R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Al di là di ogni critica apologetica che porti il batterista e polistrumentista newyorkese Tyshawn Sorey in palmo di mano, bisogna prender atto come questo Mesmerism sia un gioiello di raffinatezza, l’attestazione lampante di una visione in trasparenza di tutto quello che il jazz, oggigiorno, rappresenta. Sorey ha sulle spalle anni di studi, di collaborazioni e di sperimentazioni anche nell’ambito delle grandi orchestre, è meritatamente benvoluto e riconosciuto dalla stampa americana come un “…talento straordinario…”, un “…compositore di idee illimitate…” e insomma, non ha certo bisogno di essere introdotto nel gotha del jazz contemporaneo. Di lui avevamo già parlato a proposito dell’album di Vijay Iyer Uneasy del 2021, dove suonava la batteria – la recensione, se siete interessati, la troverete qui. In questo suo ultimo lavoro in trio, oltre allo stesso Sorey alla batteria, si attestano due sue vecchie conoscenze, rispettivamente Aaron Diehl al pianoforte e Matt Brewer al contrabbasso. Cosa c’è in teoria di più collaudato e sfruttato di un classico trio come questo che si metta ad eseguire standard? Ma Sorey, con lo scientifico distacco di un entomologo, raccoglie e classifica melodie ed armonie senza prevaricarle né celarle dietro riletture intellettuali, anzi, rimanendo ben attento a conservarne spirito ed intenzione, al di là di ogni inevitabile, pur parziale, destrutturazione formale. Egli afferma, infatti, come la sua musica sia “…molto dettagliata e molto logica…”. Bisogna doverosamente ringraziare anche i suoi comprimari, soprattutto un pianista di qualità superiore come Diehl che reinterpreta gli standard con una capacità focalizzante e con un’inventiva tale da non stravolgere mai la turgida pronuncia jazz di questi brani. Questi pezzi scelti, quindi, non diventano altro ma sono sempre loro stessi, acconciati con un abito più conforme ai nostri tempi. Mesmerism non afferra il jazz per la coda ma s’impossessa direttamente della sua testa, rileggendo quindi brani già conosciuti per dare loro una diversa impostazione strumentale, rispettandone però l’originale nudità emotiva.

Indicativo è l’incipit di questo album. Il brano Enchantment di Horace Silver venne pubblicato per la prima volta, oltre che in un 45 giri Blue Note del ’56 – mi chiedo quale possa essere la quotazione sul mercato vinilico di questo singolo (!!) – e naturalmente nell’LP del 1957 6 Pieces of Silver, dove oltre al piano dello stesso Silver, erano presenti i fiati di Hank Mobley al sax tenore e la tromba di Donald Byrd. Naturalmente la versione del trio di Sorey, senza strumenti a fiato, deve parzialmente reinventarsi la componente armonica ed incrementare la rete informazionale tra gli strumenti affinchè si crei un “pieno” che sopperisca alla mancanza degli ottoni. La prima parte, ad esempio, viene completamente affidata al piano di Diehl che incrementando gli accordi dissonanti iniziali, rispetto alla versione di Silver, ne rallenta anche molto la velocità di progressione. L’intervento della ritmica recupera in parte la metrica della versione originale ma se quest’ultima aveva una decisa impronta latineggiante, non così avviene in questa nuova veste. L’assetto della batteria appare qui più fantasioso rispetto al drumming di Louis Hayes nel disco di Silver, ma è il gran lavoro del piano che bisogna sottolineare, insieme al puntiglioso contrappunto di Brewer al contrabbasso. Diehl mantiene un pianismo molto armonico, a parte la sequenza iniziale già citata, preferendo accordi più aperti che non gli abituali cluster molto usati dai pianisti contemporanei, soprattutto in fase di riassemblaggio di brani già conosciuti. Detour Ahead è un pezzo composto nel 1948 dal chitarrista Herb Ellis, dal violinista e contrabbassista Johnny Frigo e dal pianista Lou Carter. Ma forse la fama di questo brano è dovuta soprattutto alla versione di Bill Evans nel suo album Waltz for Debby del 1961. Ed è proprio con questo riferimento che il trio di Sorey si confronta, in un brano lungo una quindicina di minuti, dove Diehl sembra la reincarnazione di Evans, alla ricerca di quella parte di armonie interiori che forse erano rimaste inevase nel fondo dell’anima dello storico pianista del New Jersey. Intimismo allo stato puro, dove Sorey gioca a stare sul fondo della scena mentre lascia prevalentemente a Brewer l’arte della cucitura tra gli strumenti. Il tempo rallenta mentre il piano, senza fretta, crea i propri spazi dove cominciare a raccogliere note su note senza però scomodare la tradizione