I N T E R V I S T A


Articolo di Mariolina Giaretta

Mi accingo a intervistare Beatrice Libonati, donna speciale, danzatrice eccellente, artista di grande sensibilità e interprete profonda, scrittrice di testi poetici, disegnatrice e anima luminosa. Di padre italiano e madre belga, Beatrice studia e si forma all’Accademia Nazionale di Danza di Roma approcciando differenti tecniche e metodi di danza; tra i diversi, eccellenti, professori studia anche con il grande Jean Cébron instaurando con lui il rapporto, raro, dell’allieva capace di cogliere le vibrazioni del Maestro nella consapevolezza di plasmare e far crescere dentro di sé la dialettica del linguaggio prezioso che la genialità del coreografo le infonde. Cébron, incantato dalla sua intelligente dovizia e dalle sue capacità interpretative, le regala un assolo, Modèle pour un Mobile, che lei rappresenta a Roma nel 1975 e poi in tournée in Italia, a Vienna e al Festival di Spoleto. Dopo il diploma universitario in Accademia, con la specializzazione in coreografia, Jean Cébron, dicendole che in Accademia non volevano farla danzare nonostante le sue egregie qualità, la vuole in Germania dove lavora per un anno con Susanne Linke e, dal 1978 al 2006, è danzatrice solista e assistente artistica al Tanztheatre Pina Bausch a Wuppertal.

In seno alla Compagnia la Libonati ricopre ruoli importanti che Pina le affida, consapevole dello spessore della sua capacità interpretativa. La Bausch nel gennaio del 1977 compone Blaubart affiancata, nella ricerca del ruolo del protagonista, da Jan Minarik, eccellente artista dalla potente veemenza interpretativa, costantemente rivolto all’osservazione introspettiva nel processo ideativo del personaggio svolto con Pina Bausch. Se Minarik continua a interpretare il ruolo per molti anni, la parte femminile principale, Judith, viene impersonata da diverse danzatrici fino a quando, a partire dal 1979, viene assegnata a Beatrice Libonati.

L’Opéra National de Paris possiede, nel repertorio della Compagnia di Ballo, alcune celebri pièces di Pina Bausch tra cui Le Sacre du Printemps, Orphée et Eurydice e Kontakthof. La stagione 2023/24 ha arricchito il suo programma facendo entrare in repertorio Blaubart, ovverosia Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper “Herzog Blaubarts Burg” (Barbablù. Ascoltando una registrazione dell’opera di Béla Bartók “Il castello del duca Barbablù”): questo il titolo che la coreografa tedesca assegnò alla sua pièce. Il compito di rimontare la coreografia è stato affidato, dalla Fondazione Pina Bausch, a Beatrice Libonati già splendida interprete di Judith, anima ribelle e drammatica della pièce, già da lei ricostruita nel 2020 per il Tanztheater insieme a Jan Minarik, suo marito nella vita, oggi purtroppo prematuramente scomparso. Beatrice Libonati sta lavorando in questo momento a Palais Garnier con la Compagnia francese. Avvicinandola in un suo momento di pausa tra le ripetizioni che si susseguono a ritmo incalzante con grande concentrazione da parte dei danzatori, impregnati nelle atmosfere profonde e cupe dell’opera e nell’assimilare un linguaggio non sempre così familiare, pongo a Beatrice Libonati qualche domanda.

Signora Libonati, credo che l’esperienza di rimontare Barbablù in un contesto professionale diverso da quello del Tanztheater, ovverosia con danzatori formati e avvezzi a dinamiche classiche, comporti la necessità di trasmettere e sollecitare nei ballerini gli stati d’animo che muovono i personaggi: è un lavoro profondo che richiede motivazioni e rivelazioni di forti emozioni. Con quali criteri ha scelto, in un parterre di professionisti eccellenti, i protagonisti della pièce e come ha iniziato, in fase di prova, a presentare la coreografia?
L’anno scorso per selezionare i danzatori più adatti alla pièce abbiamo fatto due audizioni, una durata cinque giorni e l’altra un giorno. In quel frangente mi sono sforzata di far ripetere meno movimenti possibile e di porre loro delle domande con le quali stimolarli a uscire dalle modalità e routine professionali giornaliere. Proponevo delle idee di riflessione e improvvisazione e loro hanno reagito rispondendo, ovviamente, con sequenze molto danzate. Allora ho cominciato a spiegare come volevo che corrispondessero a queste mie richieste e in quale modo, insomma quello di cui necessitavo. Per fare un esempio chiedevo di andare, uno alla volta, nel centro della sala, ridere di botto e, come se nulla fosse accaduto, uscire. Fare una cosa del genere, singolarmente, per loro è stato uno sforzo enorme. Chiedendo ciò e ben sapendo che la tecnica può anche essere un buon nascondiglio nel quale ci si cela per non rivelare sé stessi, volevo capire che tipo di individui fossero, perché sulla scena deve dominare la personalità, specialmente in questo Barbablù: gli interpreti devono interagire con la propria verità, devono esplicitare sé stessi, semplicemente così.

Photo credit © Agathe Poupeney (tranne 7 © Jan Minarik)