L I V E – R E P O R T


Articolo di Luca Franceschini, immagini sonore di Lino Brunetti

Non mi ricordo quando è stata l’ultima volta che ho visto dal vivo Paolo Benvegnù. Avevo parlato con lui al momento dell’uscita del suo ultimo disco, Dell’odio dell’innocenza ed erano i giorni in cui il mondo si fermava ed il suo tour previsto di lì a poche settimane era già stato posticipato. Non sarebbe stato recuperato più: l’estate scorsa, quando timidamente si è ricominciato a suonare, c’è stato qualche concerto in solitaria ma se vi ricordate a Milano e dintorni ci erano venuti in pochi, probabilmente ancora vittime di una situazione che dalle nostre parti era stata molto peggiore che altrove.
Ero riuscito a vederlo solo a Bassano del Grappa, in compagnia di Marco Parente, ma mi mancava molto un concerto che fosse davvero suo e soprattutto mi mancava sentire dal vivo le canzoni nuove.
Il Parco Tittoni era stato il luogo da dove la mia attività concertistica era ripresa la scorsa estate; quest’anno di show ne ho già visti un po’ ma è sempre bello tornare in questo luogo, immerso nel verde e con l’elegante edificio di Villa CusaniTittoni Traversi a creare una cornice affascinante.
Rispetto allo scorso anno, la capienza è stata se non vado errato leggermente allargata (ci sono 400 posti) e se pure la presenza di tavoli e sedie rende il tutto particolarmente fastidioso, bisogna ammettere che il palco di fortuna improvvisato davanti agli scalini della villa offre un colpo d’occhio interessante.

Per questa serie di date Paolo Benvegnù alterna una formazione a cinque ad un trio, a seconda delle situazioni in cui si viene a trovare. Questa sera sono in tre: con lui il solito Luca “Roccia” Baldini, unico superstite della formazione che lo ha seguito per tanti anni, su disco e in studio, a partire da Hermann; oltre al basso, suona parecchio anche il piano elettrico, cambiando strumento a seconda delle canzoni. E poi Gabriele Berioli alla chitarra, che è una new entry ma che aveva già suonato su Dell’odio e dell’innocenza assieme a suo cugino Daniele, che suona la batteria ed è presente nella formazione a cinque. Gabriele è giovane ed è di un’altra generazione rispetto a Paolo (che non manca di farlo notare in maniera scherzosa, sia sul palco sia dopo, quando lo fermo per un veloce saluto) ma ciononostante se la cava benissimo: il suo apporto è fondamentale nell’inspessire la trama sonora, coi suoi fraseggi che si incastrano perfettamente con la chitarra acustica e contribuiscono a dare veste nuova ai brani.
Sicuramente l’impatto non è quello di un concerto full band ma il suo repertorio, anche riletto in questa veste minimale, riesce ad emozionare, soprattutto in quegli episodi dove è presente il piano, che dialoga in modo eccelso con le due chitarre e accompagna la voce di Paolo, come sempre ispirata ed evocativa.
Spiace un po’ che l’ultimo album non sia più al centro dell’attenzione (ma questo, mi verrebbe da dire, è un altro degli effetti della pandemia sui meccanismi della musica: a quale artista interessa davvero promuovere un lavoro vecchio di un anno e mezzo?): oltretutto lo scorso inverno è stato pubblicato Delle inutili premonizioni: venti anni di misconosciuto tascabile vol.1, rilettura in chiave acustica di una serie di brani del suo repertorio. Non un gran lavoro, lo avevo detto anche in sede di recensione, reso probabilmente necessario in un momento in cui le restrizioni da Covid rendevano davvero difficile ripensare il mestiere di artista. Va da sé che questa sera una buona fetta di set è occupata da questi brani, che comunque sono tra i più belli del catalogo di Benvegnù, non c’è molto da lamentarsi.


Apertura un po’ a sorpresa con In dissolvenza, un brano degli Scisma che era da un po’ che non si sentiva, prosecuzione con Altra ipotesi sul vuoto, una delle quattro tracce dell’ultimo lavoro che verranno proposte (le altre sono il singolo Pietre, Nelle stelle e Infinito 3, entrambe proposte nei bis). Sono arrivati molto graditi alcuni brani del suo esordio solista che da qualche anno non sentivamo: Il sentimento delle cose e Il mare verticale, quest’ultima una di quelle che ha goduto di più del trattamento riservatole dal trio, e poi una interessante Suggestionabili, un po’ diversa dall’originale, con la chitarra di Gabriele ad infilare pennate furiose nella strofa ed una carica ritmica che ha fatto da singolare contrasto con un set altrimenti piuttosto tranquillo. Bellissima anche Nel silenzio, che per chi scrive è uno dei suoi pezzi più belli, questa sera uscita particolarmente bene, una versione dolcissima e quasi sussurrata, che ha messo in evidenza ancora di più lo splendido testo.
Molto interessante anche Il nemico, ripresa nella raccolta acustica e uno di quegli episodi che Paolo ha suonato pochissimo negli ultimi dieci anni, per cui è sempre una gioia quando si riesce ad ascoltare.
Il resto è più o meno il solito: canzoni come Avanzate ascoltate, Love is talking, Andromeda Maria, La schiena, Cerchi nell’acqua e così via, che abbiamo sentito mille volte ma che arrivano ora tanto più come doni graditi, dopo così tanto tempo lontano dai palchi.


Finale molto intenso, con quella Sempiterni sguardi e primati che, quando c’è, arriva alla fine e che dopo così tanto tempo chiusi in casa e limitati nelle nostre vite, sa essere insieme un messaggio di speranza ma anche un inquieto presagio di quello che ancora avremo da patire (“È la fine del mondo e ti vengo a cercare, ora possiamo finalmente restare in silenzio a guardarci negli occhi, a tenerci per mano dove siamo. Qui. C’è un sole bellissimo e avevi ragione tu, non c’è niente in fondo alle cose, non c’è niente. Soltanto disperazione, fuga, incantesimo e mistero. Eppure è tutto vero. Anche se non c’è niente, eppure è tutto vero”). Mi ha fatto un effetto strano riascoltarla dopo alcuni anni che non la sentivo, si è stagliata nella sera insolitamente fredda di Desio (“Basta cambiare un accento al nome di questo paese e avrete il desiderio puro” aveva detto Paolo a poche canzoni dall’inizio) e ha provocato più di un brivido lungo la schiena, non so bene se di paura o di commozione.
Si finisce rimettendo un po’ le cose a posto con Olovisione in parte terza, canzone d’amore “cosmica”, unico estratto da H3+, altra grande esecuzione che suggella un concerto decisamente ispirato. E poi, a chiudere tutto, ancora gli Scisma con Simmetrie, versione maiuscola e tanto rimpianto per quello che questa band avrebbe potuto essere e che invece è stata solo in parte (la reunion del 2016 aveva provato a recuperare qualcosa ma era arrivata purtroppo fuori tempo massimo).


Ci mancava, Paolo Benvegnù. Ci mancavano le sue canzoni, le sue battute tra un pezzo e l’altro, così esilaranti e così in contrasto con la tristezza meditativa della sua musica. Non sappiamo cosa succederà, se davvero tutto questo avrà una fine e potremo tornare a vedere concerti come una volta, liberi e senza restrizioni. Personalmente ne dubito, per lo meno non accadrà a breve. Godiamoci quello che abbiamo ora, l’estate musicale che si profila all’orizzonte ci darà parecchi motivi per gioire.