R E C E N S I O N E
Articolo di Cinzia D’Agostino
(a Massimo)
Questa sera, parlando con un caro amico musicista, gli spiegavo perché seguo un certo tipo di musica e perché mi emoziona tanto. “Vedi Sergio, è un po’ come ammirare un ortaggio o un frutto colto dall’orto di tua figlia che lo coltiva con tanto amore. Se lo metti a confronto con quello che sfila lucido sul banco di un negozio, sembra molto più imperfetto, grezzo, ma è enormemente più buono, succoso, ti dà soddisfazione e ti appaga il palato. Stessa cosa per la musica che ascolto, magica nella sua imperfezione e capace di trasmetterti così tanto da farti tremare”. Questo è un po’ Vasco Brondi. Da quando lo seguo, ancora agli albori di “Canzoni da spiaggia deturpata”, le vibrazioni sono sempre state le medesime, ascoltare qualcosa di nuovo ma nello stesso tempo primordiale, tutt’altro che scontato e ben lungi da un prodotto ben confezionato e pronto per essere servito in radio. La sua voce non è soave, non richiama virtuosismi, ha spesso stonature meravigliose che rendono ancora più vero quello che pronuncia, trasmettendo una vibrazione ancor più intensa tra parlato e recitato.

Con questo ultimo disco Paesaggio dopo la battaglia, uscito il 7 maggio ed autoprodotto da Cara Catastrofe, il primo a nome Vasco Brondi dopo l’abbandono de Le Luci della Centrale Elettrica, mi rendo ancor più conto di quanto io abbia amato questo progetto, per quanto ci sentissi dentro il richiamo delle mie origini musicali. Un punk che è uno stile di vita più che uno stile musicale, si ritrova in ogni nascosto anfratto della sua produzione. “Quando ci siamo conosciuti era come se già conoscessi i miei segreti e i nostri maestri avevano gli stessi nomi di cantanti morti, sono passati gli anni quando dormi non stringi più i denti, adesso i nostri maestri sono diversi”(Città aperta).
E così ripenso a un Vasco che, poco più che ventenne, si tuffava nel mondo della musica con il suo bagaglio culturale che era così tanto simile al nostro, figli della musica degli anni ’80 e ’90, dei “CCCP che non ci sono più da un bel po’” e che trovammo proprio in lui quel sentiero confortevole da attraversare dopo i resti di un tempo che sembrava ormai finito.
In questo disco c’è tutto, l’origine, la crescita, il divenire. Un meraviglioso scrigno di ricordi sacri che prendono forma e dai quali si plasmano le nuove consapevolezze.
“Siamo come quegli animali che nei posti più impervi ci fanno i nidi siamo diventati adulti per tentativi” recita 26000 giorni, brano che apre l’album e il cui titolo richiama la media dell’aspettativa di vita mondiale. Man mano che scorrono le canzoni, si viene sempre più travolti da malinconia, speranza, allegria, stati di grazia. Vasco, nel suo percorso, ha raggiunto oggi un livello di illuminazione sconcertante, quel giovane ragazzo che ci cantava “siamo l’esercito del SERT” ci ha saputo anche raccontare il “paesaggio dopo la battaglia”, una fotografia dei mesi bui vissuti durante la pandemia, i distacchi dalle certezze quotidiane che sono lontane anni luce dalle leggi di natura, immagini che scorrono come in un film in fast motion, con delicatezza, rispetto ed una riflessione profonda di rinascita dalle macerie, come la copertina stessa incarna, con la foto di Luigi Ghirri.
Un fiume di sensazioni contrastanti che tocca l’apice con Ci abbracciamo, concepita prima del covid e per questo incredibilmente profetica, commovente, dove l’abbraccio, il contatto fisico, la socialità è ormai diventata una primaria necessità, come andare ai concerti ad ascoltare quelle “canzoni che sono richiami, richiami per gli esseri umani”.
Più di un brano di questo disco mi ha fatto inumidire gli occhi. Mezza nuda è una stupenda narrazione che sfocia in un ritornello solenne e celebrativo, quasi un’invocazione durante una funzione sacra “le leggi dell’universo non sono quelle di questa città, non confondere le nostre brevi vite con l’eternità”. E poi c’è Chitarra Nera, una lunga lettera a un amico, un flusso libero di pensieri, un racconto toccante nella sua semplicità che chiude con una frase meravigliosa “ci vediamo nella prossima vita, mi rincomincerai a salutare, ti rincomincerò a salutare, siamo sempre stati pieni d’amore, pieni da scoppiare”.
Non c’è un brano di questo disco che non generi empatia, è un viaggio mistico, rassicurante, che sa anche farti abbandonare come cullato tra le onde del mare, magari proprio quelle dell’Adriatico. O forse, semplicemente, ho ancora la conferma che l’arte, la musica, sono anticorpi potentissimi.
Chitarre, fiati, violino, violoncelli, pianoforte e sintetizzatori sono una cornice perfetta, un accompagnamento in punta di piedi, mai invadente ma che si fonde in armonia perfetta alle narrazioni meditative di Vasco.
Pur essendo un album concepito come progetto solista, troviamo vecchi amici e professionisti di altissimo livello in Paesaggio dopo la battaglia. La produzione artistica è affidata al grande Taketo Gohara e all’immancabile Federico Dragogna e le collaborazioni sono veramente un pezzo di storia della nostra musica: Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo, Alessandro “Asso” Stefana, Mauro Refosco e Paul Frazier.
Ci sarebbero ancora mille riflessioni da fare su questa meravigliosa opera di Vasco Brondi, ma preferisco che vi risuoni nelle orecchie questo mantra che è stato attinto da Sant’Agostino e che oramai non mi abbandonerà più: “Amate e fate quello che volete, amate e fate quello che volete…non aspettate”
Tracklist
01. 26000 giorni
02. Ci abbracciamo
03. Città aperta
04. Paesaggio dopo la battaglia
05. Mezza nuda
06. Due animali in una stanza
07. Adriatico
08. Luna crescente
09. Chitarra nera
10. Il sentiero degli dei
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