L I V E – R E P O R T


Articolo e immagini sonore di Fabio Campetti

Che il Belgio fosse una fucina di talenti l’avevamo capito già da un pezzo, dato che i Balthazar sono solo uno degli ultimi collettivi arrivati da lì ed esportati in tutta Europa.
Situazione che invece non è ancora capitata alla musica italiana, almeno fino ad ora, che negli anni, ha sì avuto proposte allineate, tradotte in tutta una serie di artisti potenziali, capaci e credibili nel saper cantare in inglese, (cito tra i tanti arrivati, i Giardini di Mirò e gli Yuppie Flu sulla cresta dell’onda soprattutto a metà anni zero) che non sono, però, mai riusciti ad imporsi all’estero, nonostante la pubblicazione di dischi che avrebbero meritato questo tipo di percorso.
Dicevo i Balthazar, che suonano stasera in quel del Fabrique per la loro pluri-posticipata data milanese, sono ormai una certezza, seguendo le orme dei fratelli maggiori, dai deus ai Soulwax o perché no, anche fino agli Hooverphonic che sul versante dream pop hanno regalato soddisfazioni, si sono imposti piano piano, per arrivare ad una titolarità di una propria e giustificata tappa di un tour europeo, che sta regalando loro un meritato e significativo riscontro.

Siamo ben distanti da tutto ciò che potrebbe essere considerato modaiolo, quindi per nulla scontato avere questo tipo di attenzione, detto questo la qualità dei nostri non si discute, c’è proprio una scrittura di fondo precisa, elegante, di sostanza, che va oltre ogni concetto di genere ruffiano o contestualizzato.
Siamo dalle parti del pop d’autore, ma andando a ripetermi, in un contesto forse di “non genere” ben preciso, dove semplicemente è solo e soprattutto il songwriting a fare la differenza. Fermo restando che il vestito ricco di strumenti e il i colori delle due voci sono perfetti per questo tipo di scrittura, al servizio appunto della canzone stessa, come dire c’è anche del mestiere fatto bene, che non guasta.

Dicevo, semplicemente belle canzoni, perché a volte non si chiede di più e la cosa da far notare è che la setlist, costituita da quasi una ventina brani non ne ammette uno che non sia un potenziale singolo, uno più bello dell’altro, capita sempre? Assolutamente no.
Quindi il concerto va a pescare dai cinque dischi finora pubblicati, che cominciano già ad essere una discografia di quelle significative. L’ultimo in ordine cronologico è proprio quel Sand, uscito a metà pandemia, e con tutte le difficoltà del caso e le incognite sul futuro ritorno all’attività live, meritava, quindi, un vero giro di concerti per celebrarne anche l’accoglienza di tutta la critica specializzata che ne ha tessuto le lodi, un disco, che a mio parere, conferma ancora una volta il talento di Maarten Devoldere e soci, quanto in grado di aggiungere ancora un tocco di eleganza e raffinatezza, una certa maturità acquisita e, come detto, sopra la meritata visibilità a livello europeo.

Addentrandomi nel live, la serata è aperta da una piacevole sorpresa, un’artista belga di nome Sylvie Kreusch, che non avevo mai sentito nominare, sebbene una volta letta come special guest, ne ho approfondito la conoscenza, rimanendo stregato. Classe 1991, bravissima, dal vivo carismatica, eccentrica, perfettamente a suo agio deliziandoci con un set di mezz’ora abbondante servendo brani indie pop, a tratti a tinte sperimentali, di notevole fattura e qualità con una voce bellissima, il classico timbro moderno, credo che ne sentiremo parlare o almeno glielo auguro perché merita davvero tanto.

Sylvie Kreush


Subito dopo Balthazar on stage alle 21,30, puntuali come il dogma milanese impone, servono sul piatto, a loro modo, hit a ripetizione, da Hourglass a Grapefruit arrivando a Moment singolo apripista dell’ultimo album, la bellissima Blood Like Wine, ma citerei anche la title track Fever o la stessa Losers che chiude i bis. Evitando di fare l’elenco della spesa, tutta la setlist può tranquillamente essere ascoltata in modalità random data l’elevata qualità delle composizioni, loro collaudati come una vera orchestra, chitarre, sinth, violino, trombone, percussioni, voci all’unisono, voci in falsetto, un ventaglio di soluzioni infinito.

Un concerto molto atteso, di un collettivo che, alla vecchia maniera, con il classico passaparola, si è guadagnato sul campo i meritati scudi di primi della classe. 

Sylvie Kreush
Sylvie Kreush