R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nonostante Lorenzo Bisogno sia appena trentenne, la sua prova d’esordio con questo Open Spaces dimostra una maturità quasi disarmante. Sembra di ascoltare un pacato reportage di musica jazz di questi ultimi quarant’anni, un lavoro a spazi aperti, assai legato ad una tradizione in progress, cioè ancorata alle voci strumentali dei grandi maestri ma con quegli apporti contemporanei che rendono attuabile, nella propria coerenza, la realizzazione di un lavoro come questo. Il sax tenore di Bisogno, melodico e lineare, non si perde ad inseguire evoluzioni troppo avanguardiste ma tende a mantenere una sonorità tranquilla e smaliziata e partecipa a ciò che si potrebbe chiamare redenzione della normalità, cioè il recupero di uno stato di equilibrio formale al netto di ogni eccesso. Si tratta della salvaguardia del concetto di misura, cioè la capacità di creare una musica sufficientemente comprensibile all’ascolto, senza essere per questo mai banale o troppo compiacente. Direi sulla falsariga di uno stile modello SteepleChase records, l’etichetta discografica danese che dagli anni ’70 propone un jazz, spesso denigratoriamente definito come mainstream ma che in realtà propone una musica riconoscibile, un jazz dal gusto urbano, spesso di qualità stellare come questo album di Bisogno. Riconosciamo in Open Spaces parte di quella liturgia newyorkese che ha influenzato le composizioni di questo disco, grazie al prolungato soggiorno nella Grande Mela dell’Autore che, venendo a contatto con musicisti come ad esempio i sassofonisti Tim Armacost e Antonio Hart, il trombettista Michael Mossman e il pianista Jeb Patton, ha potuto assimilarne lo spirito oltre alla naturale influenza musicale.

Riconoscere dei riferimenti storici precisi, per questo sassofonista, non è impresa facile e si corre il rischio di incappare nelle classiche topiche dovute all’azzardo di far nomi a tutti i costi ma mi sembra di aver individuato, nel suono di Bisogno, qualche aspetto timbrico vicino a Lee Konitz o anche a Coltrane. Il jazz che si ascolta in questo disco è rigorosamente tonale, con continue modulazioni, cambiamenti di ritmo e di mood, buoni e misurati assoli che i musicisti di questo quartetto affrontano con ottima padronanza tecnica ma senza eccedere in virtuosismi, rimanendo in uno stato di fluido, misurato e reciproco colloquio. Quindi pochi sconfinamenti in ambiti dissonanti né momenti di compiaciuta confusione, bensì un ordine ed una pulizia sonora che sembra a tratti evocare atmosfere fuori dal Tempo. Accanto al sax di Bisogno, dunque, troviamo Manuel Magrini al pianoforte, Pietro Paris al contrabbasso e Lorenzo Brilli alla batteria, con l’ospitata di Massimo Morganti al trombone. I brani che seguono sono in massima parte composizioni dello stesso Bisogno, tranne due tracce come 317 East 32nd Street di Lennie Tristano e The Moontrane di Woody Shaw.

Time to Find Out è il brano di apertura che s’annuncia con una rullata in crescendo di batteria prima dell’ingresso degli altri strumenti. Ma l’aspetto insolito è che questa traccia si presenta come una ballad, lenta e sinuosa, posta proprio alla testa dell’album, dove di solito si posizionano pezzi più mossi, secondo un rodato canovaccio che inserisce il momento più moderato solitamente in terza o quarta posizione. Il sax molto caldo di Bisogno ha un delicato sapore un po’ retrò e si spinge in una rassicurante atmosfera da jazz club giocando sui toni morbidi dell’accompagnamento, uno swing tranquillo e meditativo che dopo l’esposizione tematica apre la via a un soddisfacente assolo di contrabbasso, tutto avvolgente e vellutato. Lo accompagnano una serie di stretti cromatismi di piano a scandire i tempi e a precedere un ulteriore assolo, questa volta di sax, che agisce con il suo fraseggio sciolto e quasi ovattato. Ottima la brillante policromia percussiva della batteria. Open Spaces è forse il brano più coltraniano della sequenza dove la massa d’aria sonora che esce dal sax ha bisogno di prendere distanze e larghe geometrie piane per espandersi tutt’attorno. A corona dello strumento di Bisogno troviamo un gran lavoro della ritmica e del piano di Magrini, tanto che l’insieme strumentale ci offre una dimostrazione di cosa sia un interplay con i giusti attributi. Il sax vive di tonalità interiorizzate, in costante colloquio con il pianoforte che si prende un piccolo spazio in solitudine. La musica cresce dilatandosi e giocando di botta e risposta continua tra sax e piano. La sintassi è raffinata, tutta giocata sulla moderazione e levigatezza delle timbriche. Arriviamo quindi alla urbana e notturna visione della 317 East 32ndstreet opera di un pianista tra i più sottovalutati della storia del pianismo jazz, quel Lennie Tristano dall’anima gentile, spesso ingiustamente sovrastato nel ricordo da altri strumentisti meno significativi di lui. Il brano fu composto nel 1950 come contrafact di uno standard di Green & Heyman, Out of Nowhere degli anni ’30, e compare nel Live in Toronto del Lennie Tristano Quintet (1952). Un perfetto be-bop con un tema eseguito all’unisono dal sax e dal trombone di Morganti che si lancia in un’avvincente assolo subito dopo l’esposizione della linea melodica principale. A questo segue un giro di pianoforte eseguito con grande senso dello swing e di quei tempi sincopati che hanno fatto la storia del bop. Direi che l’assoluta bellezza e l’indubbia fascinazione di questo brano, con quei toni vitali che conservano ancora in parte l’ardore iconoclasta degli anni ’40 e ’50, si stempera in un suono appena più levigato e delicatamente frastagliato dal gioco ritmico di batteria e contrabbasso.

