L I V E – R E P O R T


Articolo di Monica Gullini

È una luna quasi piena quella che accoglie e benedice gli Air, duo elettropop francese composto da Nicolas Godin e Jean Benoit Dunckel, oggi a Roma per celebrare le nozze d’argento di Moon Safari. Devo fare una confessione: aspettavo questa data da ben otto anni, da quel 2 giugno 2016 in cui non riuscii a raggiungere il Parc Del Forum di Barcellona dove loro suonavano. Giurai a me stessa che li avrei visti e l’Universo, con l’annuncio del tour celebrativo di Moon Safari, mi ha restituito il maltolto. Lode dunque all’Universo che mi ascolta sempre e agli artisti che lo popolano. È una scenografia particolare quella che si apre di fronte ai nostri occhi, un parallelepipedo rettangolare dove la band prende posizione. I tre musicisti, un tutt’uno col candore che li incornicia, accendono i motori della navicella bianca fatta di luci e visuals, accolti da un’ovazione.

Timidamente fanno capolino le primissime note di La Femme d’Argent: il pubblico esplode in un boato. Alla sinistra Benoit Dunckel non distoglie lo sguardo dalle tastiere e dai synth coi quali ha dato inizio alla magia, Godin e le sue linee di basso sono inconfondibili e la batteria si accoda nel finale, con il ritmo che cresce e i tasti che si chetano per poi accogliere con gioia Sexy Boy. Distorsioni, corde che si avvitano, colpi di charleston e rullante inframezzati da voci femminili campionate e maschili robotiche si danno appuntamento qui, in una delle tracce più iconiche e singolari dell’intero disco, dove la sensualità regna sovrana; torniamo alle atmosfere oniriche e sognanti dell’inizio con la delicata All I Need e Beth Hirsch che canta in sottofondo, mentre Godin abbandona per un attimo il basso e torna alle tastiere come il suo compare, sussurrando nel microfono quel mondo fatato e iperuranico che sembra quasi di sfiorare, complici i visuals dai colori caldi e le luci flebili. Kelly Watch the Stars (omaggio alla Kelly Garrett delle Charlie’s Angels) è una ballata elettropop cantata col vocoder e dal ritmo perfettamente scandito, meravigliosa nel suo tappeto di piano: la batteria è precisa e non sbaglia un colpo, Dunckel e Godin spolverano i mellotron da veri maestri e fanno ballare l’intera Cavea.

Scorrono veloci Talisman, Remember (meraviglioso il fraseggio del moog che richiama l’intro di Do It Again dei Beach Boys) e You make It Easy: sullo sfondo lampi di luce, flebili bagliori e colori caldi e freddi ammantano tutto di un’aura sognante. Il duo alterna sintetizzatori a corde e l’uomo del controtempo alle loro spalle si affida sporadicamente al pad a lato, mentre Ce matin là albeggia surreale e New Star in The Sky, costellata da bagliori colore fucsia e luci accecanti, sfuma delicatamente nel finale. Ecco che termina il viaggio nello spazio e il trio si appresta a eseguire la traccia finale di Moon Safari, Le Voyage de Penelope: il tremolio del Korg MS 20 racchiude l’intero spirito del synthvintage che venticinque anni fa spinse i due musicisti francesi a comporre un album rimasto negli annali della musica elettronica. Alcuni la chiamano easytronica, poco importa agli Air, che con un timido sorriso abbandonano la navicella bianca e spariscono dietro le quinte.

Giusto il tempo di levare una flebile protesta che riappaiono, ed è un tuffo nel passato della band, a partire dai vecchi successi come Radiant e Venus, passando per la tenerissima e soffusa Cherry Blossom Girl, per la quale Godin sfodera nuovamente la chitarra acustica immerso in uno sfondo rosa, e la frenetica Run, perfetta nei controtempi, nei bagliori elettronici e nei lampi che si rincorrono l’uno l’altro. Sulle note di Highschool Lover (che richiamano The Great Gig in the Sky) la Cavea ha un sussulto. Dunckel, le mani sulla tastiera, declina dolcemente affinché il suo socio arpeggi con l’acustica; torna sul palco il batterista e il pubblico lo acclama a gran voce senza distogliere lo sguardo dall’inquadratura. Nel frattempo Nicholas ha imbracciato il basso e tesse linee eteree e sognanti che sembrano fondersi con quelle orizzontali della sceneggiatura. Il trio abbandona nuovamente il palcoscenico ma la fuga è brevissima: il secondo bis annovera in scaletta uno dei pezzi iconici della band, Alone in Kyoto, perfetta rarefazione cinematografica, ed Electronic Performers, brano dal marcato respiro kraftwerkiano.

Il trio fugge dalla navicella, sporgendosi sul palco in numerosi inchini e sfoggiando sorrisi di soddisfazione: quel cielo, che muove il sole e le altre stelle, stasera ha accolto musicisti straordinari, ispirati, che hanno guidato perfettamente la loro astronave tra i meandri del tempo e dello spazio. L’Universo toglie, l’Universo dà, ripeto spesso. Bisogna solo avere fiducia e pazienza, tanta pazienza. E invocarlo ogni tanto, perché tutto ascolta e tutto restituisce, specie se come stanotte il cielo splende di una luna piena scintillante.

Photo © MUSA/Fondazione Musica per Roma