R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Spesso, quando si deve scrivere di un lavoro musicale, soprattutto se appena pubblicato, si va alla ricerca di qualche informazione di supporto che, spesso, si trova nei comunicati stampa delle etichette discografiche inviati insieme al “disco”. Qualche volta, se il lavoro è già stato recensito, si consultano articoli già pubblicati sui pezzi in questione, quantomeno per confrontare le idee e le interpretazioni. Tutti queste strategie comportamentali saltano quando si ha tra le mani Universal Language di Gianluca Petrella col suo possente ensemble, la Cosmic Renaissance. Infatti con l’album, prodotto dall’etichetta Schema Records, arriva un apparato informativo da far impallidire qualsiasi pubblicazione: biografia del musicista in versione breve ed in versione extra-large, più che esaustivo comunicato stampa, calendario con date dei concerti e, last but not least, guida all’ascolto track by track. A questo punto resta poco da scrivere e si potrebbe passare direttamente all’ascolto, seguendo pedissequamente le spiegazioni allegate al prodotto. Purtroppo o per fortuna però c’è anche chi ama ancora scrivere di quel che vede, legge o ascolta, non fidandosi troppo di chi scrive pro domo sua. E così mi sono messo pazientemente all’ascolto di Unknow Dimension che apre il disco e l’ho fatto, senza leggere “lo spiegone”. Nel comunicato stampa si veniva già messi sull’avviso che qui il jazz, non è libero e allo stato puro ma, naturalmente, contaminato da altri generi musicali come l’elettronica, lo space-jazz, la musica afro-futurista. 

Questa contaminazione sembra ormai essere una regola non scritta del jazz contemporaneo, ed infatti è la “perlustrazione dell’ignoto”, o meglio il messaggio frastico, significato di un significante asemantico come la musica, ad essere evocato fin dal primo brano. Qui i fiati sembrano cogliere al meglio il disegno di quella “architettura astrale” cuore tematico del progetto: una apertura tranquilla, forse, per non “épater le bourgeois”. Io però, che borghese non sono mai stato (né mentalmente, né socialmente), ho preferito non consolarmi troppo sui ritmi, sin troppo pacifici del primo pezzo, e fiondarmi subito dopo sul secondo brano, quello che dà il titolo all’album: Universal Language dove tra “noise”, “voice”, altre assonanze linguistiche e qualche rara dissonanza strumentale, il discorso si articola e il disco prende il volo (non solo quello astrale). Quando poi entra in scena la voce di Anna Bassy e i ritmi si fanno più intensi, si percepisce che il lavoro è molto ambizioso e molto ben costruito: acqua ed essere umano sono i temi concettuali del brano, dove la fluidità dell’arpa può facilmente essere interpretata, come il corrispettivo musicale dell’elemento naturale. Come from the Ground è una magnifica prova di forza di Beppe Scardino e del suo sax baritono. Brano non così “cavernoso” come vorrebbe il bugiardino sonoro, molto più solare che cupo, intrinsecamente bello e piacevole come può esserlo un’indovinata orchestrazione ritmica, senza sbavature e di misurato equilibrio. Wonder è un invito a chiudere gli occhi ed aprirsi alla meraviglia che nasce principalmente nella nostra mente. Echi e preziose gemme sonore come un cielo trapunto di stelle, fanno di Wonder un brano facile da amare e anche da ricordare. Brioso e vivace, Nomads esce un po’ dal cliché della tematica musicale del nomadismo, che solitamente naviga su ritmi vagamente ascetici e solenni, mentre Vision è caratterizzato da un andamento elettronico e ambient. Molto stratificato, ritmico e con uno sguardo verso la ricerca il bellissimo Education la cui nota esplicativa suona un po’ come un messaggio da suore orsoline e dice “È solo attraverso l’educazione che l’essere umano può elevarsi ad uno stato superiore”, frase che mi stupisce un po’ per la sua candida ingenuità. E se Ancien Jazz cerca di omaggiare il jazz caldo classico, il conclusivo Natsu, orientaleggiante e corposo, sembra essere il più compiuto brano di tutto l’album. Gran bel disco e non poteva che essere così, visto il talento (di compositore oltre che di musicista) e la grande esperienza di Gianluca Petrella.

Non so se il linguaggio universale, a cui allude il titolo dell’album, sia lo stesso che ho in mente io, certamente la musica è un linguaggio universale, ma lo è solo se sa permanere non solo nello spazio (quello a cui allude il disco), ma anche nel tempo, e questo lavoro è certamente destinato a restarci e a lungo. Sull’astronave musicale oltre al Comandante Petrella, Mirco Rubegni alla tromba, Riccardo Di Vinci al basso elettrico e contrabbasso, Simone Padovani alle percussioni, Federico Scettri alla batteria e samplers e inoltre imbarcati con loro alcuni “special guest”: il sassofonista e rapper Soweto Kinch, la cantante italo-nigeriana Anna Bassy, il beatmaker Dj Gruff, il sassofonista e clarinettista Beppe Scardino, il sassofonista Pasquale Calò, l’arpista Vanja Contu. Non perdetevelo questo viaggio, oppure perdetevi in esso…

Tracklist:
01. Unknown Dimension
02. Universal Language
03. Connection
04. Comes From the Ground
05. Wonder
06. Nomads
07. Vision
08. Education
09. Ancient Jazz
10. Natsu

Photo © Emanuele Meschini