R E C E N S I O N E


Recensione di Elena Di Tommaso

Chi (si) cerca, (si) trova.

Psychodonna è l’album di esordio solista di Rachele Bastreghi, cantautrice e componente dei Baustelle che, in maniera del tutto trasparente e attraverso un viaggio di esplorazione e scoperta di sé, mette a nudo la sua fragilità e la sua forza, la dolcezza e la scontrosità, gli amori e i turbamenti. Cerca un equilibrio senza rinunciare ad essere tutto e il contrario di tutto, tra le infinite sfaccettature dell’universo femminile. Senza rinunciare cioè ad essere sé stessa.
L’album è il frutto di un lavoro intimo durato due anni, fatto di istinto e introspezione insieme, nella quiete notturna della sua stanza. È nel buio della notte, lontano dal frastuono e dal caos del giorno, che la cantautrice senese si prende il suo tempo per guardarsi e analizzarsi, scoprendo – non senza fatica – l’io più intimo e accettandolo nella sua imperfezione, con il coraggio poi di liberarsi e uscire allo scoperto.

Il concept album, intriso di pop sintetico, attraversa più territori sonori: da melodie filo-barocche al synthpop, con inserti di brillante elettronica, electroclash, richiami anni ‘80 e ricerca avanguardistica. L‘alternanza di synth, clavicembali e pianoforte, ispirata da Wendy Carlos e Laurie Anderson, conferiscono al disco un carattere fortemente stratificato e multiforme. La sperimentazione prende l’abbrivio da figure ispiratrici quali J.S. Bach, Sebastian Tellier, Ennio Morricone, Serge e Charlotte Gainsbourg, Kraftwerk e il Franco Battiato dei primi anni ’70.
Bastreghi è autrice di otto tracce su nove e in tutti i testi utilizza una scrittura contemporanea, un linguaggio incisivo che sfocia in un canto libero, intenso, ricco e senza censure.
Psychodonna è coprodotto da Mario Conte (già al lavoro con Meg, Colapesce e Alfio Antico) e, a partecipare a questo “dramma in discoteca” o “ballo consapevole nel fango” (come lo chiama l’artista) ci sono i musicisti Colapesce, Fabio Rondanini, Marco Carusino e Roberto Dellera.
A comporre l’immagine di un inafferrabile e contorto universo femminile si uniscono anche tre ospiti che prestano la loro voce: Meg, Silvia Calderoni e Chiara Mastroianni. Riecheggiano infine stralci di poesie di donne rivoluzionarie come Sylvia Plath, Alda Merini e Antonia Pozzi che hanno avuto il coraggio di superare i limiti mantenendo la propria identità, e senza la vergogna di parlare del proprio dolore.

La prima delle nove tracce del disco si intitola Poi mi tiro su ed è un’altalena di stati emotivi, di up and down tra pianoforte noir, groove di note basse e linee digitali, dove le parole danno vita a una fotografia descrittiva tale da rendere tangibile il passaggio da uno stato depressivo alla capacità di tirarsi su, grazie alla consapevolezza che ciò che crediamo “niente”, “poi niente non è”.
A seguire Lei, un brano autobiografico tra dream wave e psych folk con intermezzi di cori allucinati e un finale che celebra un sabba disco music. Qui sembra di vedere l’autrice nell’intento compositivo, pronta a recepire tutti gli impulsi che arrivano più forti nel silenzio della notte (“Lei era sveglia e aspettava il sole per poi sparire, Lei quattro mura di luna e corde per poi viaggiare”). È proprio la notte il suo momento preferito, quello in cui tutto è possibile: spogliarsi delle paure e sognare, stando bene e male.

