R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

L’impressione primaria, ascoltando Vermillion di Kit Downes, terzo lavoro per ECM, è quella che si può provare osservando ad occhio nudo un cielo stellato. Tra i silenzi, le distanze siderali, gli ammassi di polvere cosmica e le luminescenze planetarie che appaiono nella volta celeste, pare di avvertire in sottofondo questo strano soundtrack ora appena accennato ora più denso che è la caratteristica del trio Downes, Eldh & Maddren, rispettivamente piano, contrabbasso e batteria. Sembrerebbe a tutti gli effetti un normale trio jazz come ce ne sono a migliaia. Ma parlare appunto di jazz, in questo caso, è quasi un arbitrio. Siamo di fronte ad una modalità contemporanea d’interpretazione di una musica tonale e acustica, senza interventi elettronici, limitatamente sperimentale, tuttavia lontana anni luce da quello che siamo abituati ad ascoltare nelle normali formazioni triadiche. Kit Downes proviene da un’educazione musicale mista, tra influenze classiche, jazz, sinfoniche e cameristiche. I suoi due precedenti album per ECM, Dreamlife of Debris del 2019 ma soprattutto Obsidian del 2017 che lo impegnò su un organo da chiesa a canne, sono, se vogliamo, ancora più proiettati verso una dimensione d’avanguardia rispetto a Vermillion, cosicché quest’ultima prova resta tutt’altro che ostica all’ascolto, immersa in un clima tranquillo e meditativo. Il principio di questa musica è un àpeiron, un indefinito principio di armonie insolite, seminascoste, sempre oscillanti tra spezzoni di melodie e imprevedibili rallentamenti in cui è il dialogo continuo tra i tre strumenti a costruirne lo sviluppo. Come spesso succede nel trio moderno, le gerarchie tra strumenti vengono bypassate in favore di un amalgama che pare costruirsi via via, seguendo probabilmente più da vicino l’improvvisazione che non la scrittura. Una raccolta di ballad, dunque? Anche qui siamo fuori strada. Il tono generale alle volte pare quasi trasognato ma in realtà si tratta di un senso di abbandono ad una certa sensazione d’infinito, lasciandosi trasportare da un sentimento dispersivo, un vagabondaggio per un’ignota Via Lattea interiore, in completa assenza gravitazionale. Oltre al pianista Kit Downers – che rivendica ispirazione dal suo compatriota John Taylor, scomparso nel 2015 – troviamo in questo trio lo svedese Petter Eldh al contrabbasso – che proviene dal trio di Django Bates – e il britannico James Maddren alla batteria, amico di vecchia data dello stesso Downers. In realtà i tre musicisti già avevano pubblicato insieme come gruppo sotto il nome di Enemy nel 2018. Tutte le tracce dell’album sono composte fifty fifty tra Downers ed Eldh, tranne l’ultimo brano che è una rivisitazione – o meglio una completa destrutturazione – di un famoso “hit” di Jimi Hendrix, quel Castles are made of Sands apparso in Axis: bold as Love del 1967.

