R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Bisogna possedere almeno un minimo d’incoscienza per mettersi a cantare le melodie di Wayne Shorter. Prima di tutto perché questo Autore presenta delle linee esecutive tutt’altro che semplici. Poi perché in composizioni come queste l’intonazione deve risultare sovrana e ciò a prescindere da ogni altro attributo vocale. Per fortuna Sonia Schiavone non difetta di qualità timbrica né tanto meno di intonazione. Aggiungete a tutto quanto una buona estensione vocale ed ecco che l’accesso a Shorter è garantito e timbrato con il marchio di qualità. Dei dieci brani che compongono questo Wayne Shorter’s Legacy un paio sono stati composti dalla stessa Schiavone, con l’aggiunta di due contributi testuali tratti da Emily Dickinson – una poetessa molto amata dall’Autrice dato che ispirò in massima parte il precedente lavoro Come-Eden – ma gli altri pezzi son tutti di Shorter ed appartengono al decennio che va dai ’60 ai ’70. I testi utilizzati in questa Legacy sono in parte della stessa Schiavone, altri estrapolati da importanti fonti letterarie e poetiche e altri ancora ottenuti modificando scritture già esistenti. Di questa compositrice, arrangiatrice e cantante torinese, noi di Off Topic ci eravamo già occupati in passato, recensendo il suo precedente lavoro, che potrete rileggere qui. La sua voce, dotata di una timbrica rilucente, si dimostra quasi paragonabile a quella di un sax soprano mentre la limpidezza della sua emissione vocale la pone lontano dalle incartavetrate cantanti rock-blues che sovrabbondano – nel bene e nel male – di questi tempi. E quando una voce come questa s’impadronisce della scena, la sensazione è di estrema fluidità, peraltro rimarcata dallo splendido – è veramente il caso di dirlo – ensemble di musicisti che l’accompagnano. Tra gli elementi del gruppo leggo, insieme agli altri, il nome di Stefano Profeta – contrabbassista che avevamo conosciuto con il bel disco di Lucia Minetti Jazz Nature del 2017 – ma anche altri due nomi interessanti, cioè Fabio Gorlier al pianoforte e Cesare Mecca alla tromba che ho entrambi recentemente ascoltato nel lavoro di Max Giglio, Cities and Lovers. Completano il gruppo dei musicisti anche Donato Stolfi alla batteria, Gianni Virone ai sax e ai clarini e Aldo Caramellino al trombone.

Il primo brano proposto dalla Schiavone è Deluge, da JuJu (1965), con testo ispirato alla poetica di Elizabeth Barrett Browning, artista inglese (1806-1881), moglie del drammaturgo Robert Browning e sepolta a Firenze. L’inizio metterebbe paura a qualsiasi cantante, non tanto per il salto di un’ottava – da un Mi bemolle all’altro – ma per il rischio di un certo trascinamento della nota che può avvenire quando l’esecutore non ha sicurezza nei suoi mezzi. Inutile dire che la Schiavone è perfetta nel risolvere questo intervallo. Ottima la band con l’assolo di Gorlier al piano, sempre creativo nelle armonizzazioni, e quello di Profeta al contrabbasso lavorato principalmente sulle note più alte. Quando la voce riprende le redini del brano non possiamo non accorgerci di quanto morbido sia il suo approccio, qualità cristallina che peraltro riscontreremo lungo tutto l’album. Segue Footprints, da Adam’s Apple del 1967. La parte iniziale è più lenta rispetto all’originale scandito in ¾, accentuandone una lettura più intimista. Questa introduzione mi ha ricordato la versione che del medesimo pezzo ha fatto Karrin Allyson nel 2006. Ma mentre la cantante statunitense trasforma il brano in un’espressione di raffinata pop music, la Schiavone ne mantiene successivamente l’integrità e l’impronta – appunto – più classicamente jazz. Il testo, ad orecchio, mi sembra leggermente modificato rispetto a quello già conosciuto e cantato, ad esempio, dalla stessa Allyson. Bellissimo l’assolo al sax soprano di Gianni Virone che ricorda l’approccio sopranista dello stesso Shorter, nel periodo che segue al 1964, dopo la collaborazione con Miles Davis. Il terzo brano è Yes and No, che in realtà sarebbe Yes or No anch’esso tratto da JuJu. Il testo è ispirato liberamente all’Amleto, avendo come sottotitolo il celeberrimo monologo “To be or not to be…” dell’accidioso principe danese. Viene mantenuto lo swing ficcante del brano originale, anche se non è facile per nessuno inseguire uno degli assoli più incandescenti di Shorter mai apparsi nella sua storia di sassofonista… Oltre al fraseggio pianistico in stile be-bop che ascoltiamo da Gorlier, con il sottofondo di fiati talmente ben fatto da far pensare a certi arrangiamenti alla Count Basie, la Schiavone si lancia nel test dello scat, superato con brillantezza – quanti cantanti, soprattutto dal vivo, ho sentito inciampare su questa sorta di “rito di passaggio” per i jazz vocalist… È la volta ora della ballad, con l’intensa Infant Eyes, tratta da Speak no Evil del 1964, con testo scritto dalla cantante torinese e dedicato alla sua famiglia. Voce carezzevole che tende ad ammorbidirsi ulteriormente nelle note più gravi e a mantenersi dolce anche in quegli spregiudicati salti intervallari tipicamente presenti nelle melodie shorteriane. È ancora Virone a deliziarci con le note vibranti ed avvolgenti del clarinetto basso, prima del grazioso, discreto e contenuto assolo di piano a seguire. Touches of Colours è un brano originale della Schiavone, con testo adattato alla musica tratto dai versi di Emily Dickinson (1830-1886). Abbandonando momentaneamente la cometa di Shorter, la cantante si avventura in un territorio parallelo, nell’ambito di un pop sofisticato dalle venature jazzy. Abbastanza buona la melodia ed arrangiamenti sempre al giusto livello.

