R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ho tuttora sotto gli occhi una vecchia foto in bianco e nero in cui un giovanissimo Francesco Cafiso posa con il suo sax in compagnia del pianista Franco D’Andrea. La rivista specializzata che pubblicò l’immagine commentava lo stupore di trovarsi di fronte ad un ragazzino, allora credo tredicenne, che suonava con la maturità di un adulto navigato. Non è stata certo la prima volta che un musicista poco più che bambino abbia dimostrato una dimestichezza profonda col proprio strumento e soprattutto una sorta di saggezza esecutiva che sarebbe stato maggiormente lecito aspettarsi da un professionista più anziano. Oggi Cafiso, all’età di trentadue anni, è considerato uno dei migliori sassofonisti al mondo, affiancando alla sua proverbiale perizia strumentale anche un’invidiabile capacità compositiva. Irene of Boston, attualmente il suo ultimo lavoro, racconta un’avventura così romantica che più non si può, mescolando una storia vera con la fantasia di un personaggio della letteratura a fumetti come Corto Maltese. Il marinaio solitario e pensoso creato da Hugo Pratt si lega idealmente con la vicenda di un veliero, Irene of Boston appunto, un cutter a doppio fiocco varato in Inghilterra nel 1914 e che passò di mano in mano a diversi proprietari, compiendo letteralmente il giro del mondo e finendo i suoi giorni sulla costa siciliana di Pozzallo, guardando verso Malta, dove tutt’ora resta in dignitosa vecchiaia.

Tra il veliero morente e Corto Maltese s’instaura un dialogo immaginario che la musica di Cafiso prova a raccontare in questo lavoro oltremodo ambizioso, insieme a un gruppo di valenti musicisti – Marcus Gillmore alla batteria, Mario Schiavone al piano e agli arrangiamenti, Eric Wheeler al contrabbasso, Alex Acuna alle percussioni – supportati dalla London Symphony Orchestra che crea tutt’attorno una magia sonora d’indubbio fascino. Non è un disco facile e non è nemmeno per tutti. Si tratta di un lavoro sinfonico per la maggior parte, abitato da molte dissonanze ma anche da momenti di estrema dolcezza. L’obiettivo è quello di evocare, nella mente di chi ascolta, una serie di immagini più o meno esotiche, l’idea di luoghi lontani abitati dai venti e da spazi illimitati. Il ricordo dei disegni di Pratt può aiutare a tracciare una sceneggiatura onirica ideale ma il resto lo fa l’abbandono, un lasciarsi andare alle correnti, accettando una momentanea deriva di solitudine e di memorie. La sequenza dei brani comincia con Bouche dorèe-apparition, dove i legni, gli archi e l’arpa introducono la visione del relitto che sembra emergere dalle nebbie come un’allucinazione felliniana. Far flow viaggia su una base di elementi percussivi su cui può intrufolarsi il sax di Cafiso con alcuni passaggi che ricordano da vicino la suggestione di Coleman. L’arpa annuncia con un fugace pizzicato, subito ripreso dall’insieme orchestrale, l’entrata in scena di Corto Maltese, il terzo brano della raccolta. Qui il sax compie ampie rotazioni in un cielo immaginario, abitato dalle grida dei gabbiani, mentre l’orchestra rimanda a una dimensione armonica dal colore debussyano. Il brano seguente, S’irendipity, gioca nel titolo con la fusione del termine inglese ”serendipity”, cioè un senso di un’inaspettata felicità, unito a “siren”, la creatura mitologica che ha tentato Ulisse e che rappresenta tutte le sirene in procinto di apparire durante i nostri viaggi, anche e soprattutto interiori. Finalmente si arriva alla title-track, Irene of Boston. Una canzone d’amore a tutti gli effetti, un amore in senso lato che riassume sentimenti per persone, luoghi, tempi e viaggi. È il brano più romantico, forse il più comunicativo o soltanto il più melodico. Seasons of a dream, ci avverte con un intrigante pizzicato d’arpa in sottofondo e con un pieno di violini in un tema quasi morriconiano, che siamo entrati nella dimensione più sognante dell’intero album. Ci troviamo in mare aperto, niente più terre in lontananza, persi tra il mare e il cielo… Il sogno s’interrompe assai bruscamente con Rasputin, dove l’orchestra si fa d’improvviso spigolosa e fragorosa, come se si fosse capitati dentro il vortice di una tempesta. Bluelogue s’introduce con le corde gravi del violoncello, poi un oboe serpentino accenna ad un certo sentire misterioso, un patchwork di colori legati da suture percussive, Entra il pianoforte con le note liquide di Fluid remembrance e un’introduzione a metà tra jazz e Rachmaninov che chiude con un melodico pieno orchestrale. Il disco termina con Bouche dorèe-disparition dove tutti gli strumenti dicono la loro in un crescendo incalzante e turbinoso mentre l’orchestra riavvolge il veliero ricoprendolo della nebbia da cui era apparso. Il filo della memoria s’interrompe davanti al relitto dell’imbarcazione, la sua storia è stata alfine raccontata. Il resto è magia, testimonianza aedica, è canzone. Sono narrazioni come quelle intonate dai marinai. Quegli stessi che, tra un bicchiere e l’altro, tra una partenza ed un arrivo, si raccontano tutte le ballate del mare salato che conoscono.

Tracklist:
01 Bouche Dorée – Apparition
02 Far Flow
03 Corto Maltese
04 S’Irendipity
05 Irene of Boston
06 Seasons of a Dream
07 Rasputin
08 Bluelogue
09 Fluid Remembrance
10 Bouche Dorée – Disparition