L I V E – R E P O R T
Articolo di Andrea Notarangelo
Un ottobre decisamente caldo accoglie i Porcupine Tree per il loro rientro nelle scene tredici anni dopo l’ultima uscita in studio. La band è in tour per la promozione del nuovo disco, quel Closure/Continuation, che è uscito a giugno, ha diviso i fan, e che in questa tappa meneghina verrà riproposto nella sua interezza in alternanza a pezzi storici del repertorio. Il Mediolanum Forum è tutto esaurito come nelle migliori occasioni e alla temperatura quasi estiva che fa da cornice a questo autunno anomalo, ulteriori tinte calde sono dipinte sugli sguardi di chi ha atteso, con impazienza da un anno, questo momento. La band sale sul palco con disinvoltura ed è proprio Steven Wilson, leader e ideatore del progetto in quel lontano ‘87, che prende parola per scusarsi con il pubblico per l’attesa infinita. I fan lo perdonano da subito, dal momento in cui parte l’attacco di Blackest Eyes, traccia di apertura di quell’album capolavoro che corrisponde al nome di “In Absentia” e che dal 2002 in avanti proietta i Porcupine Tree da ‘stupido sogno’ (per citare l’intro del concerto, Stupid Dream, oltre che titolo di un altro pregevole disco), a fenomeno rock di portata mondiale. Un palazzetto intero raccoglie l’invito a cantare in coro il famoso ritornello I got wiring loose inside my head / I got books that I never ever read / I got secrets in my garden shed / I got a scar where all my urges bled, ma la gente chiude gli occhi e prosegue all’unisono fino al termine del brano. La band si è ripresa il suo pubblico e dai cenni d’intesa con Richard Barbieri e Gavin Harrison (rispettivamente tastierista e batterista storici), si capisce che sarà una serata magica. Come anticipato, Wilson precisa che verranno suonati tutti i brani dell’ultimo disco e infatti, in successione, vengono proposti Harridan, Of the New Day e Rats Return che sono rispettivamente, primo, secondo e terzo brano di Closure/Continuation, nonché singoli promozionali. A giudicare dalla risposta del pubblico si può affermare con certezza che le canzoni sono state ben assimilate e sono già entrate a far parte dell’immaginario collettivo.

Harridan, nella sua sequenza iniziale di basso, mette subito alla prova il nuovo bassista Nate Navarro, incaricato di non far rimpiangere Colin Edwin, musicista mai dimenticato dai fan che a più riprese nei mesi scorsi ne richiedevano il reintegro. Per dovere di cronaca è giusto citare anche Randy McStine, nuovo chitarrista che ha dovuto sostituire John Wesley (di fatto per anni quinto membro silenzioso della band). Il pezzo è coinvolgente e proprio i nuovi innesti dimostrano di non temere né la pressione né i paragoni e finiscono così con l’essere promossi a pieni voti. Navarro sa far cantare il basso e la potenza della ritmica messa in campo offre una marcia in più e quasi inaspettata; McStine, dal canto suo, non è solo un valido supporto alla chitarra ritmica o agli assoli di Wilson, ma è anche in grado di reggere i controcanti e le parti vocali che erano state il plus messo in campo negli anni precedenti da John Wesley. La placida Of the New Day, assieme alla sua esplosione finale e la ritmica Rats Return ci confermano come i Porcupine Tree, nonostante siano dei perfezionisti, riescono ad offrire il meglio in resa live. Sia ben chiaro, i musicisti coinvolti, a partire dallo stesso Wilson, fino a Barbieri e Harrison, sono a pieno titolo dei mostri di tecnica, ma dal vivo riescono a dare qualcosa in più. È come se si accendesse un fuoco sacro e improvvisamente uscisse fuori la vera anima del pezzo. Even Less non ha bisogno di presentazioni, assieme a Drown With Me accompagnano il pubblico in un nostalgico viaggio nel tempo. Dignity e Chimera’s Wreck, entrambe tratte dall’ultimo disco, chiudono la prima parte della serata inframmezzate dall’esaltante The Sound of Muzak e Last Chance to Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled, quest’ultima come unica concessione dal controverso “Lightbulb Sun” (album amato dalla frangia più pop dei fan ma che riserva capolavori progressive come Russia On Ice). La prima, una canzone potente che mette in risalto il ruolo dietro le pelli di Gavin Harrison, la seconda, invece, ci permette di apprezzare meglio il lavoro di atmosfera creato da Richard Barbieri attraverso le sfumature calde generate dalle tastiere.

