R E C E N S I O N E


Recensione di Monica Gullini

Ci sono due Annie Clark in All Born Streaming. La prima rispolvera il suo repertorio degli esordi, dandogli un suono più industrial, affidandosi a collaboratori illustri e adagiandosi un po’ sugli allori. La seconda invece tira il freno a mano, si esibisce in uno spettacolare testa coda e ci regala, dalla metà in poi, un lavoro eccezionale. Voglio essere sincera: i primi pezzi mi hanno un po’ annoiato. Ok il suono alla Nine Inch Nails, ok Grohl alla batteria, ma non basta appellarsi al proprio passato e alla maniera di modulare la voce che la rende sempre più simile a Madonna che a se stessa. Quindi no, non parlerò dei primi brani in modo appassionato, sono sì piacevoli da ascoltare, strani e oscuri il tanto che basta per intrigare, ma da lei mi aspetto di più. E fortunatamente l’asticella viene alzata. Quel disco presentato agli onori della cronaca come l’emblema del superamento dei propri limiti nel suo prosieguo non delude affatto le aspettative. Bisogna solo avere pazienza e lasciare che Ms Clark dia fuoco alle polveri e faccia letteralmente deflagrare i motori.

Hell is near tira in ballo nientepopodimeno che Beck Hansen e le sue fascinazioni odeleyane ed è costruita interamente sopra una notevole linea di basso, Reckless è una ballatona dalla voce flautata che esplode nella seconda metà, complice una coda sintetica che lascia intravedere quale cammino ostico e irto di pericoli abbia imboccato l’artista statunitense. Broken Man ospita dietro la batteria un Dave Grohl che colpisce senza pietà e risente di una influenza marcatamente industrial, in linea col fuoco che divora le braccia della nostra beniamina nel video del singolo e sulla copertina dell’album; Flea mostra un’anima sfaccettata, a tratti pop suonata dalla migliore band stoner, prog verso la metà con un meraviglioso intermezzo alla Yes. St. Vincent alla chitarra è sempre maestosa e le liriche si completano perfettamente con la voce sussurrata nelle strofe e sempre più alta nel ritornello e con Grohl che pesta sulla batteria. Big Time Nothing è il primo segnale dell’abbandono delle scene malinconiche e languide del principio per abbracciare quei riff che hanno reso la musicista di Tulsa iconica e che ricordano molto da vicino la genialità di un certo folletto di Minneapolis. Il basso e il ritmo accelerato rendono il brano accattivante e molto orecchiabile, quasi come fosse il figlio di Masseduction e St Vincent arricchito di una vena funky assai marcata e di coretti porpora come la pioggia (mi è venuto persino da cantare Del Rio, pensate un po’!). È però con Violent Times che All Born Streaming raggiunge uno dei suoi picchi più alti. Se con Big Time Nothing sono andata in brodo di giuggiole, qui ho veramente strabuzzato gli occhi. Ho amato tutto, la voce sinuosa ed elegante di Annie, provetta Shirley Bassey di goldfingeriana memoria, l’incedere quasi militaresco con alcuni echi di The Forest Awakes e moltissimi di Lightning di Love this Giant della premiata ditta Clark-Byrne, il cantato sul finale disperato e tragico come l’annuncio di una sciagura imminente mentre in sottofondo la melodia assomiglia sempre più a un treno in corsa. Spingersi oltre il vuoto per superare i propri limiti è ciò che si dovrebbe fare, è ciò che è giusto fare, sembra quasi emergere da ogni nota. D’altronde, cosa aspettarsi da una che ha scelto come nome d’arte quello dell’ospedale dove morì per “un insulto al cervello”, durante il suo quinto tour americano, Dylan Thomas, uno dei poeti più dissoluti, geniali e coraggiosi del secolo scorso?

The Power’s out mi ha commosso sin dal principio col suo chiaro omaggio di batteria elettronica a Five Years di Bowie: la struttura della canzone segue quell’ispirazione e prende vita mimando scene e azioni del ventunesimo secolo, fino a portarci in un luogo infestato dai Beach House e dai Joy Division, con qualche incursione dei Cocteau Twins. C’è una chiara influenza dream pop / gothic rivisitata in chiave St Vincent. “It was pouring like a movie, every strange looked like they knew me“, canta Annie; “and It was cold, and It rained, so I fell like an actor“, le fa eco l’uomo che cadde sulla terra. Sorella separata alla nascita da Rattlesnake (di nuovo l’omonimo album del 2013) è The Sweetest Fruit, brano che paga pegno alla genialità della scomparsa SOPHIE nei beats e nei campionamenti da videogioco, che sfumano in un finale dal vago sapore closeriano. Il pop sintetizzato e cinetico fanno da intro a So Many Planets, pezzo dal sapore reggae in cui una meravigliosa St. Vincent è alla ricerca di un pianeta che la accolga e le faccia dimenticare il rosso che cola nel lavandino, a metà tra Police e Culture Club, ispirazione che ritroveremo poco più avanti, in All Born Streaming, title track che chiude il disco. Funky, electro – pop, art rock, venature alla Talking Heads con rimandi ai Depeche Mode, un outro che strizza l’occhio ai Polyphonic Spree e una coralità che cresce in un finale sorprendente. Il tutto condito dalla sapiente mano di Cate Le Bon (immensa alla produzione di Flying Wig di Devendra Banhart: la trovate qui), che per l’occasione torna a uno dei suoi primi amori, il basso: la malinconia e la struggente amarezza dell’inizio vengono completamente sovvertite e Annie rinasce dalle sue ceneri dopo un incendio che devasta e purifica.

In diverse interviste la musicista di Tulsa ha dichiarato di aver oltrepassato i propri limiti con questo nuovo lavoro, e in gran parte è vero. Se nelle prime tre tracce ci sono rimandi continui al passato cantautorale di Marry Me vestiti di una patina cicconiana, languidi nei versi improntati a una visione dell’amore che infetta e memori di un passato per niente rassicurante (le calendule restano lì, nella tazza di Hell Is near, a simboleggiare che la tristezza non risparmia nessuno, neanche una delle chitarriste più dotate della sua generazione), dalla quarta traccia Ms Clark imbocca una strada molto più felice e affronta generi a lei molto più congeniali, in cui riesce a esprimere al meglio il suo talento per la sei corde. Forte di un bagaglio musicale eccezionale maturato al fianco di artisti iconici come Byrne e di una identità che sembra vacillare solamente all’inizio, St. Vincent si offre al mondo al pari di una divinità bifronte in tutta la sua lucida bipolarità. La malinconia dei primi brani, complice il tormento di un’artista che a stento riconosce se stessa, svanisce di fronte a una Annie che grida a tutti di essere tornata – con fatica – e di non voler arretrare neanche di un passo. Perciò ben venga il ritmo frenetico che aleggiava su Masseduction, ben vengano le sue sclerate e le sue schitarrate selvagge e patinate, io la amo quando grida sia per piangersi addosso che per affermare se stessa. In fondo, tutti siamo nati urlando, ce lo ricorda sin dal principio. Perché contraddirla?

Tracklist:
01. Hell Is Near (4:08)
02. Reckless (3:57)
03. Broken Man (3:21)
04. Flea (3:46)
05. Big Time Nothing (2:58)
06. Violent Times (3:57)
07. The Power’s Out (4:38)
08. Sweetest Fruit (3:55)
09. So Many Planets (3:35)
10. All Born Screaming (6:55)

Photo © Alex Da Corte