R E C E N S I O N E
Recensione di Stefania D’Egidio
La storia dei Ghost è un grande guazzabuglio, a partire dalla formazione, nata nel 2006 a Linkoping, in Svezia, da componenti di altre band, rimasti anonimi fino al 2015, e fattasi strada nel panorama metal a suon di Grammis e incentrando la propria immagine su un look eccentrico, di ispirazione ecclesiastica, che prevede musicisti dal volto coperto, denominati Nameless Ghouls, più un cantante, denominato Papa, che virtualmente abdica ad ogni album, sostituito da uno più giovane. Quest’aura di mistero è durata fino a quando alcuni membri si sono rivelati al pubblico, citando in causa Papa Emeritus e svelando così anche la sua identità, al secolo Tobias Forge, che, per tutta risposta, dichiarava di essere in realtà l’unico compositore della band, fatta eccezione per un paio di tracce scritte da Martin Pesner, ex chitarrista ritmico della band: come a dire…”non vi do manco un soldo!” Anche il nome stesso del gruppo ha subito un’evoluzione nel tempo perché all’inizio si facevano chiamare Ghost B.C., per via di beghe legali negli U.S.A., insomma se, dal lato musicale, hanno inanellato una serie di successi negli ultimi sedici anni, dal lato gestionale hanno navigato in acque ben poco tranquille. Comunque, archiviate le pratiche relative al vile denaro, eccoli riaffacciarsi in questo 2022 con un album nuovo di zecca, Impera, il quinto per la precisione, pubblicato lo scorso 11 marzo per Loma Vista Recording, prodotto da Klas Ahlund (Teddybears, Madonna, Kate Perry, Kylie Minogue, Britney Spears) e mixato da Andy Wallace, quello di Walk This Way, della premiata ditta Run DMC/Aerosmith, già collaboratore di Slayer, Cult, Springsteen, Nirvana, Sepultura, ecc… con la collaborazione in studio di Fredrik Akesson, chitarrista degli Opeth.

La copertina è già un tutto dire, con una foto modificata di Aleister Crowley, l’esoterista inglese fondatore del culto di Thelema, che era stato, in passato, ispirazione per diversi musicisti del panorama metal, tra cui Ozzy Osbourne, ma l’esoterismo non è l’unica chiave di lettura perchè lo stesso Forge ha dichiarato di aver affrontato tematiche più concrete, rispetto ai lavori precedenti, creando una sorta di concept album che racconta come ogni impero, già alla nascita, contiene quegli elementi che lo porteranno al declino e, successivamente, alla dissoluzione. Oltre a questo non mancano profezie ed eventi naturali, come eclissi e passaggi di meteoriti. Se il precedente lavoro, Prequelle, era ambientato nell’Europa del XIV secolo, afflitta dalla peste nera, con Impera i Ghost fanno un bel salto in avanti arrivando ai giorni nostri, o quasi.
Apre le danze Imperium, un intro arpeggiato di chitarra, di appena un minuto e qualcosa, per dare un vago senso di epicità al tutto; si prosegue con Kaisarion e subito ecco servito un acuto in stile Darkness per un pezzo rockpunk dalla ritmica veloce e bello lungo, oltre cinque minuti, quasi due brani in uno perchè dal terzo minuto prende una piega prog rock che non ci si aspetta. La terza traccia, Spillway, è un trionfo di sintetizzatori, tanto da ricordarmi i Bon Jovi di She Don’t Know Me, e la stessa sensazione torna con il decimo brano, Griftwood, entrambi veloci, orecchiabili e, nel complesso, piacevoli. In quarta posizione il primo singolo estratto dal cilindro, Call Me Little Sunshine, una delle mie preferite per l’atmosfera più cupa e la chitarra che, finalmente, ruba la scena agli altri strumenti. Molto bello anche il relativo video, diretto da Matt Mahurin, con la partecipazione di Ruby Modine, che pesca a man bassa dall’immaginario del cinema horror.
Stesso piglio metal per la successiva Hunters Moon, più veloce e con i cori in stile canti gregoriani. Per la cronaca il quarto singolo consecutivo dei Ghost a raggiungere la numero uno su Active Rock Radio, entrato anche a far parte della colonna sonora del film Halloween Kills. Tra le tracce meglio riuscite sicuramente anche Watcher In The Sky con quell’intro bello tosto, le chitarre granitiche, le voci che si sovrappongono e i riff ossessivi che si insinuano nella testa come tarli. Quindi Dominion, un interludio tutto di organo, e Twenties, il secondo singolo uscito in questi mesi, pezzo quasi cinematografico fino al ventottesimo secondo, quando le chitarre si scatenano e le voci si fanno pesanti, come da tradizione doom metal, niente male anche l’assolo.
A seguire Darkness At The Heart Of My Love, brano molto melodico, dal sapore un po’ malinconico, una ballad che sarebbe piaciuta molto negli anni ’80, ma che forse farà storcere il naso ai metallari più accaniti. Sul finire Bite Of Passage, un altro interludio dall’atmosfera misteriosa, e Respite On The Spitalfields, oltre sei minuti di arpeggi incisivi su cui si poggiano, con lo scorrere dei secondi, i power chords e un romantico assolo di chitarra; a partire dal secondo minuto mi parte una sorta di deja vu che mi riporta ai Whitesnake di Still Of The Night, mentre il finale è in stile prog con un tocco di epicità a chiudere il cerchio iniziato con Imperium.
Voto: 8/10 perchè è un album ambizioso, piacevole nella sua complessità, difficile da inquadrare in un unico genere, con un paio di brani belli lunghi, che sembrano contenere, come splendide matrioske, tante sfumature diverse. Tutti molto orecchiabili i pezzi, certo forse non convinceranno del tutto i fans di vecchia data, ma comunque non ci si annoia e non si ha mai la tentazione di passare oltre.
L’ Imperatour arriverà al Mediolanum Forum di Milano il 5 maggio: da non perdere per la spettacolarità delle loro esibizioni.
Tracklist:
01. Imperium
02. Kaisarion
03. Spillways
04. Call Me Little Sunshine
05. Hunter’s Moon
06. Watcher In The Sky
07. Dominion
08. Twenties
09. Darkness At The Heart Of My Love
10. Griftwood
11. Bite Of Passage
12. Respite On The Spitalfields
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