Il concerto, iniziato alle 20,30 ha una durata complessiva di oltre due ore e quaranta e dopo una pausa di venti minuti la band rientra per la seconda parte, incentrata sempre sull’ultimo album e su “Fear Of The Blank Planet”. L’unica eccezione è Buying New Soul, estratta da una raccolta di b-side. La title track e traccia di apertura del disco del 2007 esalta il pubblico, che accompagna la band cantando tutte le parti vocali e ritmando con le mani sulle cosce ogni sussulto del piatto picchiato da Gavin Harrison. Da quest’opera sono tratte anche la tranquilla Sentimental , la sognante Sleep Together e il capolavoro Anesthetize suonato interamente nei suoi 17 minuti di durata. I presenti però non disdegnano i nuovi pezzi che si alternano ai precedenti, ed è con visibile piacere che vengono accolte Walk the Plank e Herd Culling. Sul finale della seconda parte I Drive the Hearse viene suonata più per mantenere il contatto con “The Incident”, l’opera fino ad ora più recente dell’Albero di Porcospino. Non si tratta di un riempitivo, ma è evidente come “The Incident”, album concept del 2009, sia un’opera a sé stante e che funziona meglio quando proposto nella sua interezza. Più o meno a questo punto, uno Steven Wilson inedito scherza col pubblico con affabilità, seppur conservando il proprio aplomb inglese. È in quest’atmosfera rilassata che presenta i due musicisti new entry citati prima e nel farlo ironizza sulla stessa presentazione fatta a pochi giorni di distanza in Germania, nella quale, dopo aver rivelato la nazionalità di Navarro e McStine (statunitense), sono partiti dei fischi di disapprovazione. Steven ha risolto dicendo che da questo momento li presenterà come “provenienti dal pianeta Terra”. A proposito del leader ci sentiamo di spendere un ulteriore commento. Dopo la lunga parentesi solista, caratterizzata da prove magistrali e da album poco ispirati, era evidente il rientro nella sua band madre, un posto a lui più congeniale nel quale dirige una squadra di campioni con sapienza e dove ha la possibilità di creare con loro un’armonia unica e indissolubile. In quanto capitano della brigata, invece, non sempre viene apprezzato il suo ruolo solista. Per usare una metafora, va detto che, se Steven Wilson tratta la sua compagna di vita come tratta la sua chitarra, bene, quella donna vorrà essere sua per tutta la vita. C’è amore e passione nei movimenti, nel carezzare le corde e nello stravolgere lo strumento. E con questo giungiamo ai titoli di coda. Dopo Collapse the Light Into Earth ecco salire alla ribalta il duo Barbieri e Wilson, che alle tastiere creano un’interpretazione intima di Halo, prima che, la band al completo suoni la hit Trains e si porti via tutto il pubblico. Il set ha dato ampio risalto, oltre all’ultimo disco, anche a dischi più amati quali “In Absentia” e “Fear Of The Blank Planet”, segno evidente che i Porcupine Tree sono tornati per riprendersi il loro giusto posto nell’attuale scena rock.

La scaletta del concerto:
Set 1:
Stupid Dream (Intro)
Blackest Eyes
Harridan
Of the New Day
Rats Return
Even Less
Drown With Me
Dignity
The Sound of Muzak
Last Chance to Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled
Chimera’s Wreck
Set 2:
Fear of a Blank Planet
Buying New Soul
Walk the Plank
Sentimental
Herd Culling
Anesthetize
Sleep Together
Bis:
Collapse the Light Into Earth
Halo
Trains
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