R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
“Ma questo non è vero jazz!”, direbbe qualcuno. Al che cercherei di controbattere chiedendo lumi su cosa mai s’intenda con una locuzione come questa. Son sicuro che non potrei ricevere alcuna risposta specifica a riguardo, al di là di vaghe impressioni e altrettanto fumose delucidazioni. L’Arte muta col Tempo e spesso si presenta diversamente da come vorremmo che fosse. Prendiamo come esempio la violinista friulana Ludovica Burtone. Il suo curriculum professionale ci racconta come abbia iniziato partendo dal Conservatorio di Udine, quindi impostandosi con studi classici. Poi, però, dopo un’esperienza spagnola in cui si cominciano a manifestare i primi sintomi di curiosità verso altri generi musicali, la Burtone viene via via sempre più attratta dalla musica jazz fino a recarsi negli USA per frequentare la famosa Berklee di Boston ed infine per trasferirsi in pianta stabile a New York. Semmai, la vera domanda, sarebbe quella di conoscere le motivazioni per cui un sempre maggior numero di musicisti italiani si trasferisca nel Nord Europa o negli States per dare l’abbrivio alla propria carriera artistica… Comunque, tornando alla Burtone e alla musica contenuta nel suo lavoro d’esordio, Sparks, c’è da dire che si tratta di un’esperienza che raccoglie influenze molto diversificate tra loro che l’Autrice cerca di amalgamare arricchendole di qualche penombra malinconica ma anche di improvvisi fuochi di serena gioia di vivere, riuscendo ad evitare qualsiasi eventuale clichè che ci si potrebbe aspettare tra tutte le istanze coinvolte. Queste ultime sono parecchie, in effetti. Oltre a musica d’indubbia matrice classica – il quartetto per archi è al centro di ogni orbita planetaria – e alla musica brasiliana ma più in generale sudamericana che ha sempre attratto l’indole e la professionalità della Burtone, ritroviamo brevi scampoli di musica cameristica contemporanea, momenti più mediterranei, persino suggestioni di colonne sonore cinematografiche, nonché aspetti di modernissimo jazz.

Insomma, il panorama è vasto e si perde all’orizzonte, passando dalle influenze di Egberto Gismondi alle inquietudini tanghere di Piazzolla, dal sax contemporaneo di Melissa Aldana che in questo frangente la si ritrova come collaboratrice – consultate, se volete, una sua precedente recensione proprio qui – a rimembranze del Piero Piccioni anni’60, fino ad inserti di world-music, oltre che sudamericani, anche genericamente mediterranei. È indubbio che questa musica eserciti una sorta di seduzione ludica, come si trattasse di un gioco in cui una serie di elementi fluidi e di colori diversi si mescolassero dando luogo ad una soluzione comunque omogenea. Un orientamento di questo tipo pone in secondo piano l’attenzione verso l’indubbia matematica strutturale dei brani, coinvolgendo l’ascoltatore in una continua ondulazione di rimandi e attraendolo con alcuni istanti di autentica prelibatezza timbrica. La Burtone, in questo Sparks, si è organizzata in un quartetto d’archi che, oltre al suo violino, comprende quello di Fung Chern Hwei, la viola di Leonor Falcon Pasquali, il violoncello di Mariel Roberts. Attorno a questo ensemble si muovono la bravissima pianista spagnola Marta Sanchez, Matt Aronoff al contrabbasso e Nathan Elmann-Bell alla batteria. In più compaiono collaborazioni aggiuntive di altri musicisti che nomineremo strada facendo.
