R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
È passato molto tempo dalla fine dell’avventura dei Japan, all’incirca una quarantina d’anni. Tutti gli elementi del gruppo, da allora, hanno avuto un’evoluzione musicale interessante, primo fra tutti l’eclettico David Sylvian. Purtroppo la morte prematura del bassista Mick Karn ha impedito a quest’ultimo di continuare la propria carriera artistica. Richard Barbieri invece, arrivato al sessantaquattresimo anno di età, è passato attraverso molteplici esperienze culminate sia come solista e sia come membro dei Porcupine Tree, una delle rock band più affascinanti e sperimentali di questi ultimi decenni. La matrice di base di Barbieri è rimasta in qualche modo legata tanto all’impronta elettronica quanto a quella particolare chimica sonora che aveva segnato l’esperienza Japan, cioè un tappeto armonico-ritmico su cui voci e strumenti solisti si connettono intimamente realizzando un amalgama rarefatto e sognante, omogeneo nella forma, senza brusche sterzate verso dissonanze inaspettate. Proprio questa uniformità d’intenti è ciò che caratterizza il quarto lavoro solista di Barbieri, Under A Spell.
Il disco è stato realizzato in solitudine, casa e bottega si potrebbe dire, dato che lo studio di registrazione è stato proprio quello domestico, locazione obbligata in questa lunga epoca pandemica. La musica così ottenuta ha una sua garbata compostezza, di forte impronta elettronica, con sovra incisioni di sussurri e mormorii vocali per accentuarne la configurazione onirica. Forse le atmosfere paradossali dei molti lockdown, col silenzio nelle strade e la forzata solitudine, hanno ispirato questi respiri mentali, viaggi introspettivi suggeriti dal “daimon” genuino di Barbieri che l’ha condotto attraverso il non facile sentiero di una controllata ed equilibrata sperimentazione. Qualche intervento esterno a sostegno, come quello del basso di Percy Jones e le voci filtrate di Steve Hogarth (Marillon) e di Lisen Rylander Love, alcuni frammenti di strumenti acustici, tromba, piano e vibrafono, anche se è difficile capire se si tratti di suoni puri o adeguatamente campionati. Poi percussioni presumibilmente elettroniche, che entrano ed escono dalle fantasiose trame ipnagogiche organizzate da Barbieri.
Il viaggio inizia con il brano che dà titolo all’album, Under a spell. Da questo punto cominciamo a intendere che l’incantesimo a cui ci si riferisce è in realtà un curioso sortilegio di suoni ed ombre, un sentiero nascosto che conduce attraverso misteriose tappe nelle quali è piacevole, persino talora rilassante farsi condurre. Il vibrafono riverbera di suoni metallici, parlottii di voci creano echi nel sottofondo. La seconda traccia, Clockwork, è un ipnotico racconto alla Lewis Carroll, un paese di inverosimili meraviglie, una tastiera che simula un tempo che trascorre a velocità doppia insieme a qualche improbabile trillo di vecchio orologio. In Flare 2 una robusta base di note basse con qualche sovrapposizione di tromba e piano rendono il brano consapevole di una certa drammaticità a metà della quale irrompe una batteria presumibilmente elettronica che ne accentua l’assetto ritmico, almeno fino a qualche battuta dalla fine sottolineata dal ritorno dell’eterea sonorità della tromba. Starlight è suggestiva ma un po’ languida e ripetitiva, la tensione ritmica si affloscia ed è probabilmente la traccia meno interessante di tutto l’album. Serpentine, accompagnato da un bel video molto jungle girato in modo innovativo, riaggiusta il discorso sgonfiatosi appena prima offrendo una trama piuttosto ossessiva ma che riprende il piglio inquieto che sta caratterizzando l’intero percorso sonoro. Sleep will find you inizia con una curiosa cantilena quasi infantile e suoni di carillon per essere poi percorsa da un vento elettronico in sottofondo che mi ricorda una certa psichedelia alla Julian Cope. Sketch 6 è un brano che parte robusto e ben strutturato, direi qualitativamente tra i migliori, sorretto da una serie drammatica di accordi di tastiera che creano un convincente andamento melodico, grazie anche alle fondamenta di un basso potente e asciutto. Se il “sonno non vi ha ancora trovato”, vi troverà l’oscurità. Darkness will find you impiega effetti alla Tangerine Dream, in una “Phaedra” tanti anni dopo, meno serena e più tumultuosa ma i tempi sono indiscutibilmente cambiati dagli anni ’70 e non necessariamente in meglio. Si finisce con Lucid, curioso ibrido che nella parte intermedia mi ha rimandato ai Pink Floyd di “Careful with that axe, Eugene…”
Un buon lavoro, questo di Richard Barbieri, che racconta di un artista ancora presente ed inventivo, legato ad una storia come quella vissuta con i Japan che l’ha fondamentalmente marchiato all’origine con un suggello da cui non è possibile – o non si vuole – smarcarsi tanto facilmente. Proprio questa genetica ne sottolinea comunque l’aristocratica discendenza, tratteggiandogli attorno un alone costante di onorevole e riconosciuto rispetto.
Tracklist:
01. Under A Spell
02. Clockwork
03. Flare 2
04. A Star Light
05. Serpentine
06. Sleep Will Find You
07. Sketch 6
08. Darkness Will Find You
09. Lucid
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