I N T E R V I S T A
Articolo di E. Joshin Galani
Torna Milo Scaglioni, songwriter e musicista, dall’indiscutibile talento e sensibilità. Dopo il fantastico esordio con il suo primo album A Simple Present nel 2016, (trovate qui l’intervista) è tornato ad aprile con un nuovo singolo Sketches in the sand.
Abbiamo il piacere di avere in anteprima il video, accompagnato da due chiacchere con l’artista, che ha curato anche la realizzazione della clip. Buon ascolto e buona lettura.
Grazie per questa bellissima anteprima di Sketches in the sand! Il brano è una poesia che ha una dolcezza malinconica, dove il dolore straziante per la perdita di un amore è stato superato, rimangono ancora strascichi di emozioni, riflessioni e lo spazio che accoglie il cammino del cambiamento. Il titolo, da un punto di vista figurato, mi ricorda un po’ il disegno dei mandala dei monaci tibetani, splendidi disegni destinati alla distruzione come atto di liberazione dagli attaccamenti. Ti sembra possa essere attinente al percorso che racconti?
Innanzi tutto grazie per il complimento, che oltre a soddisfare il mio ego mi sembra cogliere l’emozione sincera che ho cercato di convogliare. Il percorso di cui parli è inevitabilmente parte della vita e del modo in cui cerco di approcciarmi a essa. Le cose sono fino a quando smettono di essere, essere in grado di goderne prima che svaniscano e di accettarne la fine è l’unico modo di riuscire a dare loro un senso e di crescere senza perdercisi dentro.
L’atto creativo è splendido, ma il distacco e la capacità di distruggerle è necessario per vederle sotto una luce più viva e per trarne insegnamenti e nutrimento. Il percorso continua fino alla fine, resistere al cambiamento è una caratteristica innata del pensiero occidentale, ma credo conduca alla stagnazione e quindi che sia più nocivo che altro. Il titolo originale della canzone era “drawing sketches in the sand” e fa riferimento al fatto che ciò che disegniamo sulla sabbia è destinato a scomparire, ma non per questo non è bello o importante. Anche se non avevo in mente l’immagine del mandala, credo tu colga in pieno l’idea dietro alla canzone, che parla di morte (la morte di un amore) e di rinascita, di cessazione e di opportunità, del fatto che anche se una cosa finisce, vale comunque la pena di viverla.
Il video vede il tuo esordio alla regia, l’hai prodotto in maniera autonoma, girandolo nei Boschi di Bomarzo. Ogni visitatore racconta la sua magia nel visitarli, qual è stata la tua?
Il mio modesto esordio alla regia viene dalla necessità! Per quanto da anni covassi velleità di cimentarmi con il linguaggio delle immagini non credo avrei mai osato farlo non mi fossi trovato nel bisogno. Abbiamo iniziato a lavorare al video con un’amica regista, seguendo un’idea piuttosto confusa che avevo in mente e girando delle riprese in un antico cimitero abbandonato, nei pressi di Varese. Il progetto purtroppo si è arenato e mi sono trovato con delle scadenze da rispettare, molto indietro sulla tabella di marcia e senza nessuno a cui potermi rivolgere. Trovandomi a passare del tempo a casa di un’amica che vive in Tuscia, avendo come unica compagnia me stesso e 5 gatti, mi sono chiesto come fare. I boschi del Cimino (che circondano il famoso giardino dei mostri di Bomarzo) sono veramente un posto magico che mi piace frequentare il più possibile e così, dopo un paio di notti insonni ho deciso di provare a far tutto da solo. È veramente un video a bassa fedeltà, girato con un Iphone 9 e con l’asta di un leggio (a cui ho fissato il telefono con degli elastici per poter filmare i primi piani). L’unica idea era quella di filmare un percorso, poi il posto, carico di suggestione, ha fatto il resto. Ho trovato in quei luoghi tutto quello che mi serviva per convogliare il messaggio e spero di esserci riuscito. Tra l’altro, il giardino dei mostri vale la pena di essere visitato, è bellissimo, ma è ormai così famoso e visitato da aver perso un po’ della sua magia, i boschi tutt’intorno sono ancora molto speciali.

Nelle intenzioni dell’ideatore del parco, il luogo nasce per mitigare cupezza e sconforto. Le riprese puntano l’attenzione al percorso. Il tuo viso è in primo piano mentre cammini, i tuoi occhi non sono ripresi, come se anche nella clip l’estetica low-fi del pezzo volesse rimanere nell’ambito dell’essenza, dello stretto necessario. La tua bocca che parla, come luogo di alchimia e trasformazione; hai voluto richiamare la bocca spalancata presente nel bosco?
Non ci avevo assolutamente pensato, ma non escludo si sia trattato di un processo inconscio. Ho cercato, inquadrando solo la bocca, di rendere il messaggio il più essenziale possibile. Aggiungo che avendo dormito poco in quei giorni, avevo delle terribili occhiaie…
Hai vissuto a Manchester per 10 anni, sei andato in tour con Jim Noir, The Beep Seals, Jennifer Gentle, Dellera e Sonic Jesus, cosa ti è rimasto di queste esperienze?
Ogni esperienza è stata diversa, e ognuna mi ha lasciato qualcosa, a volte si è trattato di carezze e a volte di pugni in faccia. Una cosa chiara però è la differenza di considerazione che gode il ruolo del musicista, qualunque sia la sua levatura, in diverse parti del mondo. Il musicista è, per me almeno, prima di tutto un artista: una persona che cerca di esprimersi attraverso un linguaggio non necessariamente verbale e di convogliare la sua visione del mondo, offrendo a chi lo vuole uno strumento di riflessione e autoguarigione.
È inutile cimentarsi in polemiche sterili e noiose, ma a me sembra che in certi posti, così come in Italia, si confondano e si scambino l’intrattenimento per arte e l’arte per intrattenimento. Personalmente credo che siano entrambe necessarie, ma che purtroppo l’arte fatichi sempre di più a trovare i propri spazi.

Aspettiamo il tuo secondo album per la primavera, dopo il tuo debutto con A Simple Present del 2016, puoi raccontarci qualcosa?
È stato un processo lungo quello che ha portato alla luce questo disco. Ho lavorato con il produttore Angelo Di Mino (al Blackstar Studio di Milano) e con lui si è creata nel tempo una bella amicizia e da subito una buona intesa musicale. Abbiamo avuto molto più tempo in studio rispetto al primo disco e ne è nato un lavoro a tratti forse schizofrenico ma più omogeneo rispetto al primo. Credo rappresenti un grande passo in avanti per me e mi auguro sia di gradimento per chi lo vorrà ascoltare. Ho avuto anche il piacere di lavorare con degli ottimi musicisti (Roberto Dragonetti, Antonio Leta, Valerio Mina) e l’onore di avere Enrico Gabrielli e Roberto Dellera come ospiti.
In attesa dell’album ti potremo vedere live?
Avrò presto più notizie riguardo alle date, per ora vi invito all’Arci Bellezza a Milano il 13 Dicembre, venite così ci facciamo gli auguri!
Photo Credits:
(b/n) © Giulia Ferrando
(col.) © Will Lawrence
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