Primo brano della sequenza è Minor Monks che ci fa subito intuire quella che sarà l’intera struttura dell’album. Poche note ”notturne” di piano scelte con misurata attenzione, spazzole e piatti che intervengono con tatto insieme a rarefatti battiti di contrabbasso. Nonostante l’apparente frammentazione della musica, mano a mano che essa s’allunga nel tempo si comincia a rintracciare un tema occulto, che emerge pian piano come una lenta fioritura e che ricorda vagamente l’andamento di una melodia tradizionale balcanica. Sister Sister ha un esordio talmente delicato da apparire a momenti lezioso che si allarga poi in quelloche parrebbe un tema ma che assomiglia in realtà ad un ventaglio di direzioni molteplici. Si riconosce tuttavia un motivo discendente di piano che tende a ripetersi, perfino a tratti con una certa cantabilità. Batteria e contrabbasso dialogano semplicemente sussurrando qualcosa all’orecchio dell’ascoltatore. Serenità che si dilata in un sentimento di solitudine beata. Seceda si avvicina maggiormente, come struttura, a una jazz ballad, contando sul bellissimo inizio tematico dettato dal pianoforte che finisce in un valzer lievemente e volutamente dissonante. È uno dei momenti più ritmicamente riconoscibile dell’album, con un motivo portante che viene citato anche dal contrabbasso. “Niente accade per caso”, in questa musica, e anche se questa citazione aristotelica lascia il tempo che trova, occorre dire che, almeno in un brano come questo, tutto è così soppesato che sembra – sembra! – non esserci quasi improvvisazione. Plus Puls ha un’intro affidata al contrabbasso che prelude al piano, suonato con un tocco di romanticismo, senza seguire apparentemente una direzione precisa ma accennando a diverse soluzioni, in un incrocio di strade differenti in cui – e questo è un vero miracolo – Downers non si smarrisce mai. Parliamo di incroci, non di sovrapposizioni. Non ci sono mai momenti confusivi o aleatori ma il senso preciso di un mondo oltre il mondo, affascinante nel suo essere poco riducibile dalle esigenze della ragione. Rolling Thunder è una sequenza di passi circospetti, con il contrabbasso che sembra salire ignoti gradini, seguito dalle note del piano. Un’escursione nel silenzio dello Spirito, quasi per non farsi notare. Con Sandlands finiamo in territori più conosciuti dove ricompare un jazz di altissimo livello, condotto su ritmi serrati come finora, lungo il percorso di questo disco, non avevamo mai ascoltato. C’è persino spazio per un assolo di contrabbasso alla Eddie Gomez, veloce e ben serrato. Il piano dimostra il suo debito artistico con John Taylor, traslando da una tonalità all’altra con stupefacente facilità. Impallidiscono qui gli adoratori della musica modale, tanto aumenta la verticalità armonica tra le dita di Downers – che pianista, signori!!  

Waders è tra i brani più complessi che ascoltiamo in Vermillion. Qui l’astrazione pianistica è ai massimi livelli. Eppure ci si muove sempre all’interno di un clima tonale ed è come se le note disponibili fossero più delle dodici presenti in ogni sezione della tastiera, sono note spesso inaspettate che seguono però uno schema veramente poco usuale. Il brano è breve e si passa al seguente Class Fails dove la batteria apre i giochi ma non è un assolo vero e proprio. È come se Maddren usasse le percussioni alla stregua di uno strumento cromatico, intercalandosi al millimetro con piano e contrabbasso. Downers intraprende poi un fraseggio molto armonico, uno di quei suoi soliti percorsi dove si avvertono emergere dei temi sotterranei, chiamati alla luce  nonostante siano continuamente mascherati dagli insistenti ricami di superficie evocati dalla sua mano magica  Bobbl’s Song presenta qualche dissonanza in più, sufficiente per disorientare leggermente l’ascoltatore, per poi riprenderlo per mano, anche per merito del contrabbasso, senza comunque tradire per un solo attimo i concetti basilari di questa musica vissuti sempre in un’atmosfera di dilatante, riflessiva attesa. Math Amager, se possibile, è ancora più bisbigliato, spesso frammentato in stacchi precisi nonostante i rubati del piano che accelera e diminuisce lo scorrimento delle note restando comunque all’interno dello stesso schema tempistico di base. Castles Are Made of Sand è ovviamente altra cosa dall’originale, in cui si riconoscono solo dei saltuari passaggi armonici di quinte, forse per rimandare al frequente utilizzo delle scale pentatoniche comunissime nel rock. Un Hendrix di un altro pianeta, insomma, completamente ritrasformato e ricondotto non tanto alle esigenze di un trio jazz ma a quelle proprie di Downers che pianista usuale proprio non è.

Vermillion è quanto di più attuale si possa trovare per quel che riguarda il suono di un trio jazz. Questa musica ha un grande valore aggiunto perché pesca in un nuovo, contemporaneo ma non ostico modo di intendere la musica attraverso melodie scarne ma non minimaliste, frutto di una scrittura introversa e tecnicamente molto avanzata. Credo che Downes sia attualmente uno dei più grandi pianisti che abbia mai ascoltato in quest’ultimo decennio e forse sarà meglio per tutti accorgersi definitivamente della sua presenza, se vorremo essere pronti a comprendere il “jazz/non jazz” del futuro.

Tracklist:
01. Minus Monks
02. Sister, Sister
03. Seceda
04. Plus Puls
05. Rolling Thunder
06. Sandilands
07. Waders
08. Class Fails
09. Bobbl’s Song
10. Math Amager
11. Castles Made of Sand