R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Dimostra un garbo semplice e diretto, il sassofonista francese Jean-Charles Richard, proponendo una musica carica di suggestioni classiche e citazioni letterarie. Si lavora così nell’ambito della riflessione, del silenzio meditativo, con numerose pause scavate tra le note – suonate e recitate – del suo quartetto. L’opera che ne risulta procede senza fretta, con un passo leggero ed attento, fatto di penombre e di rifrazioni quasi liturgiche. Richard proviene in effetti originariamente dal mondo classico ma la sua presenza nel jazz è tutt’altro che secondaria. Su Off Topic ce ne occupammo a proposito dell’album di Jean-Marie Machado Majakka, che vedeva Richard come collaboratore – potete trovare la recensione qui. Il titolo del lavoro su cui ora ci concentriamo, L’Étoffe Des Rêves (La sostanza dei sogni) è una citazione shakespeariana che proviene da “La Tempesta” – “…siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti sogni, e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita…” – ed in effetti altre attribuzioni all’autore inglese ricorrono con la figura di Ofelia, più volte citata in questo album. Vi sono anche riferimenti a Tommaso D’Aquino, a scrittori come il russo Isaac Babel – fatto fucilare da Stalin per presunte attività antirivoluzionarie nel 1941, salvo poi essere riabilitato tredici anni più tardi – fino a poeti come Rimbaud. Inoltre Richard omaggia direttamente musicisti come Messiaen e John Taylor ma vi sono altre dediche più nascoste, disseminate per tutto l’album. I sax imbracciati da Richard, il soprano e il baritono, si alternano in una dimensione spaziale percorsa da radi pensieri malinconici, attraverso sospensioni e rallentamenti continui del flusso musicale che rimandano al periodo storico tra fine ottocento ed inizi novecento. Tra frammenti debussyani ed ulteriori allusioni impressioniste soprattutto per l’apporto pianistico del grande Marc Copland, il tutto risulta frequentemente percorso da scale improntate al jazz e gestite dai fiati dello stesso Richard. Con molta discrezione Vincent Segal al violoncello, sia pizzicato che archettato, si preoccupa maggiormente di legare il piano con il sax e la voce, quest’ultima un gentile contributo della compositrice Claudia Solal, figlia del più noto Martial, uno dei più grandi pianisti al mondo.

Il primo brano, Feodora, è un vero e proprio epicedio dedicato alla memoria di John Taylor, altro pianista tra i più colti ed influenti dell’area jazz europea. Il pezzo è stato scritto da Kenny Wheeler e fu pubblicato nell’album On The Way to Two registrato dal trombettista canadese in coppia con Taylor nel 2005. Richard ce ne offre una versione elegiaca, molto lenta, dove il suo sax baritono procede in un contesto disadorno nel quale è presente solo il pizzicato di Segal. Giverny è la città della Normandia dove risedette Claude Monet. La musica di Richard inizia con un tono insinuante, con il sax che descrive traiettorie di respiro mentre il piano di Copland appunta gocce di note impressioniste. L’assolo pianistico corteggia l’onirismo, è denso di sapienza armonica, qualità che certo non ha mai difettato nel curriculum di questo pianista di Filadelfia. Sembra quasi di poterle vedere galleggiare, le famose ninfee di Monet. Ophelia’s Death mette in musica i versi dell’Amleto attraverso la voce chiara e fuggevole della Solal. Il brano è piuttosto complesso, sia armonicamente che dal punto di vista vocale e non è di facilissima assimilazione, ma l’atmosfera un po’ decadente e il profumo di fiori appassiti che si sprigiona da queste note ne sottolinea il momento drammatico. Russian Prince ha un inizio di solo sax soprano che sta tra il Prelude a l’apres midi d’un faune di Debussy e il Rite of Spring di Stravinsky. Dopo questo approccio il pianoforte ricama una melodia dal sapore d’oriente di cui l’ondeggiante strumento di Richard inizialmente ne ricalca il movimento ma che poi, svincolandosene, va ad evolvere in una sequenza di linee molto più jazzate. Da notare l’intenso eclettismo coloristico di Copland, una policromia brillante con una ricca aneddotica di soluzioni armoniche. Ophelia si serve questa volta dei versi di Rimbaud, un po’ recitati ed un po’ cantati dalla brava Solal. L’accoppiata tra piano e violoncello riempie l’atmosfera di una misteriosa evanescenza fin de siecle e la naturale ”lunarità” della lingua francese finisce per esserne la raffinata sintassi.

Desquartes si crea sopra una sequenza di tre note di pianoforte ripetute e distanti una quinta eccedente – sol / re# – che contribuiscono a creare uno stato d’animo instabile, frutto del colloquio ristretto tra piano e sax. I punti fermi sembrano mancare e sbiadire da un momento all’altro percorsi da rotte tangenziali in mare aperto. Siamo al limite di una dimensione astratta, alle prese con una musica velatamente scontrosa ma tuttavia sempre immersa in quel mondo smaterializzato e introvertito che in qualche modo caratterizza l’intero album. La Lettre d’Isaac Babel, come già accennato precedentemente, si riferisce allo scrittore nato ad Odessa, in Ucraìna con l’accento sulla “i”. Non so a che tipo di lettera Richards voglia riferirsi, data l’endemica mancanza di informazioni delle note stampa allegate ma a me è rimasta impressa la missiva scritta da Berija a Stalin nel gennaio del’40, dove c’è un elenco di oltre trecento persone “sospette controrivoluzionarie” da giustiziare e Babel era il numero dodici. Il brano è molto corto, poco più che un appunto, dove il violoncello si porta a passeggiare sulle note basse e il sax baritono intona un melodia un po’ funerea. Light Flight è addirittura più breve del brano precedente – meno di mezzo minuto – ed è un “divertimento” ad opera di Segal. O Sacrum Convivium è ripreso da un piccolo offertorio per quattro voci composto da Olivier Messiaen nel 1937, con un testo poetico dell’Aquinate. Naturalmente Richards se la deve cavare con il solo sax e preferisce non imitare l’atteggiamento polifonico originale, ricavandone un suggestivo impianto in cui entrano progressivamente tutti e tre gli strumenti. Facendo virare la composizione a metà strada tra la sacralità che lo definisce per antonomasia ed un lessico più moderno, egli sempre però salvaguarda lo spirito primigenio che conserva un che di arcaica melodia. Arriviamo quindi al brano eponimo, L’Etoffe des Reves, con un testo tratto dalla Tempesta shakespeariana, dove il soprano di Richards vola attorno alle parole recitate dalla Solal sull’inconsistenza della realtà. Spleen misurato, dove a Richard riesce l’impresa di far risuonare i silenzi, quasi riverberando la recitazione attenta e ben pronunciata dalla stessa Solal. Weeping Brook chiude l’album con un solo al sax baritono dal suono scuro, quasi appena soffiato. 

È una musica piena di pensieri e di spettri, questa di Richard, che sembra quasi cercare di separare un uomo dalla sua ombra. I suoi sax son autorevoli, perfetti nella timbrica e nell’intonazione, lontanissimi dall’esuberanza nervosa di molti suoi colleghi europei e non. I sentimentalismi si prosciugano a favore di una lettura senza enfasi, perfino austera nella sua indagine interiore. Un’ipostasi di sentimenti personali per cui vale la pena emozionarsi.

Tracklist:
01. Feodor
02. Giverny
03. Ophelia’s death
04. Russian Prince
05. Ophélie
06. Desquartes
07. La lettre d’Isaac Babel
08. Light flight
09. O sacrum convivium
10. L’étoffe des rêves
11. Weeping brook