R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Charles Lloyd mi fa venire in mente una di quelle erbe tenaci che crescono ai margini delle strade asfaltate. Basta un briciolo di terra libera ed ecco spuntare una forma di vita indomabile, che cerca d’imporre la sua energia nonostante tutti e tutto. Eh sì, perché l’ultraottantenne saxofonista di Memphis esce in questi giorni con un disco in trio, anzi, sarebbe meglio dire con un progetto di tre album, Trio of Trios, ciascuno dei quali suonato appunto in formazione ternaria ma con musicisti sempre differenti. Il primo prodotto in uscita di questa serie s’intitola Trios: Chapel perché registrato live alla Coates Chapel nel campus della Southwest School Of Arts di SanAntonio, nel 2018, giusto un attimo prima della pandemia. Con Lloyd suonano Bill Frisell alla chitarra – già con il maestro di Memphis nel gruppo dei Marvels – e il contrabbassista Thomas Morgan che ricordiamo a fianco del chitarrista in due album registrati dal vivo al Village Vanguard, usciti entrambi per ECM – Small Town (2017) ed Epistrophy (2019). La risonanza acustica del luogo di registrazione, tipica di molti edifici religiosi, non avrebbe sopportato una batteria o comunque un qualsivoglia sistema percussivo d‘accompagnamento. La scelta di un trio drumless èdiventata quindi una motivazione necessaria che in questo caso si è dimostrata oltremodo azzeccata per meglio evidenziare il lavoro dei singoli musicisti, nonché i loro momenti d’insieme. La musica che ne risulta non fa concessioni, è interpretata con rigore ed equilibrio e l’ultima cosa che dobbiamo pensare è quella di ascoltare un intrattenimento disimpegnato di un anziano sassofonista – e anche flautista in questa circostanza – coadiuvato da altri musicisti che lo vogliano omaggiare. Invece, tra cover e riproposte di vecchie composizioni, tra il pubblico che si avverte raramente con qualche applauso – insolita scelta quella di cancellare e sfumare il consenso del pubblico non appena possibile – il concerto si snoda con eleganza e suoni asciutti, seguendo un preciso percorso creativo ed improvvisativo dove scrittura ed estemporaneità s’integrano con naturalezza. Conosciamo bene Lloyd, sappiamo che non è un devastatore di melodie quando approccia materiale non suo ma un meraviglioso re-interprete e in questo caso, accanto a lui c’è Frisell che ha in comune con Lloyd lo stesso atteggiamento di creativo rispetto per la tradizione e per i brani altrui. Il contrabbassista Morgan è un monumento di discrezione, un musicista attualmente richiestissimo impegnato in una continua trama di note febbricitanti per tenere insieme la musica senza lasciare troppi vuoti. A margine, una nota positiva anche per l’ingegnere del suono, che ha saputo ottenere un’ottimale messa a fuoco degli strumenti.

Il concerto si apre con Blood Count, un brano di Billy Strayhorn scritto per l’orchestra di Duke Ellington proprio l’anno della morte del suo stesso autore, nel 1967. Lloyd aveva già pubblicato questo pezzo nel 2002, all’interno del suo album Lift Every Voice. La versione in trio perde qualcosa giocoforza, rispetto all’originale, per via di quella componente orchestrale e quel senso di soffuso mistero notturno che Ellington aveva saputo infondere nell’arrangiamento. Lloyd e compagni mantengono gli stessi tempi lenti, il sax è aderente alla melodia almeno fino a metà brano, quando l’improvvisazione prende maggiormente campo. Frisell è impagabile nel riempire le naturali pause del sax ed il suo assolo è un lago senza increspature, mentre il contrabbasso si frammenta in uno zampillio continuo ed insistente di note. Lloyd suona come uno che la sa veramente lunga, con tanto di quel fiato che riesce a distribuire tra le varie timbriche senza mai fare sbavature. Song My Lady Sings è un pezzo dello stesso Lloyd pubblicato nel 1965 nell’LP Of Course, Of Course con un mitico quartetto che vedeva Keith Jarrett, Jack DeJohnette e Cecil McBee uniti a lui. La melodia resta nei tempi sospesi dell’originale editato quasi sessant’anni fa e sono Frisell e Morgan a condurre ora la lunga introduzione, ipnotica e seducente, sulla quale interviene poi il sax svisando con aristocratica malinconia. Le dimensioni anamnestiche mescolate agli aciduli segnali del presente raccontano il tono di questa composizione, rispettosamente rivisitata e metabolizzata in un racconto intimo, antiepico, ben lontana dalla raggelante didascalia di una riproposizione tout court. Ma il massimo dell’emozione – e qui si possono ascoltare degli applausi non tagliati dalla produzione – avviene con Ay Amor, un brano del compositore cubano Bola de Nieve, che fu già pubblicato nel recente Tone Poem del 2021 – cliccate qui se v’interessa la recensione di Off Topic. Ovviamente, in questo caso, le similitudini sono molte – la chitarra è la stessa – ma la dimensione affettiva e comunicativa che il trio riesce a trasmettere non ha uguali. Una sensibilità acutamente romantica sembra schiumare tra le note tanghere, tra i vibranti e dignitosi lamenti del sax e la rigorosa completezza armonica della chitarra e del contrabbasso.

Anche Beyond Darkness, così come il precedente Blood Count, viene estrapolato dall’album Lift Every Voice. Lloyd si misura con l’androgina voce del flauto traverso innescando una melodia dalle cadenze un po’ orientali e un po’ latine. Ancora applausi in sottofondo prima dell’innesco dell’assolo di Frisell che qui gioca legando gli accordi con qualche breve passaggio melodico. Gran lavoro del contrabbasso che mantiene attiva la sua doppia funzione, quella puramente ritmica e quella digressiva di un accompagnamento più strutturato. Il brano si trasforma via via in una serenata sibillina, dalle tonalità arcane, con una coda affidata alle tremolanti escursioni libere dello stesso flauto. L’ultimo brano della raccolta è Dorotea’s Studio, dedicata alla moglie, produttrice e manager dello stesso Lloyd. La traccia proviene dall’album Voice in the Night del 1999, dove alla chitarra c’era un altro grande nome, John Abercrombie. Il tono spagnoleggiante, molto moderato che lo stesso Abercrombie tratteggiava, viene qui sostituito dal modus più spettrale di Frisell, per lo meno nei prodromi di questa esecuzione che si arricchisce comunque di variabili latine, con il contributo del suono caldo del sax che si lascia talora andare a qualche fraseggio più convulso, equilibrando l’atmosfera messicaneggiante e popolaresca del brano. Un assolo tra un moderno jazz-blues e la tradizione tex-mex alla Ry Cooder impegna Frisell in un’ottima dimostrazione di solarità tecnica ed espressiva. E compare finalmente anche un assolo di contrabbasso nella seconda parte del brano.

Una bella prova d’autore, quindi, in un disco che non cerca assolute novità ma che ricalca comunque strade già percorse, pur con tutta l’esuberanza di un forever young come Lloyd e la classe luccicante dei suoi due comprimari.

Tracklist:
01. Blood Count
02. Song My Lady Sings
03. Ay Amor
04. Beyond Darkness
05. Dorotea’s Studio