I N T E R V I S T A
Articolo di E. Joshin Galani
“L’uomo risponde al cielo ed alla terra” troviamo scritto nel Huang Di Nei Jing il Classico di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo, l’antico trattato di Medicina Tradizionale Cinese. Via Lattea, decimo album degli Enten Hitti, risponde esattamente a questo enunciato, ci spinge in alto, facendoci scivolare nello splendore ed incanto nelle dolci acque del fiume celeste e ritornare a terra, all’abbandono nelle sicure e accoglienti braccia materne.
Un album di una bellezza disarmante, uno spazio accogliente in cui abbandonarsi, sentirsi accolti, cullati, proiettati in alto senza vertigine o paure, in quiete. Perdersi nel proprio sorriso, che spontaneo arriva brano dopo brano, per quanta serenità e gioia riesce ad evocare. Lo trovo un lavoro prezioso, medicina musicale a cui attingere senza cointroindicazioni. Dodici tracce nate da meditazioni e registrazioni, con suggestioni antiche, nate da viaggi di ricerca nei luoghi dei culti della Dea Madre: Cipro, Creta, Turchia, Irlanda, Sud Africa, Tibet, Indonesia. In questi luoghi si è trovata traccia della cultura del “sacro femminile” che prese corpo oltre 4000 anni fa. Proprio ai culti del femminile, e alla trasmissione matrilineare della vita è dedicato questo disco, una ricerca musicale sulla “Linea materna”.
Gli Enten Hitti nati nel 1995, sono un gruppo aperto, fondato da Pierangelo Pandiscia e Gino Ape. L’anteprima che abbiamo il piacere di ospitare oggi è per il loro nuovo video Where Orion Fish Dream. Sono felice di poter fare delle domande su questo incantevole album.

“Via Lattea” è uscito il 2 febbraio, giorno della candelora, a cui sono legate tradizione cattoliche, celtiche e popolari. È la festa della luce che segna il lasciarsi il buio inverno alle spalle. Per i celti, ad esempio, si festeggiava la fertilità e la lattazione. Quest’ultimo significato mi sembra ben sposarsi con questo viaggio musicale sulle vostre ricerche del sacro femminile e discendenze di linee materne nei diversi popoli. Potrebbe rappresentare questo disco un punto in cui convergono tutte queste tradizioni?
Si certamente. Abbiamo sempre avuto un grande interesse per i riti del ciclo stagionale. Dal ciclo del fuoco celtico, alle feste arcaiche contadine alle suggestioni antiche dei saturnali fino alle testimonianze africane o asiatiche. Alcune volte, in modo intimo e personale capita di realizzare un piccolo rito in natura. Quando possiamo nelle performance pubbliche cerchiamo delle coincidenze con solstizi e equinozi. L’occasione della candelora del 2022 poi era veramente troppo bella per non essere colta. 02-02-2022 non è una data che capita spesso!
Anche il titolo di questo splendido disco “Via lattea” sembra ricondursi al simbolismo di nutrice universale, un po’ come una grande madre. Questa galassia viene raccontata anche come ponte tra cielo e terra. Credo che questo vostro progetto attinga dalla terra (fate uso anche di strumenti musicali tradizionali) ed accompagni l’ascoltatore in spazi astrali; ci ricorda il collegamento con la nostra essenza più eterea…
Ciò che sta sotto sta sopra… diceva qualcuno. L’uno lo specchio dell’altro. Senza volerlo capita spesso che nei nostri viaggi sonori partiamo da qualcosa di estremamente arcaico e “terrestre”. Pietre sonore, legni, bambù, zucche, tamburi di terra… Poi suonando inevitabilmente si crea un’atmosfera eterea, impalpabile, ipnotica. Non è cercata. Esce cosi. La linea verticale, che ci spinge verso lo spirito, naturalmente si manifesta!

Ci avete regalato un viaggio musicale che suona come un’ode alla natura, ritmi e profumi che toccano aspetti profondi che ci accomunano tutti. Le voci femminili sono intessute in questi brani come dolci ninne nanne, declinati in tappeti sonori (“Compassion of a star” “What Clouds Know”), canti tribali (“Beyond the Saffron Colored Ways” “Where The Orion Fish Dream”), mantriche (“Via Lattea”), canti sacri (“Love’s consequences”), o forma canzone (“Petra” “Alma De Niqua”). Ci raccontate delle collaborazioni femminili?
