R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Capita a proposito, in queste ultime giornate di ottobre, il quinto lavoro da titolare del polistrumentista Mathias Eick per ECM. Se non temessi di essere retorico direi che When we leave è il miglior approccio possibile a questo autunno. Non sono certo il primo ad identificare il suono della tromba di Eick come gravato da un’impalpabile malinconia stagionale. Le note al miele del trombettista norvegese non collassano mai nella stucchevolezza, soprattutto in un disco come questo in cui ritroviamo colui che dal precedente lavoro Ravensburg è diventato un po’ la sua ombra. Sto parlando del violinista Hakon Aase che interviene con lo stesso tatto e la medesima delicatezza di Eick, accarezzando questa musica con il suono estremamente pulito del suo violino. Non so se la propensione alla crepuscolarità possa definirsi come caratteristica di fondo per questi musicisti nordici – norvegesi nello specifico – ma spesso costituisce una sorta di marchio di fabbrica ben in sintonia con il clima della maggior parte delle incisioni ECM. Sulla timbrica della tromba di Eick potrei pescare nella memoria qualche istantanea di Kenny Wheeler o di Enrico Rava, anche di Jon Hassell laddove quest’ultimo lo si immagini sufficientemente decurtato dalle sue ibridazioni elettroniche. In questo contesto, comunque, il suono di Eick ha una propria personalissima dolcezza ed è affiancato, oltre che dal citato Aase, da Andreas Ulvo al piano, Audun Erlien al basso, i due batteristi Torstein Lofthus e Helge Norbakken con Stian Casrtensen alla pedal steel guitar. La formazione, letta sulla carta, può indurre qualche perplessità, soprattutto per la presenza di due batteristi e di uno strumento insolito in un ensemble jazzistico come una steel guitar. Niente paura: i batteristi interagiscono tra loro con massima discrezione e la chitarra a pedale offre degli spunti curiosi e degli echi aggiuntivi contribuendo all’atmosfera ammaliante che percorre l’intero album.

Loving è il brano di apertura e subito Eick e la sua “ombra” al violino interpretano una melodia eseguendola all’unisono e creando una particolare coloritura che assomiglia a tratti a quella ottenuta da una tastiera elettronica. Poi parte l’improvvisazione con Aase. Il suo violino, irradiato di solitudine, si libra su un intreccio molto sofisticato tra batteria e pianoforte. Andreas Ulvo pare proprio il pianista ideale in questo contesto, arricchendo di decorazioni armoniche l’intero paesaggio sonoro. La steel guitar riempie i vuoti assumendo quasi le velleità timbriche di un organo. Un inizio dalla bellezza struggente, quindi, che va a terminare ritirandosi su sé stesso, con la tromba che diventa più brillante e intensa proprio sulle ultime battute del brano. In Caring si percepisce una strana assonanza iniziale con The fool on the hill della premiata ditta Lennon-Mc Cartney ma è solo un incrocio breve e casuale. In questa circostanza sono il violino ed il piano che si sovrappongono su qualche nota introduttiva prima che la tromba cominci il suo viaggio. Perfetta la concomitanza delle percussioni con il basso elettrico di Erlien che si espone in un piccolo assolo dalle cui profondità emerge il bellissimo arabesco pianistico. Il vento della steel, pigro e languoroso, continua ad alitare dietro le quinte. C’è quindi un grande lavoro d’insieme dove ogni frammento musicale ha il suo posto e gli strumenti s’aiutano l’un con l’altro al fine di mantenere in equilibrio l’intera struttura complessiva. La tromba, soprattutto nel finale, gioca su qualche ritardo delle sue note soffiate, creando un progressivo clima dissolvente. Poi arriva Turning, con un inizio punteggiato dal pizzicato delle corde del violino e una batteria che accenna ad un passo appena più svelto. Non appena compare la tromba realizziamo invece che il clima non cambia, nonostante l’indicazione del titolo. Eick ha qui più esposizione personale mentre Ulvo collabora alla base ritmica percuotendo i tasti del piano ma fermando la vibrazione delle corde con la mano. Un intermezzo senza percussioni, ma costruito con la collaborazione di piano, violino e tromba, prelude ad un relativo crescendo dell’accompagnamento di batteria. Tutto resta comunque nell’ambito della penombra dove l’unica luce fredda è lo strumento di Eick che chiude quasi con un velo di mestizia. Flying è un gocciolio percussivo, tra riverberi e stupori misteriosi, che annuncia attraverso il canto della tromba una beatitudine quasi letargica, un piccolo eden in cui tutto basta per sé. Un brano provocantemente semplice, epurato da tutto tranne che da un senso generico di incantamento.

In Arvo appare la voce di Eick che sembra timbricamente interscambiabile con il suo strumento. Il pezzo assume una forma più jazzistica, la batteria si fa più robusta e l’andamento ricorda certe produzioni alla Pat Metheny. Brano molto melodico, dall’accento simil-arabeggiante, ma che un buon riff di piano, pressappoco alla metà, conduce decisamente verso atmosfere meno languide e più corpose. Grande spazio alla steel guitar che lavora, come sempre, in sottofondo. Playing si struttura più o meno allo stesso modo, mantenendo la sua pulsazione ritmica in evidenza. Il riff iniziale introdotto dal piano ha la struttura quasi rock di certe aperture alla EST con qualche venatura all’americana nei suoni lunghi della steel guitar. I termini, però, vanno sempre centellinati con cura perché in questa musica non ci sono mai spostamenti improvvisi né dichiarazioni impulsive e categoriche. Chiude il disco Begging, la traccia più malinconica, anzi, riverberante di una tristezza palpabile, serotina, quasi una confessione.
Il senso di questo When we leave sta nella capacità di scomposizione profonda delle parti musicali, indubbiamente dovuta all’abilità del leader di regolare quasi geometricamente gli interventi reciproci degli strumenti. Si evidenzia quindi una certa parsimonia di suoni, come se l’imperativo fosse quello di non alterare mai l’allineamento stilistico dei brani. Le singole note si fanno spesso delicate e come premurose, taumaturgiche e carezzevoli. Eick ha raggiunto e superato la sua linea d’ombra, sapendola decriptare e traendone ispirazione, senza avventurarsi in territori impervi ma costituendo invece un pacato reportage delle sue riflessioni esistenziali.
Tracklist:
01. Loving
02. Caring
03. Turning
04. Flying
05. Arvo
06. Playing
07. Begging
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