Blazing Sun è il brano apripista. Un battito monocromatico di contrabbasso viene seguito da una breve sequenza di note del piano su cui il violino imposta il suo tema, ben presto raggiunto dalla comparsa degli altri archi e da qualche intermezzo pianistico. Una sequenza di pieni e di vuoti anticipa l’assolo della Sanchez, con quel suo modo di suonare fantasioso, chiaro, dalle note molto intervallate tra loro che si espandono a ventaglio nell’atmosfera del pezzo. L’assolo della Burtone che segue, ben contrappuntato dagli altri archi e in modo particolare dal violoncello, trattiene il senso di questa musica in un ambito di melodica indolenza. Questo almeno fino al minuto 4′ e 30” circa, dove una serie di ciclici pizzicati sembrano mutare la direzione del brano, investendovi delle moderne suggestioni brasiliane. Ed è qui che le mie sensazioni mi portano a Gismondi. Bell’inizio, bisogna dirlo, assemblato con ricchezza di sfumature timbriche e tinte vivaci. Sinha, o meglio Sinhà come appare nel disco Chico (2011) di Chico Barque e del chitarrista Joao Basco è il rifacimento dell’omonimo brano dei due grandi artisti brasiliani. La traccia originale è strutturata sul lavoro di due chitarre acustiche ma qui, ovviamente, sono gli archi a prendere le direttive, mantenendo comunque l’apporto di una chitarra suonata da Leandro Pellegrino – che infila un bell’assolo dal minuto 5′ e 09” – e includendo le raggianti percussioni di Rogerio Boccato. La melodia, nel suo aspetto globale, viene abbondantemente rispettata e il brano corre spedito e ben arrangiato, al di là di un momentaneo abbandono simil caotico che dura circa trenta secondi – un po’ troppi a mio parere – per poi riallacciarsi al tema principale. Altrove è un melodicissimo pezzo cantato in modo carezzevole dalla voce soprano di Sami Steven, attraversando diversi registri dalla morbidezza delle note più basse fino alle limpide altezze di quelle più estreme. Questo brano mi ha ricordato certi soundtrack di film italiani degli anni ’60, più vicino alle melodie create ai tempi da un grande compositore come fu appunto Piccioni. L’assolo di violino della Burtone è veramente nobile, come altrettanto lo è quello al piano della Sanchez, una pianista di grandissimo valore che qui si dimostra al pieno della sua arte, con quel tipico tocco gentile disegnato dai suoi sensuali cromatismi.

Dopo i momenti di apollinea tranquillità di Altrove, ci pensa il sax più dionisiaco della cilena Aldana a provocare in Awakening un risveglio certamente non traumatico che però sposta l’asse dell’album verso prospettive decisamente più jazz. E qui, sax, piano, contrabbasso e batteria si muovono in una sorta di quartetto alternativo, alzando l’alcoolemia verso interessanti livelli di guardia, nonostante l’intervento degli archi cerchi in qualche modo un compromesso improntando un insieme sonoro che rimanda a certe costruzioni cameristiche di matrice sudamericana. Stelutis è ispirato ad un canto che fa spesso parte del repertorio corale alpino, Stelutis Alpinis, che ovviamente si riferisce al fiore superprotetto delle nostre montagne. Questo brano è un ottimo esempio d’ibridazione tra un quartetto cameristico d’archi e un jazz moderno mediato dal violino, con vari intermezzi ritmici ed un ottimo lavoro del duo batteria-contrabbasso che riesce a mantenersi sul filo della discrezione nonostante i crescendo sonori, grazie anche all’addolcimento rasserenante del pianoforte. La traccia è una delle più interessanti della raccolta perchè piena di stimoli differenti, alcuni immersi in ambiente puramente melodico, altri più proiettati verso un’idea dissonante, ma il clima è sempre piuttosto divampante e mutevole. Con Incontri ci avviciniamo ad un orizzonte di eventi che riportano in qualche misura ai tanghi argentini ma con una componente jazz piuttosto marcata in cui si avverte la suggestione di Astor Piazzolla. Finalmente si riesce ad ascoltare un buon assolo di contrabbasso di Aronoff, finora rimasto un po’ in secondo piano. Alla batteria c’è il contributo di Roberto Giaquinto. Nonostante tutto il brano risulti forse un po’ discontinuo, gli archi che partono in solitudine dal minuto 6′ e 20” sono di conturbante bellezza e rimandano tutta la loro componente d’impostazione classica, con una geometria cameristica post-romantica. Il finale quasi esplosivo chiude in modalità tanghera. Un po’ troppe cose, probabilmente, in un unico brano.
C’è tanta voglia di fare, in questo Sparks e molta inventiva. Anche se a volte la quantità d’idee che circola in questo album pare freneticamente affollarsi verso corridoi stretti. Ma certamente quello che riesce a passare e ad essere sviluppato dimostra la più che buona capacità di fusione tra stili e indirizzi così eterogenei. La Burtone non esercita un sacerdozio esclusivo nell’ambito del jazz e questo è sicuramente un bene per l’idea progettuale dell’Autrice. La sua musica arriva facilmente al punto di ebollizione ma anche avvicinandosi al crinale non rischia mai la disarticolazione. Inoltre le ideazioni qui proposte sgorgano fluide e veementi, anche se un po’ più di sottrazione non avrebbe guastato. Quasi superfluo sottolineare l’alto livello tecnico e strumentale di tutti i partecipanti.
Tracklist:
01. Blazing Sun (6:30)
02. Sinha (8:34)
03. Altrove (5:27)
04. Awakening (feat. Melissa Aldana) (6:11)
05. Stelutis (5:52)
06. Incontri (11:58)
Photo © Alex Duvall
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