Una delle poche cose che abbiamo cercato con determinazione in questo lavoro è stata, appunto, di dare spazio alle voci femminili. Sia per il tema del disco che per la naturale affinità con la nostra musica. Abbiamo scelto di viaggiare su più voci per avere una tavolozza di colori il più ampia possibile. Cosi c’è la dimensione più tribale con Afra Crudo, quella più ampia e corale, profumata di oriente, di Paola Tagliaferro, quella lirica e antica di Julia Berger, ma anche l’approccio alla canzone con Jenny Sorrenti e Mari Celeste Criniti. Poi abbiamo cervato alcuni elementi “yang”. Con Claudio Milano che si è inserito con delle voci lontane quasi da altri mondi e con Juri Camisasca. Juri l’avevamo incontrato già in altri progetti. Nell’immensa opera “DE Musica” di Francesco Paladino dedicato a San Agostino la sua voce esprimeva l’equilibrio perfetto fra yin e yang. Il suo canto, carico di sacralità, era il giusto complemento nella tavolozza di voci presenti.
Un altro contributo è stato quello di Lorenzo Pierobon agli armonici, questo canto ha antiche tradizioni in Mongolia o in Tibet come elevazione spirituale…
Certamente il canto con gli “overtones” ci ha incuriosito da tantissimi anni. Avevo seguito molti anni fa Tran Quang Hai, uno straordinario maestro di canto armonico (maestro fra l’altro di Demetrio Stratos) che con il suo stile concreto e pragmatico aveva aperto con naturalezza le porte alla dimensione spirituale di questo modo di usare la voce. Nelle origini, certo, c’era anche la necessità di far arrivare il suono della voce negli enormi spazi della Mongolia. Terra di pastori e cavalli bradi. Anche in questo caso far viaggiare gli armonici della voce sulle lunghe distanze è metafora di un viaggio interiore. In un disco che vuole anche essere un viaggio interiore nella dimensione del “femminile” non poteva mancare il canto armonico!
Vi definite un gruppo aperto alle collaborazioni. Questo senso di completezza che evoca il disco vede il contributo di diversi musicisti, con cui avete creato un ensamble, chi sono? Li rivedremo sul palco nelle vostre performance live?
Abbiamo coinvolto davvero tantissimi amici in queste registrazioni e la speranza è di poter avere delle situazioni live che consentono di avere in scena tutti gli ospiti presenti. Da Vincenzo Zitello ad Antonio Testa, Da Juri Camisasca a Jenny Sorrenti. Da Claudio Milano a Lorenzo Pierobon a Paola Tagliaferro… Stiamo cercando Teatri e Festival in grado di capire il valore della proposta e di mettere a disposizione un budget che consenta di avere un ensamble completo. In parallelo abbiamo elaborato delle formazioni “essenziali” con cui fare le prime presentazioni. Pierangelo Pandiscia al liuto e ai metallofoni, Gino Ape allo xilofono e all’oboe, Jos Olivini al pianoforte, salterio, fisarmonica, Giampaolo Verga al violino, Antonio Testa alle percussioni e la voce bella e duttile di Carmen d’Onofrio.
Il vostro terzo video “Where Orion Fish Dream” che abbiamo oggi in anteprima mi ha suggerito la visione taoista: la volta celeste come Tao, spazio in potenza in cui si può manifestare la vita; cielo e terra (principio maschile e femminile) si incontrano, gli embrioni danno luogo alla vita, il cuore ne accoglie lo Shen, lo spirito. Si sviluppa la vita, con l’energia di nutrimento della terra ed il che illumina la coscienza; i serpenti a formare un’otto, simbolo di ri-creazione, infinito moto perpetuo vitale…
Che meraviglia! Hai detto tutto. Hai colto tutto!!! La sola cosa che posso aggiungere è che in tutto questo video ci sono riferimenti all’acqua. Creature degli abissi e profondità oceaniche. Da lì veniamo. Acqua come analogia del femminile e origine della vita!!!
