R E C E N S I O N E


Articolo di Stefania D’Egidio

Trentaquattromila followers sono un bel biglietto da visita per una band che sforna il suo album di debutto in un periodo in cui è impossibile andare in tour per promuoverlo e, d’altro canto, forse è anche il momento migliore per essere artisti emergenti: ormai gli album si possono produrre in casa senza troppi problemi, lo fa anche Sir Paul, basta avere gli strumenti musicali, un amplificatore e un software di quelli accessibili a tutti, e per la distribuzione si può anche fare a meno delle major, si pubblica il pezzo sui social e sulle piattaforme di streaming ed il gioco è fatto. Non a caso Instagram si sta rivelando un ottimo alleato nella ricerca di nuova musica da ascoltare, non devo neanche sforzarmi più tanto, merito degli algoritmi che ti entrano nel cervello e già sanno che roba ti piace… Così è stato per i False Heads, trio punkrock londinese composto da Luke Griffiths alla chitarra e voce, Jake Elliott al basso e Barney Nash alla batteria.

Copertina un pò alla Pink Floyd, dodici tracce omogenee, con un suono pazzesco, come forse non se ne sentiva dagli ormai lontani anni ’90; sfoderano per questo debutto tutto il repertorio a disposizione degli amanti del genere: dalle melodie acustiche del grunge, come nel brano di apertura, Whatever You Please, al punk dal sapore californiano della title track. Atmosfere dark con sfumature metal nel pezzo Ink, con un ritmo veloce e un basso portentoso, per certi versi mi ricordano persino i Nirvana, per le chitarre graffianti, la batteria che pesta all’inverosimile e gli assoli lineari, senza troppi fronzoli, come in Twenty Nothing e in Slev.

Bisogna attendere la sesta traccia, Comfort Consumption, per avere un intro lento e arpeggiato, giusto l’intro però, perchè subito dopo si prende quota in stile Foo Fighters. Inutile citare i titoli successivi, sono tutti dei bei pezzoni propulsivi ed energici, come da tradizione inglese conditi da una sana rabbia catartica, anche se il capolavoro arriva in chiusura con Rabbit Hole, brano costruito tutto attorno ad un riff di chitarra che farà scuola tra gli appassionati delle sei corde.
Sul sito ufficiale del trio potrete acquistare l’album, singolarmente o insieme al merchandising (t-shirt, felpa e bag) per cui proverò ad elencarvi i punti di forza di questo lavoro: album molto coerente, con un furore artistico che ben mi fa sperare per il futuro del rock e che, allo stesso tempo, riporta all’epoca d’oro del punkrock e del grunge; chitarre pungenti e ritmi molto sostenuti, una batteria che polverizza e un basso sostanzioso, ritornelli urlati e ripetuti alla nausea in modo che, una volta entrati, non ti escano più dal cranio, la furia e il pathos tipici di chi ha voglia di arrivare: insomma, un gruppo che si preannuncia pirotecnico nelle esibizioni live, basta dare un’occhiata ai video che girano in internet per rendersene conto e far venire l’acquolina in bocca.

Voto:10/10

Tracklist:
01. Whatever You Please
02. Fall Around
03. Ink
04. Twenty Nothing
05. Slev
06. Comfort Consumption
07. Come at The King 
08. Help Yourself
09. Slease
10. Steady on Your Knees
11. Wrap Up
12. Rabbit Hole