R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Mélissa Acchiardi, (vibrafono), Jean-Paul Autin (Sassofono, clarinetti, flauti), Olivier Bost (trombone e chitarra), Clémence Cognet (violino e voce), Colin Delzant (violoncello), Jean-Marc François (rumoristica e oggetti), Xavier Garcia (sampler, elettronica), Christophe Gauvert (contrabbasso), Clément Gibert (sassofono e clarinetto basso), Félix Gibert (sax basso), Damien Grange (voce) Guillaume Grenard (tromba), Thibaut Martin (batteria), Marie Nachury (voce), Alfred Spirli (batteria e oggetti), Antoine Läng (voce). Vi chiederete cosa sia questa torma di persone e strumenti, ed io vi rispondo subito: questo è il più bell’ammasso di musicisti, riuniti in un consesso di musica di ispirazione folk-jazz. Si tratta della travolgente ed irrefrenabile La Marmite Infernale. Ricordo bene, e con grande emozione, l’esibizione di una parte del gruppo al NovaraJazz Festival nel giugno 2019: un concerto che non si dimentica facilmente. La più azzeccata definizione della loro musica potrebbe essere lo stesso acronimo del collettivo artistico lionese di cui la band è la filiazione diretta; ARFI: ovvero “Association à la recherche d’un Folklore Imaginaire”, ma anche questa definizione potrebbe essere riduttiva. I poliedrici ed eclettici musicisti francesi in realtà suonano musica di tutti i generi jazz, folk, citazioni colte della musica classica, con la particolarità che li suonano tutti insieme! E il minestrone che ne fuoriesce è semplicemente geniale ed irresistibile. Roba per stomaci forti, s’intende, ma vale proprio la pena ascoltare il loro non-programmatico caos musicale per rendersene conto e lo si può fare approfittando del loro ultimo lavoro che si intitola, molto coerentemente Humerus et vacillements.

Ma se il titolo è semplice e lineare, le cose si complicano, e molto, appena si preme il tasto “play”. Per la verità, anche leggendo la prima “Title-track”, qualche sospetto lo si dovrebbe nutrire: Viscères électriques con i primi gridolini e le prime vibrazioni di stridule corde, i conati, le pernacchie e poi i colpi di tosse e i vagiti che seguono, lo confermano e mentre lo stentoreo contrabbasso detta il ritmo, lo sganasciare delle risate, condite con note di sax, che vogliono apparire serie e riescono appena ad essere seriose, ne sono una ulteriore riprova. Del resto se si comincia dalle viscere, qualche sussulto ce lo si deve pur aspettare. Basta poi passare ad Humeurs Et Vacillements per capire che La Marmite Infernale non è solo qui a “pettinar le bambole”, ma piuttosto ad impegnarsi in qualcosa che va oltre al jazz, al folk e a tutto il resto, tradizionalmente intesi. Potremmo dire che la loro musica è una cosmogonia sonora in perenne sviluppo: da questo nasce quello e da quello quell’altro che è solo in apparenza simile a questo, poiché anche questo, nel frattempo, si è trasformato in altro ancora. Boum Boum Billy è un frastornante pezzo patafisico-rivoluzionario-futurista, con un testo degno del miglior Raymond Queneau. La quiete inquieta di Quelqu’un A ci aiuta a ritrovare una quiete disequilibrata, con i suoi toni decisamente più pacati, ma sottilmente striduli. Per scoprire una bella “canzone” occorre arrivare a Le Jardins Des Amours. Un bel ritmo e una voce romantica alla Charles Trenet, con quel sapore inconfondibile da “Douce France”; per dire la verità però non dovete badare molto al testo che magari qualche (sano) dubbio lo insinua, ma qui dovete aspettarvi di tutto, persino che il giardino degli amori assomigli un po’ anche a quello, non troppo convenzionale, di Amelie Poulenc. Biathlon è una geniale cronaca sportiva-musicale che risulta estremamente complessa da descrivere in due parole, ma è di grande godimento nell’ascolto. Il seguente Harmonique è un “solido sonoro” fatto di voci fuori sincrono, come i suoni e i gorgheggi che possono provenire da un golfo mistico prima dell’inizio di un concerto, ma che quasi miracolosamente, infine, trovano un unisono solenne e maestoso. Tutto sperimentazione rumoristica, vocale e dadaista è Nonante Huit, mentre il seguente Le Chapeau é all’inizio, una sorta di trattato semantico-estetico-musicale, (un recitativo in lingua inglese), che trascolora in una “madeleine” (in lingua francese) ironica ed istrionica, incentrata sulla funzione della musica come stimolazione del ricordo e della memoria. Ed è con la potenza vitalistica di We Are che si chiude questo incantevole e bizzarro “concerto” fuori da ogni schema, estraneo ad ogni contesto dato, lunare e terrestre, ironico, comico, serio, pensoso e pensato, una musica imparentata con tutti i generi e non classificabile in nessuno. Da ascoltare in religioso silenzio, o nel frastuono più totale, tanto è lo stesso. Piccolo capolavoro, sana medicina, contro ogni certezza.

Tracklist:
01. Visceres Électriques
02. Humeurs Et Vacillements
03. Boum Boum Billy
04. Quelqu’un A
05. Le Jardin Des Amours
06. Biathlon
07. Harmonique
08. Nonante Huit
09. Nonante Neuf
10. Le Chapeau
11. We Are

Photo © François Robida