R E C E N S I O N E


Recensione di Lucio Vecchio

Cercando i termini “long COVID” su un motore di ricerca trovo la definizione: “È una sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di alcuni sintomi legati all’infezione da SARS-CoV-2, che insorgono o persistono anche per settimane o mesi dopo la guarigione da COVID-19”.
Tranquilli, non state per leggere un trattato di medicina e non mi interessa infilarmi in diatribe o dibattiti legati al Covid. Ho voluto usare il caso come metafora, come spunto di riflessione del fatto che molte delle attuali uscite discografiche sono produzioni che risalgono ai mesi in cui siamo stati costretti in casa e che, come una scia lunga e persistente, verranno rilasciate nei giorni a venire. Una di queste è appunto Four, ultima fatica del chitarrista americano Bill Frisell.

Four è il terzo album di Frisell per Blue Note Records. È composto da tredici tracce di cui quattro reinterpretazioni di brani originali mai registrati e nove brani inediti, scritti come appunti durante il lockdown.
“È stato traumatico non stare con le altre persone”, dice Frisell, “così ho preso la mia chitarra e lei mi ha salvato”. In quei mesi ha scritto un sacco di melodie ed idee, così quando ha programmato le sessioni di registrazione di Four, aveva accumulato pile di quaderni pieni di musica che egli definisce “frammentata”.

Frisell si è presentato in sala di registrazione ed ha mostrato questi quaderni agli amici-colleghi che aveva convocato, invitandoli ad un’orchestrazione spontanea: “Tutti avevano un minimo di istruzioni, ma la situazione era del tutto aperta riguardo a chi, quando, e anche cosa ognuno avrebbe suonato. L’assenza di un basso un po’ mi preoccupava, ma non pensavo tanto agli strumenti da coinvolgere quanto alla reazione chimica che si sarebbe creata fra di noi”.
Il risultato è una straordinaria meditazione sulla perdita, il rinnovamento e l’amicizia che l’autore ha voluto incidere in forma di quartetto (guarda caso il titolo) in compagnia di al pianoforte, Johnathan Blake alla batteria e Greg Tardy al sassofono, clarinetto e clarinetto basso.
Poiché gran parte dei brani è stato concepito in un momento di profonda perdita, Four è intriso di una profonda malinconia.

Il disco si apre con Dear Old Friend scritta per l’amico d’infanzia, Alan Woodward, scomparso di recente, ed è una sorta di intro di presentazione dell’album. “Conoscevo Alan dalla seconda media”, dice Bill. “Era lì quando ho ricevuto la mia prima chitarra elettrica. Quando stavo iniziando a scherzare con la musica e mi ha sempre incoraggiato”. Il brano non è dedicato solo a Woodward, ma anche alla persona a cui Frisell dedica l’intero album, la sua anima gemella musicale, il compianto Ron Miles. “È il mio fratello-amico più vicino”, afferma Frisell. “Ron non è più qui fisicamente, ma è come se lo fosse perché gran parte di ciò che sto suonando deriva dai momenti trascorsi con lui, per poi essere trasmessi ad altri. Questa è la prova tangibile che queste persone sono ancora qui con noi”.
Anche il secondo brano, Claude Utley, è un ricordo e prende il nome dall’amico di Frisell morto l’anno scorso. La tavolozza dei colori di Blake e il lirismo di Tardy rendono omaggio all’espressione personale di Utley. “Pittore straordinario”, dice Frisell. “La nostra casa è piena delle sue opere. Quindi, anche lui è ancora in giro”. Sezioni – e intere composizioni – suonate fuori dal tempo creano vasi pieni di sentimento, quasi effimeri. Altri momenti di introspezione collettiva sono contenuti nei brani Invisible, Tardy che offre toni lunghi e teneri mentre gli altri artisti lasciano spazio l’uno all’altro; Dog on a Roof, un lamento materico; e in Always con un assolo arioso e trasformativo di Clayton.
Four non è solo malinconia ma trasmette anche gioia, esuberanza e speranza. Holiday presenta un esempio convincente della linea dell’album. Frisell ha fornito solo poche note della melodia ed ha invitato i colleghi a lasciarsi andare, a modellare il materiale originale come fosse creta per dar vita ad un brano arioso, quasi scherzoso partendo da una suggestione rappresentata dalle poche battute scritte. 
Spetta a Clayton introdurre Waltz for Hal Willner, un altro caro amico che Bill ha perso all’inizio della pandemia. La melodia proviene da un vecchio brano mai registrato e che ha preso forma in studio durante la registrazione del disco.

Come avrete ormai capito, in questo disco Frisell si mette a nudo, scoprendo il fianco ai sentimenti che l’hanno accompagnato durante i mesi più bui degli scorsi anni. I ricordi, i momenti difficili, le amicizie, ma anche qualche tocco di speranza e la felicità di tornare finalmente suonare in compagnia di amici, alcuni di lunga data, per condividere e lasciar fluire le emozioni. Quasi un disco salvifico.
“L’album cattura i momenti in cui eravamo tutti e quattro insieme a suonare questi pezzi in sala di registrazione”, dice infine Frisell. “La musica è incredibile perché non suoneremo mai più questi brani in questo modo. Una volta che inizieremo a suonarli dal vivo, cambieranno”.
La speranza è allora di riuscire a sentire Four dal vivo anche in Italia, nel frattempo godiamoci il disco che freeza i brani al momento della loro registrazione.
Il long COVID “musicale” è tutto qui dentro.

Tracklist:
01. Dear Old Friend (for Alan Woodard) (2:25)
02. Claude Utley (5:15)
03. The Pioneers (5:43)
04. Holiday (3:47)
05. Waltz for Hal Willner (2:48)
06. Lookout for Hope (5:10)
07. Monroe (6:18)
08. Wise Woman (3:46)
09. Blues from Before (3:49)
10. Always (4:14)
11. Good Dog, Happy Man (3:03)
12. Invisible (4:50)
13. Dog on a Roof (6:42)

Photo © Monica Jane Frisell