R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Nove volte su dieci, se si ascolta senza conoscerlo, un brano jazz cantato si pensa si tratti di un pezzo composto negli anni Sessanta, Cinquanta, magari anche Quaranta, dipende da molti fattori, naturalmente. Quasi mai però si pensa che un pezzo cantato possa essere scritto oggi. Forse perché scrivere un brano jazz non è come scrivere una canzone di musica leggera. Per identificarlo come brano jazz occorre abbia caratteristiche specifiche, molte delle quali sono state codificate negli anni e nella storia del jazz. Quando allora si sente cantare Ada Montellanico, come in questo magnifico WeTuba uscito qualche mese fa, si è portati a pensare che si tratti di brani della storia del jazz che magari non conosciamo o non ricordiamo. Ed è per questo che amo molto la voce di Ada Montellanico, per questa sua capacità di stare nel solco della tradizione, ma apportando continue novità nel modo di cantare e di interpretare il jazz. Del resto anche la tradizione è frutto di invenzione (come teorizzò anni fa lo storico Eric J. Hobsbawm, per questioni molto diverse). Ada Montellanico è una grande “inventrice di tradizione”. Se poi ad aiutare la bravissima cantante romana, ci si mettono Simone Graziano al pianoforte, Francesco Ponticelli al contrabbasso, Bernardo Guerra alla batteria, nonché la tuba di Michel Godard e la tromba di Paolo Fresu, l’incanto è “bell’e che fatto”.

Magari per adottare un metodo “randomico”, incominciamo dal pezzo n. 8 che si intitola Sorriso, scritto da Paolo Fresu e dedicato all’incanto e alla curiosità infantile, che in quattro e quattr’otto liquida quella fondata, ma sempre molto discutibile teoria che dice che per la musica rock e per il jazz, l’inglese sia la lingua d’elezione. Una canzone dolce, avvolgente e fluente, con un testo in italiano, e perfettamente calata nel blu del jazz… Ma se riavvolgiamo il nastro la meraviglia non cambia, jazz, jazz, fortissimamente jazz, cominciando da The Time Will Come con la voce di Ada che gioca magnificamente con la tuba di Godard che, subito dopo, apre in modo vellutato e quasi impalpabile Words, dove Ada Montellanico sembra essere in una particolarissima ed intimissima sintonia anche col piano di Simone Graziano. Heros è invece il brano meno imbrigliabile, con quell’infinito elenco di “eroi” presi a piene mani dalla storia del progressismo mondiale. Un brano molto particolare, con quel contrappunto tuba-voce che lo rende forse la composizione più originale dell’intero album. Segue A Trace of Grace, dove la voce di Ada non fa che confermare l’asserzione del titolo e poi l’impegnata ed impegnativa I’m a Migrant, con la malinconia irraggiungibile della tromba di Paolo Fresu a commentare un testo intenso e carico di dolore. Unsleepers è invece una ninna nanna per insonni, se mi si passa l’ossimoro, tutta giocata su toni notturni turbata solo dal crescendo finale. Un disco raffinato come la sua interprete che si chiude con BallAda, omaggio di Michel Godard ad una grande Ada Montellanico.


Tracklist:
01. The Time Will Come
02. Words
03. Heroes
04. A Trace of Grace
05. I’m a Migrant
06. Unsleepers
07. Go Deep
08. Sorriso

09. BallAda