Anche I Sing è farina del sacco della Schiavone, sempre con testi riferiti alla Dickinson e personalmente preferisco questa traccia alla precedente, più convincente non solo nello sviluppo melodico, maggiormente vario ed ampio ma anche nel ricercato arrangiamento, con un assolo di sax caldo e avvolgente. Si torna sulla strada di Shorter con Iris, dall’album di MIles Davis E.S.P. del 1965. Il testo in italiano sembra una metafora costruita attorno al mito greco della messaggera degli dei Iris, identificata con l’arcobaleno. Al di là di ogni interpretazione testuale, il brano è uno dei più difficili da intonare, con una serie di passaggi armonici e cambi di modi, naturalmente tenendo conto degli intervalli sempre difficili da azzeccare. Tutto procede bene, però, senza scosse particolari, in un clima moderato in cui la ritmica di contrabbasso e batteria sono un po’ il filo d’Arianna di questo cantato, armonizzato elegantemente dal piano di Gorlier. Speak no Evil è tratto dall’omonimo album del 1964 ma in questa nuova versione il ritmo originale in 2/4, proposto con uno swing stringente, viene qui modificato, spesso con introduzione di pulsioni ritmiche diversificate. Coraggioso l’arrangiamento, anche se risulta alfine un po’ dispersivo, nonostante la bella relazione tra i fiati (sax, tromba e trombone). Compare anche un po’ di vocalese per la Schiavone e un ottimo solo di sax tenore di Virone. Miyako è la ballad che Shorter dedicò alla figlia, tratto dall’album Schizophrenia del 1969. Nella versione presente in W.S Legacy viene mantenuta la scorza affettiva che caratterizza il brano, arricchito con un solo di clarino che definire spettacoloso mi par persino poco. La voce della cantante torinese raggiunge i suoi toni più intimisti e culla l’ascoltatore nel brano forse più “privato” dell’intera raccolta, mentre per il testo anche in questo caso, come lo è stato per Deluge, si palesa l’”ombra” poetica della Browning. Chiude Black Nile, dall’album Night Dreamer del 1964, fortemente sincopato e swingante come la versione originale.

La Schiavone si muove in un terreno potenzialmente minato per un cantante – e non solo – quando decide di misurarsi con un autentico nume tutelare come Shorter. Tuttavia, in questo specifico caso, il percorso avviene senza danni, con un gruppo di musicisti molto valido a cui si deve in gran parte la buona riuscita dell’album, anche grazie agli arrangiamenti operati dalla Schiavone stessa. Non si tratta quindi solo di una celebrazione ma parlerei piuttosto di una soggettiva rivisitazione, secondo la sensibilità e la capacità interpretativa di una tra le cantanti attualmente più preparate che abbiamo in Italia.

Tracklist:
01. Deluge
02. Footprints (Follow the footprints)
03. Yes and No (To be or not to be)
04. Infant Eyes
05. Touches of Colours
06. I Sing
07. Iris
08. Speak No Evil (All for one)
09. Miyako (How do I love thee)
10. Black Nile