Not for me si apre con un elenco di comportamenti sbagliati dettati dalla paura dell’ignoranza, fino alla consapevolezza di non volersi nascondere più e accettare finalmente anche la “non ordinarietà”. È un brano esplosivo che contiene un mix di ritmi completamente diversi: dal tribale all’industrial in cui si innervano eleganti pianoforti ed echi disco, e che accelerano via via in un climax ascendente tra voci robotiche e bilinguismo, con sentori di suoni alla Michael Jackson. È un crescendo contro l’ordine, i pregiudizi, l’indifferenza e l’omofobia. La voce in inglese, in modalità robot, è di un’amica di Rachele, Gloria Navone. Il quarto brano è una ballata omaggio all’attore statunitense Harry Stanton, con particolare riferimento all’ultimo film “Lucky” di David Lynch in cui il tema centrale è la ricerca di sé (che è lo stesso della Bastreghi). I versi: “E viaggiano sempre, nel cuore di Marte. I canti di culla, di sere e poi nulla” suonano come una sorta di nenia che si ripete. È evidente qui un’eco del più psichedelico Ennio Morricone. Il primo singolo del disco è Penelope, un inno alla diversità in chiave elettro che si apre tra respiri tesi evocativi di ansie dalle quali l’artista si libera proprio durante la tessitura notturna dei suoi brani, come una “Penelope notturna” che, contrariamente al personaggio dell’Odissea, trova ispirazione nel buio della notte e nel caos dei sentimenti. Al termine del brano una sezione d’archi lascia spazio alle parole di Silvia Calderoni, attrice e performer impegnata sul tema dell’identità: “Follia, respiro, paura, amore, stupore, autodistruzione. Ma dentro questi margini ci sono delle ribellioni incredibili, la mia diversità è il mio punto di forza.” Le altre due guest in Psychodonna sono Meg e Chiara Mastroianni in Due ragazze a Roma in cui si narra dell’origine di un amore tra due donne che si ritrovano a provare un sentimento che le lascia felicemente esterrefatte, tematica in linea con quello che vuole essere un vero e proprio inno all’amore libero. Il brano ha un carattere pop sintetico intervallato da sincopi da dancefloor: la sensualità che emana tra riferimenti francesi, si prolunga in un evocativo finale cinematografico. La title track è un geniale collage di mondi, voci femminili e campionamenti tratti da documentari che si uniscono e si dividono nel corso del brano, a rappresentare diverse donne che si fondono in una Psychodonna, la quale cerca di tenere insieme le molteplici sfaccettature della natura femminile. La stratificazione delle voci avviene in un contesto electro pop-rock al tempo di un ritmo primordiale e frenetico dai toni da apocalypse movie in cui l’obiettivo finale è la rivoluzione. La cover presente nel disco è Fatelo con me, brano presentato da Anna Oxa al Festivalbar del 1978 e scritto da Ivano Fossati. Un testo coraggioso per quegli anni, che parla di libertà sessuale dalle sfumature sadomaso: Rachele Bastreghi rimane stupita dal modo di cantare scanzonato e liberatorio della Oxa e decide di riproporne una versione alla Suicide. L’ultimo brano, Resistenze, si apre con i versi di una poesia di Anne Sexton “Her Kind” – legata a immagini oscure di donna strega che esce nella notte, si ribella, si isola – fino a culminare a metà traccia, in un completo abbandono al dolore perché tutto “fa male”. L’ultima parte della canzone si fa struggente ed è come risalire la china, tornare all’origine e trovare rifugio nelle radici, il posto più sicuro “Mamma ti voglio bene anche se tremo, se vivo male. Babbo ti voglio bene, vorrei parlare ma dentro piove”.

Senza dubbio Psychodonna è un disco identitario, accattivante e libero che si lancia in un universo femminile inafferrabile (un po’ com’è l’immagine in movimento dell’autrice nella foto di copertina). Un mondo complesso fatto di sentimenti contrastanti ma in cui l’amore, nella sua veste pulsante e stupefacente, trova ampio spazio. L’artista, nel suo essere poliedrica e indipendente, dà sfogo in questo album alla sua libera attitudine creativa riuscendo a dare coerenza a tutto il disco, realizzando un vero e proprio manifesto attraverso il quale rivendicare con coraggio ciò che si è.
Quello di Rachele è un racconto personale e privato che ha il potere di diventare collettivo e condivisibile grazie alla sua carica liberatoria e sfacciatamente sincera.

Tracklist:
01. Poi mi tiro su
02. Lei
03. Not for me
04. Come Harry Stanton
05. Penelope (feat. Silvia Calderoni)
06. Due ragazze a Roma (feta. Meg e Chiara Mastroianni)
07. Psychodonna
08. Fatelo con me
09. Resistenze