R E C E N S I O N E


Recensione di Lucia Dallabona

Simone Perotti, classe 1965, per 19 anni ha lavorato con grandissimo impegno arrivando anche ad essere un brillante manager. Poi, nel 2007, ha detto “basta” in modo radicale: lasciare soldi, carriera, la fetta di potere che aveva conquistato, è diventata una priorità irrinunciabile. Oggi, più che mai, scrivere è la sua vita, navigare la sua passione. In tale modo, oltre a sostentarsi, crea le condizioni per raggiungere “quell‘isola che c’è”, un posto dell’anima in cui coglie tutte le consapevolezze necessarie per far sì che il fluire della sua esistenza assomigli sempre più all’idea di se stesso…
Questa nuova etica, che contempla anche un rapporto più responsabile e contemplativo con la natura, ha trovato dimora sulla remota isola di Citera, situata a cavallo fra Ionio ed Egeo. Qui, per pochi euro, ha comprato un rudere in pietra che ha ristrutturato, ammobiliato e attrezzato con le sue mani.

Testimonianza concreta di quanto sia autentico e saldo nelle motivazioni il cambiamento messo in atto, sono i progetti che lo vedono motore pulsante, quali Mediterranea e Dialoghi Mediterranei, di cui sono disponibili notizie dettagliate sul sito omonimo (simoneperotti.com). Simone ama molto anche la musica, studiata due anni insieme al pianoforte, un suo aspetto creativo per me inedito fino a pochi giorni fa e che ha stimolato la mia curiosità.  

Zone Franche, così si chiama il progetto musicale al quale ha lavorato con due esperti musicisti, divenuti cari amici grazie alla passione comune per il mare. Il primo, Marcello Ferrero, è presente tramite voce, chitarra, basso, baglamas greca (derivata dal bouzouki) e armonica; il secondo, Stefano Mattozzi, si è unito con batteria e percussioni. Insieme, hanno creato uno spazio da vivere all’insegna della massima libertà espressiva; l’intento di base che li guida è approfondire temi portanti nella ricerca di una identità personale provando nel contempo a dire in musica ciò che li lega. Mettere le sue parole accanto alle note, farle “masticare insieme“, come dice Perotti che ha scritto tutti i testi, era qualcosa che non aveva ancora provato e che ha richiesto un impegno durato un paio di anni. L’affiatato lavoro di squadra è avvenuto tramite lo scambio sia di file audio che di testi fra Toscana, isola di Citera e Milano. Il risultato finale è Chiedi alla polvere, disco autoprodotto pubblicato il 2 marzo. Il titolo scelto rimanda all’omonimo romanzo di John Fante e rappresenta il tributo nei confronti di coloro che sono disposti a tutto per riuscire ad esprimere la propria creatività. Suggestiva è anche la foto di copertina; scattata da Barbara Rizzato sull’isola di Kythira, volutamente ricorda quella di Trilogy, degli Emerson, Lake & Palmer. Dopo aver raccolto questa serie di interessanti informazioni, sono pronta per iniziare l’ascolto dell’album.

Noto da subito come la metrica si coniuga con cura al ritmo della musica e al “sentito” del cantato; atmosfere struggenti mi immergono in Di nuovo insieme a me, brano di apertura. Un uomo, fuggito quando ancora era ragazzo dalla casa in cui era nato, in una notte torna a bussare a quella che tutt’ora resta la sua abitazione, dove vede la versione di se stesso che è rimasto, non ha voluto cambiare. Si riconoscono dallo sguardo, anche se quello presente è stanco. “Che differenza c’è fra stare e navigare? Era gioia o disperazione il destino che ho mancato?” Sono alcune delle domande che scaturiscono dall’incontro con uno “straniero” che in realtà ha tanto di famigliare da raccontare…
Comprendo così che quello che mi aspetta è un viaggio all’insegna della consapevolezza, come lo conferma il secondo pezzo È tardi, già diventato un mantra per me. Note tribali, alle quali si aggiunge l’armonica, creano un blues arabeggiante che incede con lucida determinazione. In questo caso il dialogo, altrettanto impegnativo, avviene con la Vita, inflessibile con chi giunge in ritardo all’appuntamento che avrebbe potuto far svoltare la sua storia personale. Il protagonista, quando finalmente si presenta da Lei, tenta in tutti i modi di giustificarsi: “non ero pronto, non sapevo che bastasse dire solo sì, ho sperato tanto, non sapevo che questa porta fosse per me“. Ma la Vita nel frattempo si è stancata di aspettare che diventasse padrone delle sue scelte; lo sottolinea la voce di Perotti quando interviene recitando, “basterebbe vivere, a segare il tempo”, frase che nel finale è accompagnata in sottofondo da un suggestivo sciabordio di onde.

