T E A T R O
Articolo di Barbara Guidotti
Presentato presso il Salotto Illuminato di Salsomaggiore Terme il 29 Ottobre 2022, Lo strano caso della Signora di Klimt è uno spettacolo che – pur nella complessità e nella ricchezza del contenuto, in cui si intrecciano differenti piani concettuali e cronologici – conserva tuttavia una profonda coerenza interna, grazie all’utilizzo di una chiave di lettura unitaria che rappresenta il filo conduttore di tutta la narrazione.
Immergendosi nelle foto d’epoca, negli epistolari e nei documenti d’archivio, Simone Santi, coadiuvato da Elisabetta Ferri e sotto la regia di Paolo D’Anna, ricostruisce accuratamente tanto la vita e l’opera di Klimt quanto lo scenario storico che ne fu il contesto, svelando i legami fra le diverse espressioni artistiche e culturali che segnarono il momento di transizione fra Ottocento e Novecento.
Lo fa ispirandosi alla storia del Ritratto di signora (ricostruita da Ermanno Mariani nel testo “Il mistero del doppio ritratto”, ndr) esposto nella galleria d’arte del mecenate piacentino Giuseppe Ricci Oddi fino al 1997, anno in cui fu misteriosamente trafugato per essere poi ritrovato, in circostanze altrettanto misteriose, nel 2019.

Il caso di cronaca contemporaneo diventa dunque, nell’esposizione appassionata di Santi, l’innesco per reinterpretare l’opera artistica come specchio e metafora di una rivoluzione in atto tra due secoli, così dirompente da investire tutto il mondo culturale non solo dell’epoca, ma degli anni a venire, e da improntare di sé tutta la modernità.
Veniamo così proiettati in un affascinante viaggio a ritroso nel tempo, che da Piacenza ci conduce alla Vienna di Gustav Klimt, proprio quando la teorizzazione freudiana dell’inconscio stava portando alla ribalta il mondo occulto delle pulsioni, quella “zona oscura” che sta sotto la superficie esattamente come la Signora con il cappello si nasconde sotto il Ritratto di signora che noi tutti vediamo.
Questo parallelismo, scandagliato da diverse prospettive, consente a Santi di gettare un ponte fra la storia remota e quella più recente, che ha avuto il suo momento decisivo nel 1996, con la scoperta che Klimt aveva realizzato un dipinto sul dipinto: è questo il nucleo su cui si struttura l’ipotesi del “doppelgänger”, ossia di quell’entità che somiglia a ciò che appare, ma va coperta e rimossa, perché ponendo domande a cui non sempre vogliamo rispondere risulta scomoda e perturbante.

Mentre le immagini di repertorio e quelle dei quadri si avvicendano sullo schermo, la narrazione di Santi entra nel vivo del rapporto tra arte e psicanalisi, facendo della contemporaneità di Freud e Klimt la base per comprendere il senso dell’evoluzione umana e artistica di quest’ultimo.
Nel momento in cui qualsiasi certezza si va frantumando sotto l’avanzare della violenza e della follia della prima guerra mondiale, il modo in cui Klimt si affranca dai canoni artistici tradizionali parla infatti della sua esigenza ormai insopprimibile di esprimere, con la pittura, l’irrequietezza e i turbamenti che gli provenivano sia dalle vicende personali che dai rapporti con la cultura del suo tempo.
Il caso scelto da Santi per esplicitare questo percorso è emblematico, e si riferisce a quando, nel 1894, il Ministero della Cultura commissiona a Klimt tre dei quattro pannelli da affiggere nell’aula magna dell’università di Vienna per le facoltà di Filosofia, Medicina e Giurisprudenza: nella sua pittura non c’è più nulla di quell’impronta rassicurante e compiacente che gli era valsa il Premio dell’Imperatore nel 1890. Siamo ormai in piena Secessione.
La lettura delle immagini che fanno da contraltare alla narrazione svela la portata del cambiamento: adottando uno stile che sovverte l’iconografia classica ed edificante, Klimt porta sulla tela una sensualità che scaturisce della fusione fra eros e thanatos: i grovigli di corpi emaciati, gli scheletri affioranti, il senso di disfacimento e decadenza che permea i soggetti rappresentano in modo allegorico la vittoria di quel perturbante portato alla ribalta da Freud che rappresenta la scoperta più eversiva della cultura del Novecento.
La celebrazione dell’inconscio nel tempio della scienza e della razionalità è un atto inaccettabile per le istituzioni, un’eresia con cui Klimt si gioca definitivamente la benevolenza dell’establishment del suo tempo.

Lo spettacolo si dipana, dunque, lungo il percorso che ci avvicina al suo nucleo tematico: dopo la fase Aurea, e attraverso l’elaborazione di elementi provenienti dall’orizzonte artistico e culturale mitteleuropeo, Klimt matura un processo di riflessione che lo porterà verso la ricerca di nuove modalità espressive, più spontanee e caratterizzate da un differente uso del colore: a quest’ultimo periodo di attività risale il Ritratto di signora, dipinto nel biennio tra il 1916 e il 1917, poco prima della scomparsa dell’artista, avvenuta il 6 febbraio 1918.
Klimt ci lascia in eredità le sue opere e questo enigma insoluto del “doppio” che Santi ha affrontato con la cura di uno studioso e la passione di un narratore, ricomponendo i tasselli di un puzzle di cui resterà sempre un pezzo mancante, come in tutti i misteri degni di questo nome.
Alla fine, ci congediamo da uno spettacolo ricco e profondo, dove l’accuratezza storica ed i riferimenti all’arte e alla psicanalisi si intrecciano in modo convincente, e in cui la narrazione, supportata dalle suggestioni visive, mantiene un ritmo fluido ed incalzante che cattura, trasportandoci in quel mondo che Simone Santi ha saputo dipingere per noi.

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