L I V E – R E P O R T


Articolo e immagini sonore di Stefania D’Egidio

La serata era iniziata proprio male perché arrivata al Biko mi accorgo che, nella fretta, avevo montato un fondo di bottiglia al posto del solito obiettivo e, si sa, nell’atmosfera intima dei club underground le luci devono essere rigorosamente basse: dopo mesi di inattività, penso tra me e me, ci si mette pure la sfiga… Un’oretta di attesa che mi sembra infinita, durante la quale il circolo va riempiendosi piano piano, con gente venuta anche da fuori, a riprova che questa band merita di brutto, non a caso avevo deciso di chiedere l’accredito perché ne ero rimasta folgorata al primo ascolto, per la maestria degli Algiers nel mescolare generi diversi, dall’industrial al punk, fino al free jazz e per la capacità del loro frontman, Franklin James Fischer di scrivere testi incendiari.

Non la solita musica insomma, ma un diamante in mezzo a tanti cocci di vetro: originari di Atlanta traggono il loro nome da un luogo simbolo della lotta anticoloniale, uno spazio conteso in cui si mescolano violenza, razzismo, resistenza e religione. Nel 2012 pubblicano il loro primo singolo, Blood, per l’etichetta Double Phantom, un ibrido di gospel e postpunk dalle forti tinte ipnotizzanti. Dopo tre anni arriva il loro primo album e aprono alcune date del tour americano degli Interpol. Accompagnati alla batteria dall’ex Bloc Party Matt Tong i loro live si contraddistinguono per la carica esplosiva che sprigiona dall’amalgama di diversi generi musicali, apparentemente agli antipodi, con testi incentrati su razzismo, politica, manipolazione del consenso, temi sempre attuali, sia in America che nel resto del mondo.

Nel giugno del 2017 pubblicano il secondo album in studio, The Underside of Power, prodotto da Adrian Utley dei Portishead, e nel 2020 There Is No Year, in mezzo la partecipazione, come band di apertura, al tour dei Depeche Mode.

Salgono sul palco con una formazione a cinque, gli spazi sono ridotti all’osso, ma non abbastanza da impedire a Ryan Mahan di muoversi convulsivamente: se nei videoclip, infatti, è il frontman ad essere sempre sotto i riflettori, nella tappa milanese Fischer resta in penombra, cedendo il ruolo di matador al collega bassista.

La complessità del sound si poteva intuire, già prima che iniziasse lo show, dalla strumentazione piazzata sul palco, non solo i classici strumenti, ma una varietà di pedali, distorsori, launchpad per costruire una dimensione sonora personalissima, fatta di toni apocalittici, suoni cupi, intensi, ossessivi. Ne risulterà un ritratto fedele dei tempi in cui stiamo vivendo, in cui arriva al potere chi è in grado di manipolare l’informazione e soffocare il dissenso di chi si ribella, un ritorno quindi ad una musica impegnata, di denuncia, in cui gli artisti si caricano sulle spalle il dovere di risvegliare le coscienze. La loro passione trasuda dalle note che si liberano nella sala con il pubblico che risponde entusiasta ad una serata ad alto tasso di emozioni: c’è voglia di tornare alla normalità, ma c’è anche voglia di far sentire la propria voce, di non voltarsi dall’altra parte e di non accettare passivamente tutta la merda che ci sta cadendo addosso. Serata quasi perfetta dunque, se non fosse che nella notte, la band ha poi subito il furto di gran parte della strumentazione, mettendo a rischio così il prosieguo del tour: non un bel biglietto da visita per una città accogliente come Milano, peccato.