R E C E N S I O N E
Recensione di Stefania D’Egidio
Quello che ad una prima occhiata potrebbe sembrare un tranquillo nonnetto di provincia è in realtà uno dei maggiori rappresentanti del metal teutonico: all’anagrafe Udo da Wuppertal conta ben settanta candeline e non ha nessuna intenzione di appendere il microfono al chiodo; cofondatore nel 1968 del gruppo The Accept, anche dopo il primo scioglimento della band, si è sempre lanciato a capofitto nei progetti paralleli come gli U.D.O. e i Dirkschneider. Fulminato all’età di dodici anni da un album dei Beatles, abbandonati poi per i rivali Rolling Stones, più vicini per temperamento alle sue inclinazioni, da allora non ha mai lasciato il mondo della musica. Voce particolarissima la sua, come ce ne sono poche nel panorama heavy metal e hard rock (forse la più somigliante è quella di Brian Johnson), gracchiante, ma al tempo stesso potente, tanto da essere insignito da Metal Hammer Germania del prestigioso premio Maximum Metal nel 2016, per aver contribuito alla diffusione del genere musicale, niente male per uno come lui che, agli inizi di carriera veniva sbeffeggiato per una pronuncia non proprio impeccabile. Se il suo fisico ha subito i fisiologici cambiamenti legati al trascorrere del tempo, la voce è rimasta invece quella di sempre e l’ultima uscita discografica, My Way, per l’etichetta Atomic Fire (la stessa di Helloween, Opeth, Meshuggah, ecc…) ne è una prova lampante.

Una raccolta di diciassette tracce con cui Dirkschneider rende omaggio ai suoi amori musicali, a volte stravolgendoli negli arrangiamenti, in chiave metal, a tal punto da renderli quasi irriconoscibili. Non ci credete? Provate ad ascoltare We Will Rock You dei Queen, accompagnata da un video altrettanto spassoso con Udo in versione “uomo delle pulizie”, oppure Rock And Roll dei Led Zeppelin: in pochi possono permettersi il confronto con Robert Plant senza uscirne sconfitti.
Vogliamo parlare di They Call It Nutbush di Tina Turner? Dall’intro blues alla ZZ Top si passa quasi ad una canzonetta funky con tanto di fiati che svolazzano sul ritornello, se non fosse per l’assolo di chitarra al fulmicotone o per il giro granitico di basso. Ce n’è davvero per tutti i gusti: del suo gruppo preferito, gli Stones, ripropone ad esempio Paint It Black, in una versione decisamente più “diabolica”, con i classici cori sinfonici tanto cari anche agli Accept (mi viene subito in mente l’esibizione al Wacken del 2017, seppur con un frontman diverso, di Princess of Dawn e Metal Heart). Tra i miei pezzi preferiti He’s A Woman, She’s A Man dei connazionali The Scorpions, T.N.T. degli AC/DC, ma soprattutto le bellissime Hell Bent For Leather dei Judas Priest e No Class dei Motorhead, i classici pezzi che ti fanno fare il pazzo in auto la mattina andando a lavoro. Per i romanticoni c’è anche My Way, la title track cavallo di battaglia di The Voice Frank Sinatra: resto del parere che certi mostri sacri non andrebbero toccati, ma Udo è uno dei pochi che possono reggere il paragone, anche quando si cimenta in generi che non gli appartengono. Se proprio volessimo trovare un filo conduttore all’album, direi che sicuramente trapela una forte passione per il metal rock anni ’70 e, del resto, sono stati l’epoca d’oro della musica in generale.
Voto: 9/10: album adrenalinico per riscoprire alcune perle del passato in una chiave del tutto nuova e un’occasione per andare a spulciare di nuovo nella discografia delle band metal tedesche, meno note di quelle inglesi, ma non meno meritevoli.
Tracklist:
01. Faith Healer
02. Fire
03. Sympathy
04. They Call It Nutbush
05. Man On The Silver Mountain
06. Hell Raiser
07. No Class
08. Rock And Roll
09. The Stroke
10. Paint It Black
11. He’s A Woman, She’s A Man
12. T.N.T.
13. Jealousy
14. Hell Bent For Leather
15. We Will Rock You
16. Kein Zuruck
17. My Way
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