Nel momento in cui parte l’attacco di Colombo, con piacere noto un approccio totalmente acustico che permette alla voce di Ferrero di emergere intensamente intima, quasi teatrale. Sembra proprio anche a me di vederlo il Grande Marinaio un mattino al calare improvviso del vento, guarda su e si rende conto che la vela gli sta parlando; dice che il suo viaggio è giunto al termine, è ora di tornare. Proprio da quell’attimo inatteso di consapevolezza, un attimo che cambia tutto, scaturiscono riflessioni e conseguenti domande tardive sul significato dell’impresa compiuta; domande destinate a rimanere senza risposta. Mentre ascolto con attenzione, mi rendo conto, una volta in più, che poco conta cercare risposte razionali riguardo a cosa ci aveva spinto, in passato, a varcare un orizzonte conosciuto. Il senso ce lo comunica, in modo naturale, la fine di quell’esperienza, che fra dubbi, timori, sogni, onde e naufragi vissuti, ci riconsegna “altro”, rispetto a quando siamo partiti.
In fondo alle parole, a seguire, mi arriva come una tenerissima carezza che punta dritta al cuore, impreziosita da emozionanti assoli di piano eseguiti da Marco Rossi. La storia che racconta, dal significato universale, mi ha particolarmente emozionata. C’era una volta un ragazzo che sentiva tutto e poi piangeva duro; quel ragazzo si è spaventato e ha stabilito di non piangere più. Così facendo, però, il suo “mare dentro” si è prosciugato. Oggi, diventato uomo, si trova, in silenzio, davanti alla donna che ama, del tutto incapace di trovare e pronunciare le parole che lei desidera tanto sentire ma che invece in lui, adulto, non sono nate mai. Potrebbe essere un epilogo tristissimo ma decido di vivere la narrazione da una prospettiva diversa e ci riesco facendo mia un’evocativa parte del testo: “vivere non è soltanto esistere / Serve pensarlo immaginarlo/ Vivere è deciderlo…”
Dopo un tale “bagno sentimentale” ci sta benissimo tornare alla sferzante realtà di ogni giorno attraverso Niente di vero. La canzone, utilizzando toni melodici e leggeri di una deliziosa marcetta, arricchita dalla tromba di Ivan Padovani, propone un potente j’accuse contemporaneo; destinatario è chi parla di cose che non è, non sente, non vive, non sarà mai, rivelando perciò di essere solo un bluff. “Sai cosa succede/ A dire cose che non vuoi?/ Poi finisce che ci credi/ E quindi lo diventerai”. Dimostrazione delle “favole” che troppe volte ci raccontiamo e raccontiamo agli altri, è il finale recitato da Marco Filatori, sconclusionata proposta di mollare tutto per andare a vivere che ne so… a Cuba; lì costa anche poco, magari si apre un baretto anzi no, una pizzeria sulla spiaggia, una cosa semplice, 4 o 5 pizze al massimo…
Osare, prendere le distanze dal tentativo terribilmente faticoso di essere qualcuno che non siamo, qualcuno che mettiamo in scena solo per soddisfare aspettative altrui quanto è irrinunciabile ad un certo punto? Con note leggere ma energiche Parto ci descrive il conseguente gesto repentino e altrettanto salvifico che ne deriva. “Niente da lasciare/ Solo ciò che non ero/ E per trovarmi/ Devo dirmi solo ciao”.
Scrivere, melodicamente rock, propone una profonda riflessione sulle parole intese come atto di composizione creativa; immaginarle e poi dare loro vita le trasforma in compagne indispensabili per resistere quando sentiamo insostenibile il peso della realtà di ogni giorno; un senso di “riparo e di cura” che percepisco da sempre molto mio…
Sono all’ottava ed ultima traccia, si tratta di Solo per un attimo (Mediterraneo), pezzo pilota del disco, come lo definisce Perotti; dello stesso è stato realizzato un videoclip che riempie gli occhi di palpitante bellezza. Brano altrettanto vivace, carico di grande slancio vitale, comunica l’appassionato invito ad ascoltare una voce dentro l’anima che ci chiama, porta con sé lo stimolo di unirci agli altri per raggiungere insieme il mare, quello Mediterraneo; da lui provengono le nostre radici, sempre lui costituisce il “nascondiglio” migliore in cui provare a difendere pensieri, corpo, spirito, tutelando, in questo modo, la nostra umanità.

Giungo così al termine dell’ascolto e lo faccio con un sorriso compiaciuto nell’istante in cui mi accorgo che…la parola Mediterraneo, scandita in modo particolare durante il ritornello, al mio orecchio crea un piacevolissimo fraintendimento trasformandosi in: “e di terra ne ho”. In effetti sì, lo voglio proprio credere, ancora tanta ce n’è, in attesa di essere esplorata da me, da noi…

Tracklist:
01. Di nuovo insieme a me (04:17)
02. È tardi (03:36)
03. Colombo (04:23)
04. In fondo alle parole (04:14)
05. Niente di vero (05:45)
06. Parto (03:39)
07. Scrivere (04:22)
08. Solo per un attimo (Mediterraneo) (04:06)