R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Lascia nella mente un’impressione di misurata stravaganza, il nuovo album degli australiani Trichotomy. Con un titolo quasi sdegnosamente aristocratico come To Vanish, svanire, questo gruppo sembra mettersi fuori tiro dagli occhi spesso indiscreti di chi vorrebbe radiografarne l’essenza, auscultarne il cuore e misurare il battito del ritmo interiore. Le melodie create, all’origine deliziosamente new age, finiscono per essere avvolte dall’elettronica e dalla componente ritmica, qualità forse assorbite proprio da una band collocata dall’altra parte del mondo, i sempre molto nominati E.S.T. Ma se questi ultimi avevano comunque ben delineato nella mente il tracciante luminoso del jazz, musica che hanno poi saputo espandere in diverse nuove direzioni, i Trichotomy si presentano con ben altri pensieri e orientamenti. Utilizzando l’efficacia immediata di un ossimoro, definirei il loro stile come un minimalismo bulimico, cioè la ricerca di un’atmosfera diradata – vanished, appunto – ma nel contempo allargata all’ìnclusione di tutta una serie di programmati inciampi ritmici, volute melodiche di stampo classicheggiante, utilizzo di strumenti di contesto anomalo come ad esempio una pedal steel guitar o la comparsa di un fagotto e naturalmente l’elettronica, utilizzata con criteri sistemizzati soprattutto in fase di post-produzione. Nondimeno una certa suggestione retrò ci riporta alle fotografie dei paesaggi new-age di una serie di eccellenze pianistiche degli ’80-90, da George Winston a Philip Aaberg, da Michael Jones a Liz Story fino a gruppi come gli Shadowfax, minando però le basi delle loro atmosfere rassicuranti con un impegno ritmico di tutto rispetto ed una serie di risoluzioni armoniche più moderne e svuotate dagli eccessi romantici dell’epoca. Il risultato complessivo del loro suono li tiene lontani dalla sperimentazione in quanto tale e anche ad una certa distanza concettuale dal jazz da cui assorbono solo qualche misura estetica, rimanendo comunque nelle vicinanze di quel naturalismo melodico di cui ho dato qualche riferimento poco sopra. I Trichotomy – con i nomi non ci azzeccano molto, dato che un tempo si facevano chiamare Misinterprotato – proseguono la loro carriera musicale da oltre un ventennio, essendosi formati nel 1999.

Dopo la pubblicazione nazionale dei loro primi due dischi, il gruppo trova un utile passaggio sulla nave della NAIM, azienda nota maggiormente nelle produzioni di impianti audio Hi End, piuttosto che nell’editing discografico, quest’ultimo sempre molto selezionato più per la qualità sonora che non per il valore musicale intrinseco. Ad ogni buon conto, l’approdo all’etichetta britannica garantisce visibilità internazionale al gruppo, almeno inizialmente, quel tanto che basta per farli giungere con le proprie gambe a quella che è la loro ottava uscita discografica, sei anni dopo il precedente Know/Unknow. La formazione, di base triangolare, vede Sean Foran al pianoforte, alle tastiere e all’elettronica, John Parker alla batteria, percussioni ed effetti elettronici e Samuel Vincent, che ha sostituito Pat Marchisella – già ai tempi di Known/Unknow – al contrabbasso e naturalmente agli immancabili sovrappiù elettronici. Ospiti in questo album troviamo Danny Widdicombe alla steel guitar – che ha già in precedenza collaborato con i Trichotomy nell’album a proprio nome Between The Lines del 2019 – Nicole Tait al fagotto – moglie del batterista Parker – e infine Thomas Greene alle tastiere aggiunte. To Vanish si mantiene a distanza da eccessi didascalici, racconta di una musica piena più di intense luci che non di mezze tinte – mi hanno ricordato i norvegesi dell’Eyolf Dale Trio – con poche ombre e qualche suggestione impressionistica. Lo stile è un po’ girovago, nonostante il riflesso della new-age sia sempre presente, apparentemente solo sbirciato dallo specchietto retrovisore della memoria.

Il primo brano che incontriamo è Forward Motion, introdotto da una sequenza di note smorzate di piano e dagli echi di una splendida steel guitar tra le quinte che colora il pezzo di spazi desertici, aggiungendo ancor più aria di quanto già non ve ne sia. La ritmica s’infila quasi subito tra il piano e la chitarra, così pure gli echi elettronici. Le componenti strumentali si stratificano con un movimento di va e vieni in un continuo scivolamento di una parte sull’altra e si presentano con abbondante intenzione melodica. Sembra una musica scritta per immagini di suggestivi landscapes, con un piano molto fedele a linee guida tonali e ad accordi perfettamente consonanti. Mercury utilizza inizialmente ancora la sequenza ripetitiva delle note smorzate di piano, a cui segue un arpeggio dello stesso che pare emergere da una pioggia di meteoriti sintetizzate dal Roland-Juno. Foran suona con morbidezza, innesta qualche rubato e un paio di accenti jazzistici. Dal fondale ambient emerge un tema che sembra a tratti perdersi per poi ritrovarsi all’interno del continuo frastagliarsi ritmico di contrabbasso e batteria. Melodismo a piene mani, un pizzico di inevitabile accademia e molta, molta piacevolezza all’ascolto. Study, come suggerisce la parola stessa, prende origine da uno studio di pianoforte impostato classicamente. I passaggi iniziali, tra romanticismo e impressionismo, si cullano sopra un prato di modulazioni elettroniche, fino a quando il piano con una serie di arpeggi e il contrabbasso suonato con l’archetto, non evocano un mood quasi cameristico, coperto da un velo di spessa malinconia. Quando Vincent abbandona l’archetto – ma vi ritornerà di lì a poco – il gruppo vira maggiormente verso un suono più jazzy però la caratteristica dei Trichotomy sta proprio nel continuo scorrimento di un pannello espressivo sull’altro per cui nulla resta stabile per molto tempo e tutto continuamente muta, si allontana e ritorna all’origine. Sono i riff dell’archetto di Vincent insieme alle note acute del piano a dare il via a It Bodes Well. La differenza fondamentale è che questo brano indossa un abito diverso, un jazz-rock disinvolto punteggiato da un essenziale 4/4 che all’inizio ha tutta l’aria di potersi avvitare su un piacevole tema dall’intrigante groove destinato – pensiamo noi – a protrarsi costantemente nel suo minutaggio. Errore. Uno stacco con una sequenza di arpeggi susseguenti mantiene sì il ritmo di base, ma l’archetto del contrabbasso fa capire che si tratta in fondo di un’altra storia. Quando prepariamo l’orecchio al cambiamento tutto torna come prima, smentendo le nostre aspettative ancora una volta. Niente è come può sembrare, in questo album.