be-bop, piuttosto andando in qualche frangente ad abbeverarsi alla sollecita sorgente del blues. Se non avessi timore di esagerare mi verrebbe da dire che la versione ascoltata in Mesmerism presenti degli aspetti addirittura superiori a quella di Evans – e mi rendo conto che i comprimari di quest’ultimo, al tempo, erano Scott La Faro e Paul Motian, insomma, hai detto niente… Terzo episodio in sequenza l’arcinoto Autumn Leaves, brano composto nel 1945, nobilitato oltre che dall’autore della musica, il franco-ungherese Joseph Kosma, anche dall’aggiunta del testo in francese del poeta Prevert, in seguito poi “tradotto” in inglese da Johnny Mercer. L’atmosfera dominante resta in linea con quella del brano precedente, ma qui la porzione ritmica si distingue sia per un raffinato excursus di Sorey – un’autentica piuma su tamburi e sui piatti, direi quasi più sfiorati che percossi – e per un lungo assolo di Brewer che spazia attraverso la sua tastiera compiendo larghi salti intervallari, strutturando in una rete avvolgente d’improvvisazione la musica degli altri due strumentisti. Verso la parte finale del brano la temperatura tende a salire, così pure la dinamica sonora, con il piano che cerca con qualche dissonanza in più di allontanarsi dal centro gravitazionale tonale prestabilito. Le ultime battute, infilate di corsa, chiudono in canonica brillantezza.

From Time to Time non possiamo certo considerarlo uno standard. Si tratta, infatti, di un brano composto da Paul Motian ed editato con il cd Paul Motian 2000+One nel 1998. Se nell’originale Motian si avvaleva dell’apporto di un organico di strumentisti come Potter al sax, Kikuchi al piano e due bassisti come Granadier e Steve Swallow, nella formazione a trio di Sorey & C. come al solito ci si deve arrangiare. Il brano, fortemente atonale, vantava nell’originale la preponderante presenza sonora dello stesso autore Motian, nonché gli interventi del sax di Chris Potter. Qui invece, in casa Sorey, la batteria si avverte in diversa modalità percettiva rispetto all’esuberanza di Motian. Anzi, bisogna in qualche modo andarsela a cercare, tanto è discreta e sulle sue. Il piano procede in chiave apparentemente atonale, con qualche intervento rarefatto di contrabbasso. È comunque il pezzo che personalmente ho meno apprezzato tra tutti, un po’ troppo faticoso e alla lunga anche stancante. Two Over One è una traccia creata originariamente dal compositore, clarinettista e pianista Muhal Richard Abrams, che è stato membro dell’AACM di Chicago. Il brano in questione faceva parte dell’album Sightsong del 1975. Nonostante la chiara dimensione free jazz dell’autore, questa composizione si muove invece, anche nella sua versione originale, in ambito tonale. Nelle mani di Sorey e colleghi, Two Over One, presenta tutte le caratteristiche di uno sviluppo idoneo all’arrangiamento più classico del trio piano-batteria e contrabbasso. La musica appare persino cantabile in alcuni momenti e procede in pieno regime armonico, senza sbavature né forzature. Se nella traccia precedente Sorey s’era mantenuto quasi defilato, come del resto gli altri elementi del gruppo, qui si prende una bella rivincita arricchendo il tutto con i suoi interventi percussivi, bellissimi, in grado di scandagliare attentamente la metrica della composizione e costruendo un’architettura flessibile all’interno della quale viaggiano spediti il contrabbasso di Brewer – anche qui impegnato in un lungo e convincente assolo – e il piano di Diehl mai così armonicamente “ampio” come in questo momento. REM Blues è tratto dall’epocale album Money Jungle in cui il Duca suona assieme a Charlie Mingus e Max Roach. Il disco uscì nel 1962 e questa versione targata 2022 non sembra tener conto dei sessant’anni trascorsi, tanto si mantiene rispettosamente vicina ad Ellington. Sembra quasi che Diehl imiti persino il modo di suonare del Duca, a scatti e a pause tra una serie di accordi e l’altra. Un blues classico, quindi, che più non si potrebbe, quasi un devoto omaggio ai Maestri di sempre.
Se si cerca una musica per trio dominata dalla sobrietà esecutiva, l’approccio a questo Mesmerism è più che indicato, caratterizzato da questa performance rigorosa e misurata come raramente se ne ascoltano. Non siamo di fronte, quindi, ad un’avventura stravagante, ma ad una rilettura consona di alcune pagine importanti della storia del jazz, rese con la massima chiarezza espressiva possibile.
Tracklist:
01. Enchantment
02. Detour Ahead
03. Autumn Leaves
04. From Time To Time
05. Two Over One
06. REM Blues
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