R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Mi accosto a questo lavoro di Paolo Angeli, Jar’a, mentre le tende parasole del mio terrazzino sobbalzano al vento con un suono che ricorda quello delle sartie di una barca a vela. Mentre qui al nord da dove sto scrivendo l’estate sbiadisce, in Sardegna si è consumata, non da molto tempo, una follia piromaniaca che ha bruciato parte della macchia mediterranea. Perché l’Isola, per chi c’è stato almeno una volta, non è solo vento e mare ma anche profumo di terra e di erbe, di legni e di montagne. Angeli, chino sulla sua chitarra preparata, ha voluto rendere acceso e vibrante questo rapporto d’integrità sensoriale con la sua terra d’origine. Egli ha imbastito quest’opera nuova registrando in diretta, manovrando il suo strumento, si può dire, con l’intero corpo e servendosi in aggiunta di un delay per sovrapporre suoni su suoni. L’apporto occasionale della propria voce insieme a quella profonda e archetipica di Omar Bandinu arricchisce l’incisione di melodie insidiose che pescano nel profondo e scandagliano luoghi sepolti, profondità marine e terrestri laddove muore ogni concetto ordinario di Tempo. Jar’a è una lunga suite suddivisa idealmente in sei tratti, sei luoghi di ipnotico ruminio di suoni, spesso irradiati da una solitudine salvifica che pone l’artista a tu per tu con la natura che forse mai, prima di questo disco, si era presentata in modo così selvatico, in una ruvidità mista a dolcezza che tradisce tutto l’amore di Angeli per la sua terra. La collaborazione con l’ingegnere del suono Marti Jane Robertson è stata probabilmente cruciale per la buona riuscita di questo lavoro, realizzando un mastering spettacoloso con effetti sonori tridimensionali, un’olografia acustica completamente avvolgente, molto godibile soprattutto attraverso l’ascolto in cuffia.

Si Non si creda, però, che Angeli sia semplicemente un “recuperante” di trame sonore tradizionali. Anche se è profondamente reale la sua connessione spirituale con queste ultime, la sua musica è contemporanea, nuova nello stile acustico e nella combinazione alchemica di tutte le variabili strumentali che egli riesce a cavar fuori dalla sua chitarra modificata. Piuttosto sono oltremodo mediterranee le suggestioni che sospingono la sua anima, influenze che accostano la Catalogna, dove attualmente vive, alla Sardegna. Non si tratta solamente di assonanze linguistiche ma di spazi, di sbocchi sull’acqua, di esposizione a quella rosa dei venti che comanda, al di là della terraferma, il destino delle onde marine. Apre questo lavoro appunto Ea (acqua) primo brano introdotto da un suono che sta a mezza strada tra la kora e il bouzouki, con la chitarra che quindi si esprime in lingue diverse come sarà per tutta la lunghezza del disco. Al di sotto vibra un bordone che inizialmente accompagna le corde e che poi si spegne sfumando nel brano successivo che intitola l’intera opera, Jar’a. Le Giare di Sardegna sono altopiani costituiti da tavolati di basalto che rappresentano un unicum territoriale. Il brano, quasi venti minuti di sonorità dilatate, regala l’impressione di una meditazione sui resti di un continente scomparso, pare quasi di avvertire il macinar di pensieri davanti all’orizzonte, i ricordi e le vibrazioni della terra che investono l’ascoltatore come profumi evocativi di un mondo primordiale ancora pulsante. Una ballata lenta, piena di echi e riverberi emotivi. La chitarra insegue sonorità inquiete, talora perfino rockeggianti, mescolate a suoni acustici, venti elettronici, risacche marine profumate di scogliera come quelle che concludono il brano. Molto più mosso e quasi danzante la traccia seguente Futti ‘entu che in sardo indica il gheppio, un piccolo falco abile a restare immobile nella caccia contro vento. Il brano, però, non allude tanto al volatile, quanto – a detta dello stesso Angeli – alla capacità dei campanari sardi di innescare ritmiche convulse e festose di suoni. Si percepiscono quindi delle suggestioni campaniformi che creano un insieme cantilenante allegramente eccentrico. Sulu è tra i pezzi forti dell’album dove il canto più primordiale, tenebroso di terre e arcaici miti pastorali, è affidato a Omar Bandinu dei Tenores di Bitti, i “Mialinu Pira”. La sua voce, che pare emergere direttamente dall’abisso della Terra, s’incrocia con la voce spesso filtrata di Angeli, creando con questa una sorta di funzione mistico-religiosa pagana, quasi una preghiera circolare, dove primitivismo, tradizione e contemporaneità s’avvinghiano in un abbraccio accigliato e meditabondo. Lanci esce dal cerchio magico e s’allarga attraverso le corde sfregate della chitarra quasi ad evocare una tensione, una direzione ancora non chiara, indecisa tra Cielo e Terra. Il brano meno riuscito, a mio parere, nel contesto di questo lavoro che definire “splendido” è fin poco. Groppo ci fa ascoltare i rumori delle mareggiate, il vento e il mare che sono i due grandi protagonisti di Jar’a. Questa ultima opera di Angeli, nel suo contesto, possiede una densità atmosferica unica, un profumo fuori dal tempo che rimanda all’immobilità della terra e al continuo soliloquio del mare. Una discesa nelle viscere, tra le rocce. O un’immersione nella profondità delle onde, per poter meravigliarsi ancora davanti al mistero arcano d’una conchiglia seminascosta tra la sabbia.
Tracklist:
01. Ea
02. Jar’a
03. Futti ‘entu
04. Sùlu
05. Lanci
06. Groppo
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