L I V E – R E P O R T


Articolo di Luca Franceschini

Al Balena Festival ci ero stato un paio di anni fa ed ero rimasto favorevolmente impressionato: ottimo cartellone, location pregevole, organizzazione efficiente, suoni perfetti. Quest’anno la rassegna genovese rientra in campo e lo fa nel migliore dei modi, con una line up che include le cose più interessanti che si stanno vedendo in questi mesi in Italia. Ci sarebbero dovuti essere anche i Black Country, New Road, ma sappiamo tutti com’è andata, speriamo davvero di rifarci a fine agosto al TOdays. Detto questo, i nomi coinvolti, seppure confinati al nostro paese, rimangono ugualmente di livello.
Quest’anno c’è stato un piccolo cambio logistico: siamo sempre al Porto antico ma all’Arena del mare, cosa che garantisce un suggestivo colpo d’occhio, col tramonto e le grandi navi da crociera che arrivano e partono in continuazione. Per il resto, l’organizzazione è sempre molto efficiente, il palco è grande e la visibilità è garantita a tutti. Insomma, è quello che speravo di ottenere nel momento in cui ho deciso di vedere un’altra volta Iosonouncane, dopo la già comunque ottima data di Ferrara: lì i volumi erano decisamente bassi ed il contesto del parco risultava troppo dispersivo, ero uscito soddisfatto ma sentivo che mancava qualcosa.

Vieri Cervelli Montel ha un disco in uscita quest’inverno, prodotto dallo stesso Jacopo Incani, che lo ha voluto fortemente in tour con lui. L’occasione è ottimale per presentarne qualche episodio in anteprima, nel mezzo di un set che, come già a Ferrara, si apre con un tradizionale sardo e si conclude con una inconsueta rilettura di Almeno tu nell’universo, forte di un finale coi rumori che arrivano a deturpare il classico giro melodico, un po’ come fecero ai tempi i Wilco con Misunderstood. Per il resto, ancora una volta un’esibizione che lascia il segno, pezzi che iniziano come ballate acustiche ma che vengono poi scomposti nella loro struttura tradizionale per lasciare spazio a lunghe divagazioni che toccano tangenzialmente anche il Free Jazz e il Post Rock, grazie all’abilità e alla libertà espressiva dei due musicisti che suonano con lui, Luca Sguera al pianoforte e Nicholas Remondino alla batteria, eccezionali anche nei cambi di intenzione, con continue variazioni di dinamica che rendono i brani ancora più affascinanti. Potrebbe essere uno dei dischi italiani dell’anno, segnatevi il nome.


La prima cosa che va detta rispetto all’headliner della serata è che finalmente ci possiamo godere Iosonouncane in condizioni sonore e visive adeguate. Ci sono le sedie, il mio posto è abbastanza vicino e i volumi sono quelli che ci si aspetta da un concerto all’aperto.
Ira verrà eseguito integralmente nei teatri la prossima primavera (sempre che la situazione pandemica lo permetta) e in quell’occasione ci saranno tutti i musicisti che hanno contribuito alla realizzazione del disco. Queste date estive sono invece un po’ diverse nell’impostazione: sul palco, oltre a Jacopo, ci sono Bruno Germano (che ha co prodotto l’album) e Amedeo Perri (che ci ha suonato dentro), tutti e tre si occupano di Synth e campionamenti e il tutto si sviluppa come un lungo viaggio di un’ora e mezza, praticamente senza interruzioni (viene buttato lì un rapido “Buona sera” giusto a metà) dove i brani di Ira si susseguono in una sequenza inedita, che non rispetta l’ordine di scaletta (si parte con Pétrole, si chiude con Hajar e non tutti gli episodi vengono eseguiti) e si fondono in un insieme magmatico e notturno, a tratti denso di angoscia, dove le “macchine” partono dal tema di ogni canzone per sfociare in lunghe fughe improvvisate che hanno al centro la ripetizione ossessiva dei temi. Rispetto alle versioni in studio, qui i suoni sono generalmente più duri, il tutto suona più cupo e pesante e anche la voce di Jacopo si muove su registri più alti. Ci sono un paio di sporadici richiami al precedente Die, Buio e Tanca, ma sono totalmente dentro il concept generale, si incastrano alla perfezione nel senso di quello che stiamo ascoltando, assumono una nuova identità e non risultano dunque per niente ammiccanti.
Concerto strepitoso, non facilissimo (durante i lunghi strumentali il chiacchiericcio del pubblico denunciava una certa difficoltà a mantenere l’attenzione) ma assolutamente unico, che meriterebbe di essere registrato e pubblicato, per la prospettiva inedita sul nuovo disco che ha saputo offrire.
Per il resto, c’è poco da aggiungere: Ira ha consacrato il suo autore come un’eccellenza europea, è un lavoro la cui importanza si è avvertita da subito, chi riduce il tutto ad hype costruito ad arte si sta decisamente perdendo dei pezzi per strada. Il tutto è ancora più incredibile se pensiamo che Jacopo Incani in dieci anni ha realizzato tre dischi, tutti profondamente diversi eppure tutti in qualche modo riconducibili alla stessa matrice artistica. Non si può dunque che essere felici del fatto che anche dal vivo questo nuovo lavoro ha saputo confermare tutta la sua grandezza.
Speriamo davvero di poterci vedere nei teatri.

Photo © Balena Festival, Plurale