo di Autori. Da notare anche l’assolo di piano con alcuni momenti evansiani e un finale costruito con una progressione di accordi ascendenti che mandano in trance estatica chiunque lo ascolti. Tricks conosce un riff di basso insistente e inizialmente bradicardico sul quale attacca il piano con una sequenza che ricorda le Gnossienes di Erik Satie. Qualche riverbero elettronico che compare a tratti fino a quando il piano si schioda dall’iniziale teatro d’ombre del primo novecento dove si era rifugiato e attacca un ritmato impulso jazzy, sorretto dall’aumentata velocità del basso quasi funky.

Anthem for a Tiny Nation, una sorta di canzone senza parole, sembra voler declamare il senso di spazio silenzioso e di solitudine quasi mistica che l’oud, con il suo suono portato dal vento e dalla memoria, fa risuonare nel profondo dell’animo. Il pianoforte segue qualche nota, rinforzando la melodia delle corde sfregate da League, sulle quali il lento scivolare delle dita produce suoni che sembrano cinguettii di uccelli, dispersi in un arabo Chahar Bagh. È il momento dello ngoni, in Ngoni Baby, uno strumento a corde africano che trovo somigliante alla kora ma che ricorda anche lo shamisen giapponese. In questa occasione League si sfoga sovrapponendo in multi-incisione diversi suoi strumenti a corda, mentre Laurance fa le veci del basso sollecitando la parte grave della tastiera del piano. Bricks cerca un ritmo più serrato, con chitarra ritmica a cui la mano destra di League stoppa le corde per simulare una parvenza percussiva. Anche in questo caso c’è qualche sovraincisione. Il brano è un curioso incrocio tra un rock tuaregh e una forma di jazz in stile Pat Metheny – periodo Orchestrion. Where you Wish you Were è la title track a cui viene riservato poco spazio – meno di un minuto e mezzo – per essere significante ai fini riassuntivi dell’album. Ma forse questo compito viene riservato alla conclusiva Duo che in una prosa cristallina e malinconica ottiene un condensato di quelle idee che sono via via apparse nella musica dei due Autori. Un’agrodolce serenata condita con un pizzico di autoindulgenza che nulla di nuovo aggiunge, se non l’ultima, sfuggente sensazione di bellezza.

Questa musica sembra il romanzo di formazione di due musicisti che paiono affacciarsi ad un lato nuovo rispetto allo stile che hanno fin qui praticato. Mi piacerebbe illudermi che la collaborazione con Crosby abbia spinto i loro fantasmi ad uscire allo scoperto. Non certo per tradire il loro passato né il gratificante presente con Snarky Puppy, ma per crearsi una seconda via, portando all’estremo quel linguaggio già agnostico di per sé che li caratterizza, in duo o in gruppo. Del resto, il consenso quasi trasversale di pubblico e di critica che li riguarda potrebbe non essere un ostacolo a qualche nuova ipotesi escapistica. Laurance e League hanno dalla loro parte una fraseologia chiara, addolcita da una sana capacità di melodizzare e dalla reciproca, empatica comprensione emotiva. E del resto – lo titolano loro stessi – dove mai avrebbero voluto essere, se non fianco a fianco in un disco come questo?

Tracklist:
01. La Marinada (2:36)
02. Meeting of the Mind (3:26)
03. Round House (5:12)
04. Sant Esteve (3:31)
05. Kin (6:44)
06. Tricks (4:47)
07. Anthem for a Tiny Nation (2:28)
08. Ngoni Baby (2:25)
09. Bricks (4:29)
10. Where You Wish You Were (1:35)
11. Duo (4:15)

Photo © Txus Garcia