R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

È stato detto, quasi sempre in tono dispregiativo, che il jazz è un genere musicale per intellettuali, anzi per “intellettualoidi”. Antonio Gramsci in uno dei suoi più noti passi dei “Quaderni dal carcere”, scriveva che “tutti gli uomini sono intellettuali, ma non tutti svolgono la funzione di intellettuali”. Essendo io di stretta osservanza gramsciana, non posso che condividerne il pensiero. Se poi qualche dubbio in proposito vi resta e lo volete fugare al più presto, non dovrete far altro che acquistare Eye of I l’ultimo disco di James Brandon Lewis, uscito da qualche giorno per l’etichetta ANTI- Records e che vede, oltre che Brandon Lewis al sax tenore, Chris Hoffman al violoncello e Max Jaffe alla batteria e  percussioni. Certo che chi avesse ancora nelle orecchie le storie dell’agronomo George Washington Carver, raccontato in Jesup Wagon, probabilmente penserebbe che si tratti del disco di un altro musicista, sia per sonorità che per tematiche, ma questo ribaltamento di obiettivi poetici e musicali, questa concezione diversa della musica, insomma questa versatilità multiforme, non sono segno di debolezza, ma anzi punto di forza di James Brandon Lewis. E non solo questo, poiché Eye of I è anche la dimostrazione teoretica che il jazz, non è affatto esclusivamente cibo per la mente contorta di eccentrici “intellettuali”, ma una prova di forza della musica stessa e delle capacità dell’uomo di crearla e veicolarla.

Come si dice in certi casi questa era la doverosa premessa, prima di ascoltare il suono nudo e crudo di James Brandon Lewis, semplicemente ciclopico sassofonista che come il famoso “bacio come un rock” della canzonetta, ci tramortisce sul ring. “Selvaggio e spontaneo” lo definisce il comunicato stampa che accompagna l’uscita del disco, un lavoro che sposa decisamente le sonorità del free jazz e del groove, senza disdegnare l’intimità della ricerca, quasi monocorde, ispirata ad uno dei suoi più grandi e riconosciuti maestri, John Coltrane. Se si cominciasse l’ascolto da The Blues Still Blossoms questa eredità sarebbe ancora più evidente, con quel sax così solo e così pieno di senso che sembra lenire la banalità e prendersi cura della nostra anima. Spira invece tutt’altra aria nel primo brevissimo, ma programmatico brano, Foreground con il sax che ancheggia e spara bordate vigorose ed energetiche. Se rimane tutto godibilmente groove in Someday We’ll All be Free, secondo brano del disco, preparatevi ad ingaggiare una battaglia nel quarto possente ed impietoso pezzo Middle Ground, con quella incredibile sventagliata di note da un sax che in 47 secondi inonda di energia pura mente e cuore. Non è da meno il brano che dà il titolo all’album, Eye of I, anche se giocato su toni più riflessivi e su una più complessa dialettica armonica e disarmonica, dovuta alle possenti percussioni di Max Jaffe. Nel disco i vuoti e i pieni si alternano ed ecco arrivare la rarefatta simmetria di Within You Are Answers e Womb Water (scritta in collaborazione con Cecil Taylor), la seconda più problematica con quel basso continuo del violoncello di Chris Hofman che la rende ancora più inquieta. L’attacco dolcemente elettronico della brevissima Background ci riporta in ambiente “free”. Questi pezzi brevissimi, come frammenti, sorta di meteoriti sonore, impreziosiscono e non poco la struttura dell’album. Di Free Jazz vive anche Send Seraphic Being, mentre Even the Sparrow simile a una colonna sonora circense, briosa e apparentemente disarticolata, offre una varietà mutevole di atmosfere, sempre sostenute dal sax di James Brandon Lewis. Infine ecco l’iniziale atmosfera notturna di Fear Not che si trasforma cammin facendo in una lunghissima cavalcata che raccoglie in sé sonorità persino un po’ pop-rock, in una costante tensione musicale di grandissimo livello, dove l’infinito assolo del sax di James  si dispiega fino nell’eternità.

Come dar torto a Marc Ribot quando afferma che “Gli assoli di James Brandon Lewis sono come un jumbo jet cui devi dare un sacco di spazio sulla pista per decollare e atterrare, perché sono enormi per suono, anima, idee, energia e originalità”. Secondo The New York Times, Brandon Lewis è “un sassofonista che incarna e trascende la tradizione”, e allora torniamo alla domanda iniziale: il jazz è musica per intellettuali? Certo che no, di certo non è musica per decerebrati e men che meno per gente senza cuore. Magnifico lavoro James!

Tracklist:
01. Foreground (0:44)
02. Someday We’ll All Be Free (5:34)
03. The Blues Still Blossoms (6:37)
04. Middle Ground (0:47)
05. Eye of I (4:40)
06. Within You Are Answers (5:47)
07. Womb Water (4:21)
08. Background (0:29)
09. Send Seraphic Beings (3:44)
10. Even The Sparrow (6:48)
11. Fear Not (7:56)

Photo © Ben Pier