R E C E N S I O N E


Articolo di Luca Franceschini

È stato un anno difficile, per Paolo Benvegnù. Difficile per tutti, ovviamente, ma è chiaro che lo è stato parecchio di più per i musicisti, soprattutto per quelli con meno visibilità e numeri, considerata la cronica mancanza di concerti. Nel suo caso poi, le tempistiche sono state ancora più crudeli: ci eravamo sentiti a inizio pandemia, quando ancora il lockdown nazionale non era stato decretato, e tra di noi si rideva, sapevamo già che il tour sarebbe stato annullato ma c’era ancora ottimismo e ricordo che ci augurammo entrambi di poterci rivedere per l’autunno.
Sappiamo che non è andata così. E siamo al punto che le canzoni di Dell’odio dell’innocenza non le ho ancora sentite dal vivo. Qualche data è riuscita a farla, quest’estate ma non ce l’ho fatta ad esserci. L’ho visto assieme a Marco Parente nello spettacolo Lettere dal mondo ed è stato bellissimo anche così, sono tempi in cui molto più di prima stiamo imparando a vedere tutto come un regalo.
E dunque Paolo riparte da qui, da un anno di incertezze e inquietudini, un anno senza concerti e con un disco che ha già compiuto il primo giro di boa ma che, da un certo punto di vista, è come se non fosse mai uscito. Delle inutili premonizioni – venti anni di misconosciuto tascabile vol. 1 è un Greatest Hits innovativo, sempre che voglia essere un Greatest Hits.

Si tratta di dodici pezzi della sua storia musicale registrati in solitaria e completamente in acustico. Che è poi la dimensione in cui la maggior parte dei musicisti si è ritrovata maggiormente in questi dodici mesi, tra dirette da camera propria e live streaming più professionali.
Sicuramente un modo interessante e particolare per tirare le somme di questi primi vent’anni, anche se poi non sono proprio venti, visto che Piccoli fragilissimi film è del 2004 e il suo esordio con gli Scisma del 1995.
Poco male, a lui queste cose non sono mai interessate e in un certo senso neanche a noi, credo non valga neppure la pena domandarsi se quel “Vol 1” del titolo implichi che avremo prossimamente un secondo capitolo oppure sia stato messo lì a caso.
Sui contenuti strettamente musicali, credo sia opportuno dire che Paolo Benvegnù, per quanto sia sempre stato un ottimo performer, da solo rende decisamente meno che in compagnia di una band. A partire da Hermann lo abbiamo visto sui palchi con una formazione sempre più affiatata, capace di far esplodere al massimo le già altissime potenzialità dei brani, lavorando benissimo dal punto di vista degli arrangiamenti e offrendo tiro, fascino e profondità.
Così in solitaria, armato solo della chitarra elettrica e con il semplice ausilio di qualche leggerissimo feedback e di un tappeto di tastiera qua e là, risulta più scarno e meno efficace, soprattutto perché la sua voce, sempre molto espressiva di suo, rende meglio quando si appoggia a più strumenti (ultimamente poi ha preso l’abitudine di allungare e trascinare troppo l’ultima nota di alcuni versi, un accorgimento che a mio modesto vedere rovina un po’ il pathos dell’esecuzione).
Scaletta nel complesso variegata, con almeno un brano da ciascuno dei sei dischi realizzati da solista, anche se forse è mancata un po’ di fantasia nella selezione, visto che tranne un paio di eccezioni, alla fine si tratta dei soliti episodi che da anni costituiscono i suoi cavalli di battaglia dal vivo.
Piacevole l’apertura con In dissolvenza, ad omaggiare con grande intensità il periodo degli Scisma e gradita risulta anche Il nemico, che negli anni ha eseguito molto raramente (e sempre da solo, tra l’altro, la ricordo in una bella serata al Parco Tittoni, credo fosse il 2016). Sicuramente funzionano meglio le cose più vecchie, dove la presenza della band era meno importante, quei brani che erano costruiti essenzialmente attorno alla chitarra e alla melodia vocale: Cerchi nell’acqua ad esempio, in questa versione così scarna e rallentata, perde molto della leggerezza che ha di solito ma risulta molto affascinante; lo stesso vale per Il sentimento delle cose, un brano che in epoca di pandemia invera decisamente il proprio significato, e poi La schiena, col suo solito andamento ipnotico.
Meno bene gli estratti dal capolavoro Hermann, che era quello dove l’apporto dei musicisti era davvero fondamentale: Ho visto e Avanzate ascoltate scorrono via un po’ così, Andromeda Maria è meglio ma c’è un abisso con la versione full band. Più o meno lo stesso discorso lo si può fare con Nello spazio profondo e Nelle stelle, unico estratto dall’ultimo disco (e si poteva scegliere meglio, probabilmente).
Mi ha invece convinto (ma mi è sempre piaciuta molto, devo dire) Olovisione in parte terza, da quel H3+ che, pur essendo un ottimo lavoro, negli anni è stato un po’ accantonato, o almeno così mi pare.  
Il finale di Sempiterni sguardi e primati invece impressiona: vi ricordate cosa cantava Paolo nell’ultima parte? “È la fine del mondo, io ti vengo a cercare. Ora possiamo finalmente restare in silenzio a guardarci negli occhi, a tenerci per mano. Dove siamo? Qui c’è un sole bellissimo e avevi ragione tu, non c’è niente in fondo alle cose. Non c’è niente, soltanto disperazione fuga, incantesimo e mistero. Eppure è tutto vero. Anche non c’è niente. Eppure è tutto vero.”
Era un pezzo che non ascoltavo da tanto, me l’ero quasi dimenticato. A risentire ora questi versi, sembra ci sia dentro tutto quello che abbiamo passato quest’anno, con le sofferenze, le frustrazioni, le speranze disattese, i lutti, la tentazione di cedere al nichilismo; eppure, allo stesso tempo, il fatto che la realtà sia concreta, irriducibile e soprattutto regali sprazzi di bellezza, se si ha la tenacia di cercarli e la semplicità di riconoscerli.
Non è un disco che consiglierei a tutti, comunque. Se non conoscete Paolo Benvegnù vi conviene partire da Piccoli fragilissimi film e da Hermann, che sono i suoi dischi migliori e anche quelli più rappresentativi della sua scrittura. Iniziare da questo potrebbe fuorviare, è sicuramente un lavoro sincero e suonato in modo appassionato ma offre comprensibilmente un’immagine parziale di lui, molto legata al vissuto di questo ultimo anno. Chi invece avesse già famigliarità col suo repertorio, potrà andare sul sicuro: un album così mancava nella sua discografia ed è sicuramente una bella aggiunta.
Nell’attesa ovviamente di rivederlo sul palco. I concerti mancano come non mai ma l’impressione è che sarà ancora parecchio lunga. Cerchiamo di non farci prendere dallo sconforto.

Tracklist
01. In dissolvenza
02. Io ho visto
03. Il nemico
04. Il sentimento delle cose
05. Andromeda Maria
06. Nelle stelle
07. Nello spazio profondo
08. Cerchi nell’acqua
09. Avanzate ascoltate
10. La schiena
11. Olovisione in parte terza
12. Sempiterni sguardi e primati