R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

La band più irriverente del britrock torna il 19 novembre con l’album Motorheart per Cooking Vinyl/Egea Music/The Orchard, a distanza di due anni dal precedente Easter Is Cancelled, entrato nella top 10 inglese con un buon riscontro di critica. Anticipato dalla titletrack e dai singoli Nobody Can See Me Cry e Jussy’s Girl, il disco è stato registrato, prodotto e mixato da Dan Hawkins nei Gateway Mastering Studios di Portland; copertina stravagante, con un rimando ai cartoons anni ’70, per la presenza di una sexy robot circondata da simboli fallici, il settimo lavoro in studio è stato annunciato dalla band come “l’album che spacca più forte di qualsiasi cosa fatta finora”, nove tracce (dodici nella versione deluxe) “per essere trasportati immediatamente da questa valle di lacrime lamentose ai campi elisi del rock dove tutte le mani sono alzate”. E Motorheart non tradisce le aspettative dei fans, forse il migliore prodotto negli ultimi anni.

Un inizio da cardiopalmo con Welcome Tae Glasgae, brano sospeso tra ritmi galoppanti alla Motorhead e cornamuse alla It’s Long Way To The Top degli AC/DC: del resto i fratelli Hawkins non hanno mai negato le loro influenze e la loro missione di resuscitare il rock. Il pezzo spacca di brutto con le sue chitarre ruvide e l’assolo al fulmicotone .

Segue It’s Love, Jim, hard rock in vecchio stile con una ritmica veloce, i soliti acuti in falsetto di Justin che, dopo 18 anni di carriera, sono diventati un pò il suo marchio di fabbrica, la batteria esplosiva di Rufus Tiger Taylor e un finale tipo il “game over” dei videogames Atari.

In terza posizione la title track, con la chitarra solista di Justin che esegue una melodia orientaleggiante e quella ritmica di Dan che picchia in stile metallo duro fino al cambio di passo nel ritornello, su cui aleggia il fantasma dei Queen, e nel finale, quando diventa quasi una ballad psichedelica. Testo sfacciato (storia d’amore tra uno sfigato e l’equivalente robot di una bambola gonfiabile) con video altrettanto irriverente.

La successiva The Power and The Glory of Love è un brano orecchiabile con ritmica alla AC/DC, tanto da somigliare spudoratamente ad Hard As A Rock, mentre Jussy’s Girl strizza un occhio agli anni d’oro dell’hair metal, con un bellissimo assolo di chitarra.

L’unica ballad dell’album è Sticky Situations per cui The Darkness hanno fatto uno strappo alla regola “due ballad per disco, una a metà, una alla fine”, che avevano sempre seguito fin dai tempi di Permission To Land; bello sia l’arpeggio che l’assolo.

Nobody Can See Me Cry è invece un brano velocissimo con repentini cambi di ritmo, quasi si fa fatica a starci dietro. Eastbound ? spassosa, ma nulla di eccezionale, mentre trovo fantastica la chiusura con Speed of The Nite Time, brano post punk/new wave, in cui finalmente sale in cattedra il basso di Frankie Poullain, con sonorità più cupe rispetto al resto, ma con un piglio che fa tanto anni ’80, insieme al tapping alla Eddie Van Halen, quindi non può non piacermi !

Voto: 10/10

Album grintoso, irriverente, sfacciato quanto basta a far alzare il volume al massimo. The Darkness confermano di essere tra le migliori rock band dell’attuale panorama musicale d’oltremanica, dal vivo poi posso garantirvi che sono una bomba, sia per la presenza scenica (Justin davvero a metà tra Bon Scott e Freddie Mercury) che per le doti tecniche. Da non perdere quindi le date italiane del 2022: 27 gennaio all’Alcatraz di Milano, 28 gennaio all’Estragon di Bologna e 29 gennaio al Hall di Padova.

Tracklist:
01. Welcome Tae Glasgae
02. It’s Love, Jim
03. Motorheart
04. The Power and The Glory of Love
05. Jussy’s Girl
06. Sticky Situations

07. Nobody Can See Me Cry
08. Eastbound
09. Speed of The Nite Time