R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Negli ultimi anni la musica soul sembra vivere una nuova primavera grazie ad artisti come Michael Kiwanuka, Bruno Mars e Curtis Harding, tornato a quattro anni di distanza dal precedente album, Face Your Fear: il 5 novembre è uscito infatti If Words Were Flowers per l’etichetta Anti-, coprodotto insieme a Sam Cohen (Kevin Merby, Benjamin Booker) nel turbolento biennio 2019-2020. Un lavoro che è un omaggio al soul americano anni ’50 e ’60, ma con contaminazioni jazz, rap e blues, risultandone un caleidoscopio di colori ed emozioni, a partire dalla title track, posizionata ad inizio scaletta, che prende spunto da una frase con cui la madre invitava Curtis a dimostrare il proprio amore alle persone care prima che fosse troppo tardi (“regalami fiori quando sono ancora viva”).

Si prosegue con il brano Hopeful, a metà tra R’n’B e rap, con tanto di archi, cori celestiali e una chitarra psichedelica per esprimere il senso di appartenenza alla comunità afroamericana e omaggiare quanti hanno perso la vita nel tentativo di difendere i propri diritti; molto bello anche il video in bianco e nero, diretto dal fotoreporter Lynsey Weatherspoon, girato nel West End di Atlanta, con immagini delle proteste dei Black Lives Matter e di un murales dedicato a John Lewis, i cui profitti saranno devoluti interamente all’associazione benefica Know Your Rights Camp.

Segue Can’t Hide, brano più ritmato, alla Motown per intenderci, con una chitarra in stile surf garage, sempre accompagnato da un accattivante videoclip, diretto da Michele Civetta, con la partecipazione degli attori Omar Dorsey e Anthony Mackie in veste di presentatori dell’esibizione di Curtis ad un immaginario show televisivo degli anni ’70, The Velvet Touch.

La quarta traccia, With You, è una ballad acustica che introduce ad atmosfere sognanti con pennellate di xilofono, mentre Explore è psichedelia pura grazie ai synth e al sax che si ripete ossessivamente. Where’s The Love ci catapulta con i suoi fiati ai mitici anni ’50 della Stax Records, la casa discografica di Memphis che vantava tra i suoi ranghi artisti come Otis Reading, Al Green, Booker T & THE MG’s, Wilson Pickett, ma con una tinta più moderna data dalla compressione della voce. The One, la successiva, è la mia preferita per cori e ritornello orecchiabile, mentre So Low è uno schiaffo che riporta ai giorni nostri con la voce modificata dall’autotune per dare un tocco di contemporaneità, non che ne abbia bisogno per modificarne l’intonazione! Forever More vola leggero tra atmosfere jazz, flauto in sottofondo, assoli di tromba e il piano elettrico che sparge note qua e là. It’s a Wonder è un ulteriore omaggio alla musica afroamericana degli anni ’60 e, a tratti, nella melodia mi ricorda un pò I belong To You di Lenny Kravitz, altro brano che ho amato molto.
Chiude I Won’t Let You Down con un bellissimo botta e risposta tra Curtis e i cori.

Se, come diceva Nina Simone, l’artista deve riflettere il suo tempo, Curtis Harding lo fa con onestà, senza però dimenticare quanti lo hanno preceduto. Artista capace di trasmettere grandi emozioni, riuscendo, con la sua sensibilità e la sua passione, a raggiungere negli ultimi anni un pubblico più vasto, grazie anche a collaborazioni con produttori del calibro di Sam Cohen e Danger Mouse, e arrivando a suonare con grandi nomi, Jack White e Lenny Kravitz, in festival internazionali come il Lollapalooza. Un futuro radioso lo attende, nel frattempo non possiamo far altro che aspettare la data milanese del 20 marzo al Biko, anche se, come avevo detto già al precedente passaggio al Circolo Magnolia, meriterebbe palcoscenici ben più ampi.

Voto: 10 e lode

Tracklist:
01. If Words Were Flowers
02. Hopeful
03. Can’t Hide It
04. With You
05. Explore
06. Where’s The Love

07. The One
08. So Low
09. Forever More
10. It’s A Wonder
11. I Won’t Let You Down