R E C E N S I O N E
Articolo di Claudia Losini
Se guardiamo alla storia degli Strokes, ormai ventennale, possiamo definirla come una montagna russa, iniziata saltando in vetta nel 2001 con This is it, per poi precipitare nel dimenticatoio delle “band dei primi 2000”.
Il gruppo inglese ha effettivamente lasciato un segno importante nella musica di inizio millennio, e con ben due dischi, Room on Fire e First Impression of Earth, usciti nel 2003 e 2006, sono entrati di diritto nella classifica delle band più influenti del panorama musicale mondiale. Quella degli Strokes era una musica sporca, trascinata da un leader bello e dannato quanto basta per avere quel tono snob in ogni canzone che non fosse urlata. Erano i ricchi con il giubbotto di pelle, erano la New York bene che si spaccava di droghe e si circondava di ragazze bellissime.
Non erano una band, erano l’identità di una generazione che aveva vent’anni e si affacciava al mondo con lo sguardo spavaldo di chi sa che può avere tutto dalla vita.
You only live once, Reptilia, 12:51, Juicebox, Heart in a cage, ma soprattutto Last Nite sono hit tuttora passate nei djset di quasi tutti i locali che abbiano una serata indie rock.
Ma, quando sei su una montagna russa, una volta arrivato in cima, precipiti giù a tutta velocità verso il basso. Ed è quello che è successo con Angles, pubblicato nel 2011 e che ha diviso i fan. Il tentativo di innovazione delle loro sonorità non arriva alle vette desiderate, e gli Strokes scendono dal podio della musica cool del momento.
Comedown Machine passa quasi inosservato, ma gli Strokes fanno comunque sold out ai grandi festival, nonostante un Casablancas non più bello e maledetto, ma stanco e trasandato.
Questi due dischi sono scivoloni che non vengono dimenticati, anzi, al contrario, vengono scordati da tutti i fan, alimentando una nostalgia verso i suoni incredibili dei primi due dischi, e buttando le ultime produzioni nel dimenticatoio.
Sette anni dopo la band ci riprova, con The New Abnormal. Che è un album a metà tra la voglia di ritornare ai grandi fasti di inizi 2000 e le sonorità anni 80 che hanno assorbito dal 2011 in poi: Bad decisions è decisamente un brano che avrebbero potuto scrivere dieci anni fa, ma più che grintoso sembra un compito a casa, svolto molto bene. At the door è un buon tentativo di svecchiare i tipici suoni alla Strokes, ma, forse, manca quel coraggio di osare un po’ di più, di spingersi al di là della loro comfort zone per cercare una vera innovazione. Ci sono i synth, quel “futuro” che il gruppo voleva imporre con la sua musica ormai vent’anni fa, ma che futuro più non sono, sembrano un omaggio sorridente alla collaborazione con i Daft Punk.
E così Casablancas rimane impigliato tra lo stereotipo del rocker ormai sorpassato e la voglia di diventare altro, con il risultato che le canzoni suonano come “vecchi classici, reinterpretati”: più che “new abnormal” si potrebbe dire che il disco è un “new normal”, qualcosa di già sentito, che non suscita voglia di ballare o di urlare, ma che ha solo l’effetto di farci sentire così dannatamente adulti, e guardare indietro per vedere che tutti i sogni di gloria dei vent’anni sono diventati un lavoro a tempo pieno, un po’ noioso.
Tracklist:
01. The Adults Are Talking
02. Selfless
03. Brooklyn Bridge To Chorus
04. Bad Decisions
05. Eternal Summer
06. At The Door
07. Why Are Sundays So Depressing
08. Not The Same Anymore
09. Ode To The Mets
Rispondi