R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Questo disco, In Between, è stato registrato a Tullinge, un sobborgo di Stoccolma di ventimila anime a un passo dalle grandi foreste attorno alla capitale. All’interno di quest’opera avvertiamo il respiro ritemprante dei grandi spazi. Non credo, infatti, che possa considerarsi banale constatare che Natura e Musica, come del resto avviene in tutte le forme d’arte, si siano storicamente sempre confrontate e influenzate l’una con l’altra. In effetti la tromba di Erik Palmberg come la si ascolta in questo lavoro – seconda pubblicazione discografica del trombettista svedese – pur essendo per molti versi legata alla tradizione del  jazz occidentale, risente anche di una innegabile componente ambientale. Le timbriche e le ritmiche presenti nell’album non rescindono il cordone ombelicale con gli antichi maestri ma nel contempo mantengono un certo mood distaccato che permette ai musicisti di creare un pianeta tutto loro. L’impronta nordica viene quindi in parte caratterizzata da una certa ombra malinconica e da una velata sensazione di solitudine rimarcata da suoni cristallini e trasparenti, come spesso si avvertono nella musica degli artisti nord-europei. In effetti parte dei suoni di In Between – in Distant Signals ad esempio – sono stati ottenutiutilizzando una camera di risonanza in sala d’incisione, dove gli echi avvertibili sono naturali e non risentono quindi di una correzione digitale come normalmente avviene negli studi di registrazione. Le influenze sul modo di suonare di Palmberg sono scuramente molteplici ma le maggiori suggestioni percepibili provengono dall’Europa, da Kenny Wheeler – canadese di nascita ma attivo in Inghilterra fin dal 1952 – ma anche da Enrico Rava e Paolo Fresu, in questo secondo caso soprattutto  per gli interventi al flicorno. In realtà le relazioni di Palmberg sono eterogenee, riassumendo nelle sue note un lungo patrimonio culturale ereditato da molti trombettisti della storia del  jazz occidentale. Il profilo di Palmberg, come quindi si può capire, non è molto originale di per sé ma quel che conta è la musica creata dal suo gruppo che riesce a distinguersi, a trovare una propria strada per creare uno stile, quanto meno riconoscibile, all’interno del vasto panorama jazzistico attuale.

A fianco della tromba e del flicorno di Palmberg ci sono Anton Dromberg al pianoforte, Nikklas Wenstromm che si alterna con Robert Erlandsson al contrabbasso, Sebastian Voegler e Jonas Backman che si danno il cambio alla batteria e infine gli altri due fiati, Karin Hammar al trombone e Ampus T. Adami al sax baritono.

I dieci brani presenti in scaletta sono tutti originali tranne lo standard di Taking a Chance on Love di Vernon Duke. Pathways promuove l’avvio dell’album con una melodia intrigante al flicorno che viene raddoppiato da un secondo fiato. Scoppiettante la ritmica di contrabbasso e batteria, quest’ultima decisamente giocata sui piatti a strutturare la trama su cui agisce un melodico e rarefatto pianoforte. Il brano è tranquillo e riflessivo ed è di per sé l’epitome dell’intero album. Segue In Between, introdotto da una sequenza d’intervalli “di quinta e quarta” in successione comandati dal contrabbasso, dinamica armonica frequente nelle danze sudamericane come ad esempio nella milonga. Ma qui, per ora, al di là dell’assetto ritmico non c’è nulla che alluda all’emisfero australe. Abbiamo invece la possibilità di cogliere l’articolazione dei suoni puliti di Palmberg che si muovono all’interno di aree quasi silenti, in cui il piano e qualche accenno di contrabbasso creano degli spazi e dei respiri dentro cui la musica può dilatarsi in tutto il suo potere melodico. La sollecitazione delle atmosfere latine arriva però con Unfamiliar Field dove Palmberg cerca acutezze timbriche che stanno quasi a metà tra la tradizione argentina e gli Usa degli anni ’60. Nonostante l’incremento ritmico, in questo frangente retto soprattutto dal drumming fantasioso di Backman, il suono non nevrotizza, mantenendo un aplomb di base che pare non scalfirsi mai, nemmeno nei momenti più tesi condotti dai suoni estremi della tromba. Quando arriva Taking a Chance on Love si va in modalità “rielaborazione” per questo standard di Vernon Duke composto nel 1940 e che faceva parte del musical Cabin in the sky prima di conoscere una serie interminabile di versioni realizzate da artisti jazz e pop. Qui va sottolineata la squisitezza dell’accoppiata sonora tromba-trombone, con quest’ultimo strumento, insolito nel pianeta musicale femminile, che invece qui è molto ben suonato dalla Hammar. La versione realizzata in questo disco è rispettosa dell’originale, pur arricchendosi ancora una volta di elementi ritmici latini, consentendo ai fiati e al piano di divertirsi in brillanti e rilassati assoli.

Distant Signals esordisce in un clima quasi barocco con il contrabbasso suonato ad archetto e la sovrapposizione dei fiati con l’evidenza squillante della tromba tra gli echi consentiti dall’apposita camera di risonanza accennata in precedenza. Frost Flowers è tra i brani più rarefatti della raccolta. Mentre la ritmica costruisce l’ambiente ideale, quasi zen nella sua essenzialità con le parti contenitive del contrabbasso, il piano prosegue nel suo gioco di ricamo tra le escursioni di Palmberg concedendosi anche un assolo a metà del brano. La tensione – per così dire – sale un poco verso il finale per poi acquietarsi nuovamente con le note della tromba che si dissolvono strada facendo. Con The Lighthouse finiamo nel cuore di una ballad caratterizzata da molti elementi tradizionali, dalla melodia accattivante e vagamente romantica al delicato accompagnamento pianistico – veramente Dromberg ha sempre la leggerezza di una piuma sulla tastiera e un tocco che completa emotivamente la composizione dei brani. Più movimento abbiamo in Conversations dove il flicorno discorre con scioltezza con gli altri due fiati, sax baritono e trombone. È il momento più risonante dell’album con modelli tradizionali vicino al be-bop, in cui ci si discosta in maniera quasi inaspettata dal contesto generale. Lingering Thoughs riprende in parte atmosfere e modalità precedenti a Conversations ma per altro non interrompe l’irruzione di sonorità collaudate, sostenute dal colloquio serrato tra Palmberg e Hammar che verso la fine del brano diventa più incisivo e quasi “sperimentale”. Si chiudono i giochi con Inflections condotto in parallelo tra pianoforte e tromba. Dromberg perfeziona la sua tessitura per lasciare a Palmberg i momenti conclusivi con un’improvvisazione che spazia attraverso le potenzialità espressive del suo strumento.

Nel complesso ci troviamo di fronte ad un lavoro composito, ben amalgamato, percorso da un aspetto meditativo e costantemente rilassato. La musica di Palmberg & C. non afferra per la gola, non possiede velleità rivoluzionarie ma è un mosaico di umori cangianti, iridescenti come cristalli di neve.

Tracklist:
01. Pathways
02. In Between
03. Unfamiliar Field
04. Taking a Chance on Love
05. Distant Signals
06. Frost Flowers
07. The Lighthouse
08. Conversations
09. Lingering Thoughts
10. Inflections