R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Del Noce

Che la falange dei revisori (quando non autentici “guastatori”) della formula piano-trio non fosse del tutto sparuta se ne aveva già avuto sentore grazie ad eterogenee esternazioni, tra cui possiamo ricordare i newyorkesi Dawn of Midi o gli elvetici (e disciolti) Plaistow, ma non poco vi hanno già contribuito i tre eccentrici musicanti in oggetto, già piuttosto avanti con la loro serialità discografica.

Papirfuglen giunge pertanto quale sesta prova incisa poco dopo il doppio vinile deluxe Live på Victoria e il di poco precedente Mirakler, investendo ulteriormente entro una arena creativamente ludica e “libera dai legami di genere” – peraltro, è il dovuto da asserire stando (in Visket ut av regnet) al flusso di sonorità articolate tra tese note di violoncello, piccole chincaglierie e distillazioni di pianoforte, mimato dal glockenspiel in guisa più di carillon che di simulacro del massiccio strumento.

Enigmatica la successione ritmata e “gommosa” in Hjorten i skogen, entro un clima vagamente tribaleggiante e robustamente intessuto da sonorità che sanno di cuoio e caucciù. Perviene dunque spiazzante il deciso carico energetico di Lokk til Eurydike, di tempra post-svenssoniana, teso in vibrazione da un sostenuto, ritmico moto ondoso, connotato da bagliori di metallescente soundscape e conferente accelerazione e futuribilità allo schema fusion.
Con il brano tramonta ogni ulteriore pretesto di connessione della scaletta al filone suddetto, succedendosi quindi il mantrico e vibratorio clima di Å, var jeg en sangfugl, e due passaggi tematicamente ispirati al mondo di Hidegard von Bingen, almeno a giudicare dai titoli Hortus Delicarum e appunto Hildegard, chiamanti in causa la dimensione ‘antiqua’ con un inatteso quanto brillante impiego del clavicembalo, scintillante ed impersonale entro un milieu di destrutturata vaghezza.

Cautela nel giudizio su quanto prevalga nel complessivo approccio dei giovanissimi strumentisti da Oslo, certamente spregiudicato e non privo di algido humour (se non sottile perfidia) nei rispetti dell’orecchio mainstream: il programma (de-)struttura ulteriormente la loro ricerca, dissipando ogni connotazione “jazzoide” (o “jazzeggiante” che fosse) rintracciabile, magari, fino a Mirakler – e già stravolta nel successivo e recente doppio live. E desta dunque poca meraviglia il riscontro di quanto esposto nelle note di copertina da cui traiamo “prospettiva del mondo in vivida improvvisazione in un universo senza generi”; virulente quanto assai poco scontate, la idiosincrasica palette timbrica e la comune dimensione di giocoleria e sberleffi sonori del trio Moskus consolidano la progressione ‘avant’ del globale (e ormai imprevedibile) movimento NuJazz, cui il combo s’abbevera e contribuisce nelle contro-argomentazioni in libera polemica non soltanto con le norme del piano-trio quanto, a ulteriore sospetto, con i vincoli residui ad ogni formula base del jazz.

Moskus BANDCAMP

Moskus @ Hubro Music

Anja Lauvdal: sintetizzatori, clavicembalo, vocoder, pianoforte, sampler
Fredrik Luhr Dietrichson: violoncello, mandolino contrabbasso
Hans Hulbækmo: batteria, percussioni, vocoder, drum machine, glockenspiel, flauto a becco

Tracklist:
01. Visket ut av regnet
02. Hjorten i skogen
03. Lokk til Eurydike
04. Å, var jeg en sangfugl
05. Hortus Delicarum
06. Hildegard
07. Papirfuglen
08. Ville kombinasjoner
09. Den første dagen i mai

Photo © Christian Winther