Searching for the Next sembra presentarsi inizialmente come una ballad elegantemente gestita da un contrappunto di trombone e sax. Poi, però, la direzione muta con l’aumento delle dinamiche e dei volumi sonori ma tutto si riaccosta momentaneamente alla calma con un assolo di contrabbasso, precedendo un’escursione di fiati ricca di sfumature più newyorkesi – infatti il brano è stato composto durante la permanenza di Bisogno in quella città – che porta più nerbo e consistenza all’intera struttura. Questo pezzo, in effetti, si discosta un po’ dall’indole degli altri ascoltati finora, data la sua natura maggiormente progressista. Però, subito dopo, ben gli si accosta Groovy, il brano più fresco e vitale dell’intero album. Inizia quasi sommessamente con l’archetto che gratta le corde del contrabbasso. Poi, una sequenza di accordi di piano sui cui scatta la ritmica, volge la lettura verso una complessa linea melodica, a metà tra funky e suggestioni che si muovono tra Ellington e Wynton Marsalis. Arpeggi di piano, stretti colloqui tra i fiati e un bel friggere di piatti di batteria, avvitata su tempi ben scanditi. Cicli Solari si presenta con una disinvolta, materica punteggiatura percussiva e un’introduzione affidata al pianoforte. Il sax di Bisogno si avventura in elementi di coraggioso fraseggio, il gruppo esprime energia circolare e l’esuberanza dei toni contagia anche il pianista che a trequarti della lunghezza del brano si lancia in un assolo decisamente fuori dal comune e con alcune dissonanze in più rispetto al suo standard. Compare qualche momento, incredibile dictu, di tentazioni free da parte di tutti gli strumentisti. Una piccola tempesta solare, quindi, in una contenuta ma evidente esplosione di energia. Cicli Lunari, come prevedibile, abbassa la luminosità generale facendo zittire la batteria ed uscendo dall’onda gravitazionale terrestre nel cercare l’avvicinamento al satellite mediante un discorso a tre con pianoforte, sax e trombone. Inizialmente il discorso resta in un ambito duale tra piano e sax ma in seguito, con il subentro del trombone, si va a realizzare prima uno straniante assolo di Magrini e poi un buon passo all’unisono dei due fiati. Arriviamo così all’ultima traccia dell’album, The Moontrane, composta e realizzata dal trombettista Woody Shaw e presente nel suo omonimo album del 1974. Esplosione be-bop giusto nel finale. Un accordo ostinato di piano prelude all’esposizione del tema, incalzante e serrato come si conviene, con un bel walking bass che percorre indefesso tutto il brano, mentre si scatenano in assolo prima il sax, poi il trombone ed infine il piano.

L’album sembra diviso in due parti, con i primi quattro brani più moderati e tradizionali e i rimanenti che invece imboccano una strada assai più contemporanea. Il gruppo si muove a bassa entropia, non c’è dispersione energetica e la pronuncia jazz si fa spesso turgida ma mai convulsa. Il traffico di idee è notevole e la bussola che evita lo smarrimento sta tutta nel rigore formale con cui Bisogno & C. affrontano la sequenza dei pezzi. Un esordio da incorniciare ed un decisivo, ben augurante viatico per il futuro.

Tracklist:
01. Time to Find Out (07:28)
02. Open Spaces (05:59)
03. 317 East 32nd Street (05:29)
04. Searching for the Next (07:11)
05. Groovy (06:01)
06. Cicli Solari (05:54)
07. Cicli Lunari (06:34)
08. The Moontrane (05:41)