R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi dall’ultima fatica di Andrew Cyrille. L’anziano batterista, votato da sempre a una dimensione sperimentale, non è mai finito nella lista dei miei preferiti, nonostante l’onore raccolto sul campo dopo dieci anni di collaborazione con Cecil Taylor, una quindicina di lavori pubblicati a suo nome e una vasta serie di partecipazioni a opere di Carla Bley, Anthony Braxton, Oliver Lake e molti altri ancora. Dal 2016 scocca però la scintilla, anche se tardiva. L’uscita con ECM dello splendido Declaration of musical indipendence spariglia tutte le mie convinzioni. Quel lavoro presentato graficamente in livrea rossa accende finalmente una passione rimasta latente grazie anche all’apporto di artisti stilosi come Bill Frisell, in grado di apportare una scossa energetica e melodica al cerebralismo a volte eccessivo di Cyrille. Due anni dopo, sempre per ECM, esce anche Lebroba che si può leggere come opera in un certo senso parallela a Declaration, anche se qui c’è la tromba di W. Leo Smith a lavorare negli spazi cercando equilibri insoliti con la chitarra di Frisell. Questo nuovo lavoro The news offre buone notizie per chi, come me, ha benedetto la svolta più recente di Cyrille. Tenendo buona la formazione di Declaration con l’unica sostituzione di Richard Teitelbaum con David Virelles al piano e alle tastiere, The news vede inoltre, accanto al morbidissimo drumming di Cyrille, l’ombra benevola di Bill Frisell alla chitarra e il fidato Ben Street al contrabbasso. The news non ha l’energia ctonia di Declaration, questo è bene chiarirlo da subito. La timbrica strumentale, maggiormente per quel che riguarda la chitarra di Frisell, si è qui molto addolcita. La batteria lavora soprattutto sui piatti, con qualche raro battere sulla pelle dei tamburi mentre il piano e il contrabbasso partecipano attivamente alla creazione di una forma musicale delicatamente astratta.

Gli interventi strumentali sono semplici pennellate, apparentemente apposte senza strategia ma che osservate da una certa distanza, dimostrano un geometrico, fragile reticolo da cui emergono spigoli inquieti e segnali segreti. Una soffusione di colore che facendo un paragone con l’arte pittorica, mi ha ricordato la mano di Odilon Redon. La musica lavora sulle forme maggiormente ricavate dai vuoti, più che dai pieni, e per certi versi si può anche avvicinare a quei disegni giapponesi di fine ‘800, dove la figura viene evocata da pochi tratti rimasti sulla carta, una volta tolto tutto quello che è superfluo.

L’album si apre con Mountain brano di Frisell, molto melodico, con la chitarra che traccia la linea espressiva principale. Lo stile di Frisell c’è tutto, evocativo, innamorato di grandi spazi e di riflessioni interiorizzate. Il piano inizialmente accompagna seguendo coi suoi accordi discreti, leggeri come il sughero, facendo galleggiare le note sulle onde costruite da Frisell. Poi lo stesso pianoforte si rafforza quasi imitando la chitarra in un primo tempo ma successivamente impegnandosi in momenti più oscuri, persino drammatici. Nel chiudersi del brano la scena principale ritorna allo strumento di Frisell e i momenti più cupi lasciano lo spazio alla stessa atmosfera serena dell’inizio. La batteria inserisce il mood della composizione in una trama continua di tenui battiti, punteggiati dalle note sapienti del contrabbasso di Street. Leaving east of Java è un brano del pianista Adegoke Steve Golson, con il quale Cyrille ha già avuto a che fare in un paio di occasioni discografiche. Il tema è introdotto all’unisono, nelle prime battute, sia dalla chitarra che dal piano, col contrabbasso ad accompagnare con l’archetto. La linea melodica è complessa, non facilmente orecchiabile. La stessa si apre poi all’improvvisazione dopo una serie di articolazioni percussive, soprattutto sui piatti e dopo una sequenza di note di basso che apre ai territori preferiti da Frisell. Note melodiche perfettamente armonizzate, speculari nei due strumenti solisti che si dirigono sotto la spinta della ritmica in territori inaspettatamente swinganti, dove il piano cerca di promuovere qualche dissonanza, coadiuvato dalle note prolungate della chitarra che tira per i capelli gli ultimi spasimi del brano. Go happy lucky vede ancora lo zampino creativo di Frisell in un blues quasi classico. Le note meno prevedibili vengono da Virelles che ce la mette tutta per trasformare il blues in qualcosa d’altro, come se la camicia compositiva di Frisell gli andasse stretta.

