R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Mentre il Mondo ci assilla con la brutalità delle sue notizie c’è chi, per fortuna nostra, possiede ancora il coraggio necessario per regalarci una buona dose di ottimismo distensivo. Che non significa fare il gioco delle tre scimmiette, bensì evitare tutte quelle distorsioni percettive a cui siamo esposti sotto il continuo tambureggiamento dei mezzi d’informazione che spesso diventano strumenti invasivi. Michele Santoriello, quarantatreenne musicista marchigiano, decide di scegliere il basso elettrico per esprimere tutta la propria vitalità e vigoria, ben percepibili attraverso gli umori espliciti di questo disco, MiCO, edito da poco dalla Abeat. Già la scelta di uno strumento paradigmatico come il basso elettrico suggerisce l’idea dell’indirizzo musicale che prevalentemente interessa Santoriello. Sono i territori della jazz-fusion e del funk a coinvolgerlo primariamente, anche se il percorso, in questo caso, si fa più eterogeneo inglobando misurati elementi di musica popolare e di pop-rock, come vedremo più esplicitamente. Diciamo subito che, pur essendo MiCO un lavoro privo di fantasmagoriche novità, la struttura ritmica ed armonica è assai ben sviluppata, arricchita da un preciso insieme che ne garantisce l’invidiabile fluidità di percorso. Non ci sono inutili complicazioni formali né incursioni dentro alcun lato oscuro della creatività: anzi, è proprio una certa solarità ed una visione positiva dell’esistenza che rincuora il nostro sistema emotivo durante l’ascolto.

Limpidezza intenzionale, energia senza inutili esibizionismi, assenza di stranezze disturbanti ed un mood a tratti inaspettatamente filato di malinconia caratterizzano l’essenza di questo lavoro. Il gruppo di musicisti prevede, oltre a Santoriello al basso elettrico ed a qualche intervento vocale, l’ottimo Massimo Valentini che suona i sassofoni, Davide Marini alle tastiere, Paolo Sorci alla chitarra elettrica, Christian Marini alla batteria, Matteo Salvatori alle percussioni, con l’ospitata d’eccellenza di Fabrizio Bosso che interviene in quasi tutta la sequenza di brani.
Apre le danze Sunday at home, in cui una iniziale nota ripetuta dal synt ed un insistente battito percussivo ricordano il tichettio di una sveglia, con la felice presa di coscienza che sia domenica e quindi, almeno teoricamente, tempo di riposo. L’intervento all’unisono dei fiati sprigiona tutta la prevedibile gioia che ci riempie quando ci rendiamo conto di che tipo di giornata sia. Un bel tema centrale su cui ruotano tutti gli strumenti, irrobustiti da una tastiera che esibisce diversi registri espressivi. Il brano è poi arricchito da un bellissimo assolo di tromba filtrata elettronicamente. Don’t cross the railway esordisce con il sax che imita il fischio d’un treno e una trama efficace di tastiera che lo sostiene. Subentra una linea melodica che dopo una certa impronta d’inquietudine tende ad indurirsi con la distorsione della chitarra elettrica in sottofondo. Il ritmo varia spesso e verso la fine il tutto si conclude con un incalzante vortice di fiati in crescendo. Soledad s’annuncia con un efficace connubio tra percussioni latine e suoni d’organo. Il sax di Valentini imposta un tema che accenna a un ricordo di Gato Barbieri ma è solo un attimo, poi tutto va per la propria strada. Brano molto sereno e misuratamente euforico, che termina con delle isolate percussioni in dissolvenza. Five O’clock presenta un tema melodico eseguito dal sax che trasmette la sensazione di vaghe reminiscenze popolari, fino all’abbandono dello stesso tema per avere la possibilità di lanciarsi in un assolo di grande qualità. Sopravviene poi il piano di Marini annunciandosi con un’iniziale impronta romantica per poi dirigersi verso la fusion e il ritorno nell’ambito dell’insieme strumentale. Run inizia con grande energia per trasformarsi in un’efficace ritmica funky. La sua tensione s’allenta permettendo alla tromba di Bosso prima, e al sax di Valentini poi, un’autentica manifestazione di maestria improvvisativa.

Arriviamo a Back to school. Tre sciabolate di accordi di synt non fanno prevedere il prossimo intervento vocale che costituisce una specie di antifona al canto strumentale. Arriva l’assolo di Bosso, tecnicamente perfetto e riprende quel canto iniziale che mi rimanda a vaghi ricordi di Pat Metheny prima maniera. Open your life …life is not a game, dice il primo verso della canzone, ma poi prosegue con uno sviluppo leggermente polemico, da quel che ho potuto capire, su certe letture esistenziali omologate per cui la vita “dovrebbe” essere legata al lavoro e al denaro. Ma “questa non è la mia vita” ribadisce il testo, costruito su una rivendicazione personale e condivisibile. La musica è quasi caricaturale, ribadita dal sax (baritono?) a scimmiottare l’andamento un po’ claudicante di chi forse zoppica nelle propria vita, invece d’imparare a volare…The love (of love) segue una linea di sax sopranoin cui pare manifestarsi una gioia profonda legata alla semplice consapevolezza di vivere. Creepin’, un brano di Stevie Wonder, autore che pare molto amato da Santoriello, chiude in tutta serenità con un brano che parte senza eccessive pretese ma che offre spazio espressivo alla chitarra, fino ad ora rimasta un po’ tra le quinte, mentre qui possiamo ascoltare Sorci in un’elegante uscita da solista. Un bell’album pieno di energia e voglia di vivere, in definitiva, dove è piacevole ascoltare ottimi strumentisti ed una modalità compositiva elegante dove la leggerezza è sinonimo di qualità espressiva. Nel cielo volano note luminose in un’aria che più pulita non è possibile.

Tracklist:
01. Sunday at home
02. Don’t cross the railway
03. Soledad
04. Five o’clock
05. Run
06. Back to school
07. Open your life
08. The love (of love)
09. Creepin’