R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Non poteva che intitolarsi così, The Crossing appunto, l’ultimo intenso e denso lavoro di Enzo Favata e del suo gruppo che ha scelto di chiamarsi con lo stesso nome, e non credo per mancanza di fantasia, ma per affinità concettuale con il disco stesso. Si tratta di Pasquale Mirra al vibrafono, marimba midi e Fender Rhodes, Rosa Brunello al Fender Bass, Marco Frattini, batteria e percussioni ed Enzo Favata al sax, theremin, samples e arrangiamenti.
Un altro “caso non fortuito” è che il brano di apertura si intitoli Roots (radici), nell’album che si intitola “Incroci” (Crossing). Qualche volta i titoli sono anche qualcosa di più che didascalie, sono mappe concettuali e questo ne è certamente un caso. Di quali radici parliamo? Di quelle jazz- rock, visto che Roots è un brano di Ian Carr’s Nucleus, grande interprete del genere, o di quelle elettroniche, l’altra componente fondamentale del lavoro? Potremmo rispondere alla fine, dopo aver ascoltato le sei tracce musicali tutte d’un fiato e che sembrano finire in un battibaleno, tanto il disco è ben costruito e intensamente popolato di suggestioni musicali.
Dopo l’intensa immersione nel sound anni Settanta, con Turn, entriamo in un territorio più instabile e misterioso, grazie anche agli incredibili equilibri sonori di un “saxello”, strumento nato da uno sposalizio, anzi facciamo da una “unione civile” di un sax con un clarinetto e la partecipazione (alla cerimonia), di un folto gruppo di arnesi elettronici, tastiere e organi vintage, theremin e synth analogici. Insomma avrete già capito che agli “incroci” bisogna prestare la massima attenzione perché si rischia di perdere l’orientamento. Ma, come scriveva Walter Benjamin “…Non sapersi orientare in una città non significa niente, ma perdersi in essa, è una cosa tutta da imparare…” e qui la citazione “colta” cade come il cacio sui maccheroni. Ci si perde davvero in questo magnifico disco, si perdono le sicurezze e si acquisisce coscienza della complessità della musica, come dei nostri giorni di “mescolamenti” temporali, umani e, perché no, anche filosofici, che questa epoca ci porta a vivere.
Ancora strade e incroci in Salt Way, ispirata alla famosa “via del sale” della Dancalia nel Corno d’Africa. Brano africaneggiante, orientaleggiante, affollato di suoni come un suk, e trasparente come un miraggio. Più pacato e limpido, breve ma intenso è For Turiya di Charlie Haden che sul nostro menù potremmo indicare come “meditazione di sax su tappeti elettronici”. Black Lives Matter è certamente, dell’intero album, il pezzo che prediligo, un po’ perché mi aspettavo che prima o poi qualche grande musicista avrebbe dovuto mettere al centro della scena una grande rivendicazione civile, un po’ perché da un punto di vista della ricerca mi sembra che tutte le scelte musicali e sonore siano eccezionalmente azzeccate, con quel sax di Favata che urla il suo sdegno, su una miriade di richiami sonori, dove idealmente rappano Malcolm X, Fela Kuti e Steve Biko, megafoni di manifestanti e radio della polizia che sono mixate e amalgamate in maniera perfetta da Alberto Erre, senior sound engineer. Infine è il clarinetto basso di Favata che si cimenta su scale etiopi a chiudere il disco con Oasis, ipnotica traccia di dodici minuti che lascia senza fiato, ma con una grande ricchezza musicale nel cuore. Il disco edito da Niafunken è uscito il 5 marzo scorso, e non è davvero il caso di perdere altro tempo…
Tracklist:
01 _ Roots
02 _ Turn
03 _ Salt Way
04 _ For Turiya
05 _ Black Lives Mater
06 _ Oasis
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