Ora una piccola nota dolente: nonostante il pezzo successivo The news di Cyrill venga definito, dal comunicato stampa che accompagna l’uscita dell’album, come “brano concettuale”, non c’è verso di farmelo piacere. Comunque si rigirino queste composizioni, scoordinate, casuali, che dovrebbero catturare l’essenza emotiva del momento o essere espressione di chissà quale impegno intellettuale, personalmente le trovo musicalmente insufficienti, noiose e anche un poco fastidiose. Si passa senza voltarsi indietro a Incienso composto da Virelles. Nonostante la predisposizione del pianista a cercare una summa di raffinate dissonanze, in questo brano delicatissimo e rarefatto, tra i migliori di tutto l’album, piano e chitarra trovano un sottile equilibrio che il bel lavoro percussivo di Cyrille e le efficaci note di contrabbasso rendono dotato di una trasparenza evanescente, un senso indecifrabile di misteriose e immanenti presenze. Baby è di Frisell, altro brano tranquillo e dilatato che suggerisce una beatitudine d’abbandono, una dimensione forse legata ai ricordi. La chitarra è pulita, cantabile e ci riporta tra quei grandi progetti dal respiro ampio che Frisell ama particolarmente. Un piccolo capolavoro di levità e nostalgia indefinita. Con Dance of the nuances che riconosce i crediti sia di Cyrille che di Virelles, scendiamo le scale di un momento introspettivo dove le percussioni sono linguaggio sussurrato, un discorso interiorizzato in cui gli accordi di piano sono mescolati a vibrazioni di synt che si riverberano nell’animo dei musicisti. Difficile riconoscere limiti e direzioni di tutte le possibili sfumature quando la mente diventa specchio di questi effimeri passaggi di nuvole. Un discorso a due, quindi, tra piano-tastiera e batteria, mentre in questo caso stanno apparentemente silenti basso e chitarra. L’ultima traccia è un brano di Cyrille, con una suggestiva introduzione parlata dello stesso batterista. È il piano a costruire la struttura portante del pezzo con una sensibilità molto vicina, in questo frangente, a quella di Keith Jarrett. Quando interviene Frisell s’innesta un pizzico di estroversione in più che non tradisce però l’atmosfera carica di sentimento amoroso pervadente l’intero brano.

Personalmente sto apprezzando molto questa svolta ECM di Cyrille ma mi rendo conto che il mio approccio a questo batterista è stato per lungo tempo condizionato dalla tipologia avant-garde della sua musica, che peraltro riconosce un alto numero di estimatori. In questo lavoro non possiamo non apprezzare la sensibilità complessiva dei musicisti, sempre pronti a integrarsi nelle trame percussive di Cyrille, con l’apporto di una chitarra e di un piano veramente ai vertici della produzione attuale. Un’ultima parola per il contrabbassista Ben Street che non ha mai corso il rischio di essere stritolato dal carisma dei suoi compagni, grazie ad un accompagnamento essenziale, pulito, diradato, ma perfettamente in linea con le esigenze del caso.

Tracklist:
01. Mountain
02. Leaving East of Java
03. Go Happy Lucky
04. The News
05. Incienso
06. Baby
07. Dance of the Nuances
08. With You in Mind