L I V E – R E P O R T


Articolo e immagini sonore di Paola Tieppo

Trovo sempre stimolante, quando possibile, unire la visione di un concerto ad un breve viaggio, soprattutto se in un luogo di interesse turistico artistico, e così non appena ho visto che Teresa Salgueiro sarebbe stata a Verona ho pensato che due ore abbondanti in auto avrebbero potuto essere affrontate abbastanza facilmente per ritrovarla dopo oltre quattro anni passati dall’ultima volta.
Teresa Salgueiro, nata ad Amadora, un comune portoghese situato ai margini di Lisbona, è una cantante nota soprattutto per essere stata dal 1987 al 2007 la voce unica e distintiva dei Madredeus, gruppo musicale fra i più conosciuti oltre i propri confini nazionali ed autori di album che sono stati colonna sonora di molte ore della mia vita. Accostatasi giovanissima al fado, genere musicale popolare portoghese, e alla bossa nova, di origine brasiliana, con un’estensione vocale da soprano, è passata dall’essere ‘solo’ talentuosa e raffinata interprete al divenire autrice di propri testi e musiche.

Nell’ambito della XXI edizione del Tocatì, il Festival Internazionale dei Giochi in Strada, riconosciuto lo scorso dicembre patrimonio Unesco, quest’anno il Paese ospite d’onore era il Portogallo e tra i vari eventi collaterali era proposto uno spettacolo che prevedeva la condivisione del palco fra la cantante italiana Ginevra Di Marco, purtroppo poi risultata impossibilitata a partecipare, e Teresa Salgueiro. Un palco notevole, oltretutto: all’aperto nell’antico Teatro Romano, edificato ai piedi del Colle San Pietro nel I secolo a.C., con una capienza di oltre 1800 persone… e l’evento risultava da giorni sold out!
Devo ammettere che era proprio Teresa il mio obiettivo principale: ascoltata un paio di volte parecchi anni orsono con i Madredeus e nel luglio 2019 a capo di un suo quartetto, dopo l’avvenuta pubblicazione di alcuni suoi lavori da solista, mi ha sempre lasciato la voglia di raggiungerla ancora ogni volta che avessi potuto.
Questi quattro anni si sono polverizzati in un attimo quando, sul palco inondato da fasci di luci blu, dopo l’ingresso dei suoi quattro musicisti, è entrata lei. Vestita con la consueta semplice e nel contempo ricercata eleganza di una perfetta camicia bianca scollata a V, con le maniche ampie gonfiate dagli alti polsini, stretta in una lunga e ondeggiante gonna nera da un’alta cintura a bustino ad evidenziarne la bella figura.

Sono le corde della chitarra di Ana Albino e del contrabbasso di Sofia Queiroz a spezzare il silenzio, seguite dalle percussioni di Rui Lobato e dalla fisarmonica di Fábio Palma a cui infine si unisce il canto di Teresa che, sulle note dapprima lente e poi più vivaci, accenna passi di danza dal sapore antico, illuminata da raggi di luce bianca.
Teresa inizia subito con dei ringraziamenti, ed un saluto beneaugurante per l’assente Ginevra Di Marco, parlando molto bene in italiano, grazie al forte legame che la unisce al nostro Paese, in cui viene spesso, essendo appassionata dell’arte musicale, dall’opera alla canzone napoletana, e delle bellezze paesaggistiche. Ci preannuncia quindi un “repertorio eclettico” con brani originali e non.

Vengono eseguiti un brano portoghese scritto nel XIII secolo, accompagnato dal tamburello e da percussioni con le mani, che parla del contrasto fra la vita frenetica e la saggezza della natura millenaria, poi un canto tradizionale sulla mietitura tramandato oralmente, che inizia con la sola voce cristallina di Teresa a cui si aggiungono tutti gli strumenti suonati come percussioni sulle parti legnose, generando una sinergia di suoni che risulta particolarmente ricca ed avvolgente.
Fra i due, un originale, A Cidade, dove il tema è la solitudine delle persone in mezzo a tanta gente e protagonista è il suono lento della fisarmonica di Palma.
Con tono sommesso ed una mano sul cuore, Teresa annuncia un paio di brani che ”ho cantato tante volte in Italia con i Madredeus” e costituiscono il suo personale omaggio a Francisco Ribeiro, violoncellista del gruppo in cui è cresciuta, prematuramente scomparso nel 2010, e di cui sente tanto la mancanza. Si tratta di Guitarra e di Os Senhores da guerra in cui Lobato, pur restando seduto dietro la batteria, come farà poi in altri pezzi, imbraccia e suona una chitarra.

Chissà se sia per ulteriore manifestazione di riconoscenza, ma dopo questa emozionante parentesi, si elevano le note celeberrime di Gracias a la vida della cilena Violeta Parra, con evoluzioni di effetti della batteria e l’interpretazione struggente della cantante. Altre culture latine sono contemplate da un brano peruviano, Fina estampa della cantautrice e poetessa Chabuca Granda, ed uno messicano, Cancion Mixteca di José López Alavez, un gioco fra gli idiomi castigliano e portoghese dove ben si miscelano la nostalgia e la malinconia serenamente consapevoli tipiche della saudade.
La danza, ovviamente anche vocale, di Teresa riprende sulla musica da lei scritta per accompagnare le parole della poesia Alegria del connazionale scrittore premio Nobel per la letteratura José Saramago: versi che esprimono il diritto al sentimento del titolo, attualizzato in #alegria.
Qualche altra canzone, fra cui O’ mistéiro, offre l’opportunità agli strumentisti di esprimersi, singolarmente o insieme, sotto l’efficace gioco di luci intense che dal blu al rosso al bianco ne evidenziano l’ingresso musicale. Tutto lo spettacolo risulta splendidamente essenziale, senza artifici se non un costante leggero fumo che annebbia i contorni delle figure sul palco. Il suono è ottimo, la voce di Teresa si insinua limpida, decisa ma rispettosa, nelle mie orecchie e non riesco a trattenermi dal mormorare alla fine di parecchi brani “che meraviglia” desiderando che il concerto continui ancora e ancora. Il resto del pubblico, entusiasta e generoso di meritati applausi, evidentemente è dello stesso parere perché per ben tre volte il quintetto viene richiamato in scena.

Il primo bis è Estrela do mar, del poeta e compositore Jorge Palma, interpretato da Teresa, seduta, con la sola fisarmonica di Fábio, che al cessare della voce sfuma in calando le ultime note, con la luce che illumina lui soltanto, dolcezza pura. Dopo un attimo di silenzio e buio totale, seguito da copiosi applausi, Ana, Sofia e Rui tornano ai loro posti ed è la volta del fado tratto dalla poesia Se sou alegre ou se sou triste di Fernando Pessoa che scriveva “Il fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell’anima forte…”.
Ultima uscita ed ultimo rientro per un brano dedicato “a tutti voi, ispirato alla città dove sono nata e dove tutti loro (i musicisti) vivono, a cui sono state dedicate tante canzoni”: le note e le parole di Lisboa ci danno così la buonanotte.

Grandi sorrisi di gioia immensa sui volti di tutti. Che soddisfazione aver voluto e potuto essere lì a vivere queste emozioni, il cui ricordo quasi mi commuove. Al mio #eiovadoadormirefelice potrei facilmente aggiungerci un ‘molto’ mentre, uscendo dal teatro, nella notte tiepida, penso “arrivederci alla prossima, speriamo presto”.