Reassemble parrebbe essere un’appendice del brano precedente e probabilmente, almeno nelle intenzioni, lo è. Si resta pur sempre in un ambito velatamente jazz-prog ma qui l’elettronica s’impadronisce di ampi spazi disponibili scompaginando le carte. Ad essere sinceri l’ascolto, nel suo complesso, risulta piuttosto dispersivo e disordinato. Forse il ri-assemblaggio non deve aver funzionato troppo bene, fatto sta che l’impressione è che questo sia il brano più debole dell’intero album. I Trichotomy devono aver capito di aver un po’ sbarellato e infatti il pezzo che segue, manco fosse fatto apposta, s’intitola A Sense of Ordered Chaos. E qui si entra in una parentesi più jazz, un assemblaggio di accordi di piano con un bell’intreccio di contrabbasso e una batteria in 7/4. Buone melodie, buon groove, bravo Parker con i suoi precisi giochi percussivi. Se estrapolassimo questa traccia dal contesto, essa potrebbe fare quasi storia a sé, avvicinando i Trichotomy agli E.S.T. in modo apparentemente sovrapponibile, anche per via dei numerosi interventi elettronici. Bisognerebbe però capire poi se questa somiglianza potrebbe essere valutata come pregio anziché come limite… Suggestiva è la title-track To Vanish dove forse l’ibrido tra new age e jazz pare riuscire meglio, con quell’abbondante condimento di elettronica che fa tanto Suzanne Ciani. In effetti la differenza tra lo svanire ed il comporsi si assottiglia tornando ad un concetto già espresso, con quell’impalpabile caratura di suoni e di piani espressivi che scorrono uno sull’altro e che in qualche modo sembra caratterizzare l’anima di questo gruppo. Fibonacci sconcerta ma diverte nella sua imprevedibilità, con gli schizzi di synth di Greene e la partecipazione del fagotto della Tait che si intrufola di soppiatto in coppia col contrabbasso all’interno di una melodia interrotta da dettagli poliritmici. Times Past And Present è un brano strutturato in tre fasi, ciascuna differente dall’altra, dove la prima è un’introduzione melodica di stampo ambient, la seconda un’interessante parentesi improvvisata con grande presenza dell’elettronica e la terza una parte melodicamente jazz, devo dire suonata benissimo, che porta a conclusione l’esperimento. Lynette è dedicata a Lynette Irwin, l’amica che dirige il Brisbane Jazz Festival e ovviamente, per questo finale, viene a comporsi il brano più intensamente jazzistico di tutto l’album. Possiamo finalmente goderci gli assoli di Vincent al contrabbasso e soprattutto quello esuberante ed energico di Parker alla batteria.

Si cucinano evidentemente piatti molto elaborati in Australia. Del tipo di questo disco dei Trichotomy, talmente ricco di sapori diversi che il rischio è quello di faticare nel riconoscerli singolarmente all’interno della complessa amalgama che ne risulta. L’ascolto di To Vanish ci fa levitare fino ad una certa altezza ma poi si rimane lì, a mezz’aria, in una specie di bolla sospensiva, senza sapere se sia possibile ridiscendere o salire ancora più in alto. La mia impressione è che questo gruppo ancora non abbia trovato uno stile personale e riconoscibile. È comunque pur vero che le soluzioni adottate sono spesso spiazzanti e non vanno nella direzione che ci si potrebbe aspettare. Ad ogni cambio di passo scorrono nella memoria quel complesso di sensazioni che abbracciano uno spettro di possibilità veramente molto ampio, per cui i Trichotomy si trasformano via via da sofisticati newagers, in emuli scandinavi, da classico trio jazz incentrato sul piano fino a diventare band progressive con la passione dell’elettronica. Come si può vedere, un ampia scelta verso cui orientare ciascuna delle nostre preferenze d’ascolto.

Tracklist:
01. Forward Motion (4:13)
02. Mercury (6:47)
03. Study (6:35)
04. It Bodes Well (4:13)
05. Reassemble (4:51)
06. A Sense of Ordered Chaos (5:08)
07. To Vanish (5:12)
08. Fibonacci (2:36)
09. In Times Past and Present (4:33)
10. Lynette (5:26)