R E C E N S I O N E


Recensione di Giovanni Tamburino

Dopo più di una decade di valorosa carriera, quando ci si trova davanti al nuovo disco di una band come i Fast Animals and Slow Kids l’aspettativa è duplice. Se da una parte c’è la curiosità per un nuovo sound, per rivivere vecchie emozioni prese in prestito dagli album precedenti, dall’altra si sente l’aria del ritrovo. Si entra in una casa accogliente a incontrare volti familiari dopo tanto tempo.
Si sta lì, uno di fronte all’altro, giocando a riconoscere tra i lineamenti noti i segni del cambiamento, del tempo che passa. Si indaga su cosa è successo durante l’assenza, su che ne è stato dei propositi della volta prima, si riconoscono fatiche e vittorie.
Sintetizzando, la domanda che ci si pone in questi casi potrebbe essere: come sei diventato più grande dall’ultima volta?

Anticipato dai lanci di Come un animale, Cosa ci direbbe (con le barre dell’amico Willie Peyote) e Senza deluderti– secondo prodotto da Matteo Cantaluppi, pubblicato in casa Woodworm –, È già domani, sesto disco della band perugina, esce venerdì 17 settembre, portando la risposta che Aimone, Alessio, Jacopo e Alessandro hanno dato a quell’interrogativo dopo i quasi due anni che li hanno tenuti lontano dai loro devotissimi, tanto da cercare di raggiungerli in ogni modo. Da un tour estivo in acustico – che ha dimostrato la loro incapacità di perdere mordente anche di fronte ad una platea seduta composta – ad un altro viaggio a tappe per presentare il nuovo arrivato, questi ragazzi non vogliono proprio saperne di passare altro tempo sul divano ad aspettare.

Tra le parentesi di uno scroscio di pioggia nell’intro e nell’outro – rispettivamente la title track È già domani ed È già domani ora – si snodano riflessioni e confessioni a cuore aperto che sembrano far sbocciare i fiori del travaglio intimo e personale di ciascuno di loro. Raccontano i passi fatti senza ripudiare nulla di chi sono stati, ma con l’onestà di riconoscere e accettare il cambiamento. Giocare a fare gli adolescenti punk nella musica come nella vita, d’altronde, non sarebbe onesto e all’altezza di una band che, come monolitica costante, ha quella della fedeltà a se stessi.

Le sonorità dell’album si fanno più variegate che in passato senza che questo scalfisca la coerenza che ogni lavoro dei FASK porta con sé. Dalle schitarrate più tradizionali alla sorpresa di un assolo di sassofono, seppure distorto, in Fratello mio, le braccia dei perugini si allungano fino ad accogliere un panorama musicale sempre più ampio e parlare in maniera nuova, ma fedele, degli ultimi angoli imboccati nella loro storia.
Il rock made-in-Perugia si fa meno sporco e più personale. Si riempie di tasselli sonori “rubati” con religioso rispetto all’Olimpo della musica da Springsteen a Mercury, ma non solo. Se alla mente si affacciano subito gli arpeggi di I’m on Fire in Lago ad alta quota e i vocalizzi “rubati al re” (o alla Queen?) da Living on My Own, sembra di intravedere persino i Kings of Leon e Tame Impala.
Eppure, le citazioni non restano isolate al sound. Affiorano anche da testi come Senza deluderti, dove “verrà la notte e avrà i tuoi occhi / verrà la notte e avrà il tuo nome” sostituisce la morte pavesiana. Ritorna persino la profezia del Faber sul letame e i fiori nel vitalismo di Rave che ancora una volta fa brillare persino la quotidianità più misera.

Un altro pezzo della storia delle vite dei quattro entra nella loro discografia, portando con sé l’interrogativo sempre bruciante di come affrontare il diventare adulti. Non basta “quest’ossessione di sorridere al futuro” in un ottimismo irragionevole, come cantano in Stupida canzone – in uscita radiofonica in contemporanea con il lancio del disco –; allo stesso modo, in Fratello mio rifiutano la cinica deriva passiva nell’apparente vuoto di una vita sfidando a trovare un senso al dolore.
Già nel 2014 con Alaska si era palesato il presentimento che la generazione a cui urlano i FASK, così disastrata e abbandonata, potesse trovare la forza di sopravvivere allo sputo in faccia del tempo che passa facendo fronte comune. Oggi, a sette anni di distanza, non solo i fatti hanno dato ragione, ma hanno portato con sé la certezza che quella strada imboccata non porta solo a resistere, ma anche a crescere. Temere il futuro impedisce di vedere che lo si sta già vivendo, che da qualche parte si è arrivati. Percorrere la strada verso il futuro è già essere grandi.
È già domani. Ora.


Tracklist:
01. È già domani
02. Stupida canzone
03. Cosa ci direbbe (feat. Willie Peyote)
04. Lago ad alta quota
05. Fratello mio
06. Senza deluderti
07. Come un animale
08. Rave
09. Un posto nel mondo
10. In vendita
11. Portami con te
12. È già domani ora