Vi ho conosciuto partecipando ad una vostra performance di sleeping concert con Sainkho Namtchylak. Avete esaudito un desiderio che avevo da tempo, nato ai concerti dei Sigur Ros: poter assistere ad un concerto sdraiata, godere della musica in stato di veglia e nel passaggio verso il sonno. Esperienza indimenticabile! Avete suonato ininterrottamente tutta la notte, il vostro intento è quello di ampliare le percezioni dei partecipanti, scambiarsi e condividere sogni. Com’è nata questa idea di creare una “Comunità di Onironauti Sonori”?
Intanto c’è una predisposizione ed un antico interesse verso la dimensione del sogno. In letteratura, nei fumetti, nel cinema… Da lì è nata l’idea, una dozzina d’anni fa, di creare “concerti del sogno” in cui sperimentare la natura ipnotica dei nostri suoni creando una partitura che aiuti i partecipanti a modulare l’alternanza fra veglia e sonno/sogno. C’è di più. Non è solo un fatto performativo. C’è anche l’idea, in un periodo storico di frammentazione ed inaridimento di relazioni comunitarie vive, di creare momenti “tribali” in cui si sta assieme. Dormire assieme, sognare assieme anche per piccole comunità è un passo importante per riavvicinarci alla nostra umanità!
Credo che per riuscire ad accompagnare musicalmente gli ascoltatori con la vostra attitudine, fuori dall’ordinario, non basti la ricerca e conoscenza musicale, è evidente un percorso personale di consapevolezza ed elevazione dell’animo umano. Qual è il vostro?
Beh ognuno di noi ha fatto la sua strada. Anche con percorsi molto diversi. Dallo yoga all’astrologia, dai tarocchi al bondage, dal Tai Chi alla meditazione… Personalmente reputo di gran importanza il percorso fatto seguendo Jodorowsky e le esperienze con alcune confraternite sufi sia in Turchia e Cipro che nel deserto del Sahara.

Per la copertina del disco, la mano inconfondibile di Matteo Guarnaccia, cosa vi lega?
Matteo è stato un mito della nostra gioventù. I suoi disegni e libri ci hanno sempre attratto. In alcune occasioni abbiamo avuto modo di incrociare i percorsi (ad esempio nell’organizzazione del concerto tributo a Claudio Rocchi all’Out Off del 2018) e la sua floreale visione del femminile ci ha convinti e chiedere un’immagine per la nostra copertina. Così è stato!
Gli Enten Hitti sono nati nel 1995, l’anno successivo vede il vostro esordio discografico con “Giant Clowns of the Solar World”, che sarà ri-prodotto con una nuova veste e titolo in italiano nel 1997 dal Consorzio Produttori Indipendenti diMassimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti. Cos’è rimasto di quella esperienza?
Anni fulgidi. Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti con “Taccuini. Collana di Musica aliena” volevano allargare il successo commerciale del loro Tabula Rasa Elettrificata dando spazio a proposte musicali insolite e coraggiose. C’era un gran fermento e voglia di fare. I concerti al Tunnel di Milano o alla Casa degli Artisti di Roma hanno segnato un clima e una direzione. Come dire… SI PUO FARE!!!
Cosa significa Enten Hitti?
Questa è una vecchia storia. Nel ’95 in epoca post punk suonavamo in oscure cantine e fra il colorato pubblico di amici e conoscenti era uscito questo suggerimento: “I ti purgo”. L’abbiamo contratto dopo qualche mese in ITTIPURGO. Poi ancora nel giro di qualche mese, anche a seguito della lettura di un classico del filosofo danese Soren Kierkegaard “Enten Eller” è arrivato Enten Hitti. Questo nome inventato richiudeva molte cose. La tensione fra estetica ed etica del libro di Kierkegaard e la suggestione un po’ stramba per l’antica civiltà degli Ittiti. Amore per l’archeologia misteriosa, la pulsione verso la bellezza, l’ancora dell’etica comunitaria. C’era tutto!
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