R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Right to Party è il titolo dell’ultimo lavoro di Mirco Ballabene, edito dall’etichetta Niafunken in uscita in questi giorni. Con Mirco Ballabene, al contrabbasso e all’elettronica, oltre che compositore delle quattro mini-suite dell’album, ci sono Lorenzo Binotti al piano e all’elettronica, Piero Bittolo Bon al sax alto, clarinetto basso ed elettronica e Massimiliano Furia alla batteria, percussioni ed oggetti. A chi non fosse capitato di leggere “The Structure of Atonal Music” di Allen Forte (e non è gravissimo, ma ha il suo peso), potrebbe sfuggire il concetto di “pitchesets”, eppure su questa base teorica si fonda la filosofia musicale del disco, o almeno di parte di esso. Diciamo che sulla base di una particolare teoria degli insiemi, teorizzata proprio da Allen Forte, si opera un contrappunto, tecnica tanto cara alla musica classica contemporanea. È certamente poi assai difficile individuare, in queste composizioni, dove finisca la musica contemporanea e dove inizi il jazz. Non è difficilissimo, ma diciamo che è un confine amabilmente sfumato.
Il sottile confine lo si può a volte individuare nell’innestarsi sul “corpus” della ripetizione seriale, di un accordo o di un intervallo, le sonorità più anarchiche del sax o del clarinetto di Pietro Bittolo Bon, come per esempio accade nella prima magnifica mini-suite dal titolo All the weapons we are. Ma procedendo nell’ascolto i paradigmi sembrano mescolarsi, se non proprio ribaltarsi, e già dal secondo brano, The Mouse, the Clown and the Naked Child, sembra essere l’elettronica a portare a passeggio nell’universo sonoro le parti dove la scrittura musicale è più definita, con sempre in grande evidenza i fiati di Bittolo Bon, che è l’elemento-ponte tra il jazz e il fraseggio destrutturato del piano di Lorenzo Binotti più in consonanza con la classica contemporanea. È sempre comunque un sano caos a dare l’imprinting musicale alle composizioni di Mirco Ballabene, caos fecondo e primigenio, dal quale sembra discendere ogni “ratio” umana e musicale. La parte centrale di questo secondo pezzo è l’esempio più esplicito di questo caos che ingaggia un corpo a corpo spietato con la possibilità stessa di generare armonia. Naturalmente non si tratta solo di mera ricerca musicale, poiché il lavoro nasce da una riflessione profonda del compositore, scaturita dalle violenze terroristiche dell’estremismo islamico e dall’interrogarsi sulla apparente o sostanziale indifferenza delle società occidentali verso un mondo arabo travagliato e squassato da rivolte, repressioni, integralismi. Tutto questo ha a che fare con la sua musica? Dovrebbe, poiché, crocianamente parlando, è sempre l’elemento “maschile” della Storia a fecondare l’elemento “femminile” dell’arte e della creatività. Ce lo indica a chiare lettere anche Beyond the walls of EU fortress, quasi un ammonimento cacofonico alla nostra società arroccata, chissà fino a quando, nel fortino del benessere e animata spesso solo dalla propria cecità verso le contraddizioni del mondo. Un clima di costante conflitto musicale con l’elettronica e il contrabbasso di Mirco Ballabene, che sembra essere l’ariete che tenta di abbattere quella impenetrabile cortina di indifferenza. Solo nel finale è il piano di Lorenzo Binotti a restituire una calma ambigua che non si riesce a comprendere se essere pace o veglia funebre. Conclude il magnifico lavoro A rubber boat in a dark sea, titolo che lascia pochi dubbi sul nocciolo tematico dell’intero album. Ascoltando il piano cupo e il delicato supporto delle percussioni di Massimiliano Furia mi sono tornate alla mente le parole di Massimiliano Gioni che alla presentazione della mostra “La terra inquieta” alla Triennale di Milano, qualche anno fa, ebbe a dire che “l’uomo cerca di attraversare i confini, ma molto spesso sono poi i confini che attraversano noi uomini…”. Grandi idealità per una grande musica.
Tracklist:
01. All the weapons we are
02. The Mouse, the Clown and the Naked Child
03. Beyond the walls of EU fortress
04. A rubber boat in a dark sea
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