R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Dice cose sagge, il chitarrista bresciano Marco Tiraboschi, in un’intervista rilasciata a Bresciapuntotv e recuperata in un vecchio video su YT. E cioè che gran parte della musica moderna tende oggi a mescolare molti linguaggi diversi, alcuni dei quali provenienti da antiche tradizioni popolari, magari utilizzando il jazz come vettore comune. Tiraboschi, diplomatosi al conservatorio di Brescia, comincia la sua esperienza nel gruppo Etnikos dal 2002 – con Davide Bonetti alla fisarmonica, Enzo Santoro al flauto e alla voce e Beppe Gioacchini alle percussioni – dove l’orientamento verso le musiche tradizionali, mediterranee e medio-orientali, costituiva l’anima programmatica del quartetto. Nel 2012 il chitarrista appare per la prima volta in un album del contrabbassista Simone Prando – purtroppo scomparso nel 2020 a soli 35 anni – / ‘Kasa /. Ma la sua prima esperienza discografica, diciamo più organica, la possiamo recuperare in Chutzpah (2013), album in cui, oltre allo stesso Prando, troviamo Gino Zambelli come fisarmonicista. Forse è proprio in questo contesto che il richiamo e l’interesse verso le musiche etniche sono diventati ancora più evidenti ed espliciti di quanto già non fosse in precedenza. Nell’ultimo In a New World, Tiraboschi non solo conferma il suo orientamento musicale ma dimostra al di là d’ogni dubbio le sue capacità compositive, dato che nove brani su undici portano la sua firma.

Accanto alle chitarre – l’Autore ne suona vari tipi che successivamente proverò a descrivervi – troviamo il conterraneo Giulio Corini al contrabbasso, membro del collettivo El Gallo Rojo e alle spalle una lunga serie di collaborazioni con diversi artisti quali Stefano Battaglia, Tino Tracanna, Sandro Gibellini, Emanuele Maniscalco ed altri ancora. Agli archi, violino e viola, c’è Daniele Richiedei che con lo stesso Corini ha realizzato in autoproduzione Duo Imperfetto (2022). Ad affiancare questo triangolo di base, troviamo altri due musicisti del calibro di Javier Girotto al sax soprano e ai flauti e Marc Ribot alla chitarra elettrica. Completa la formazione Alessandro “Asso” Stefana, che oltre all’apporto percussivo, ha contribuito alla registrazione e al mixaggio dell’album. L’ascoltatore che per la prima volta s’accosta alla musica di Tiraboschi e dei suoi sodali si troverà di fronte a un jazz utilizzato ed interpretato come forma sintattica comune, una struttura linguistica usata come denominatore delle varie suggestioni ed esperienze musicali raccolte da diverse parti del mondo. Ma ovviamente, come accade in ogni linguaggio, a seconda di come si combinino tra loro le componenti grammaticali, il risultato ottenuto può variare in base alla logica e alla fantasia utilizzate. I dialoghi spiraliformi ed evocativi, le tinte etniche trascoloranti e i numerosi guizzi timbrici sono segnali di un’espressività che vuole abbracciare luoghi geografici anche lontani per trasmettere un’idea di appartenenza comune, cercando una condivisione, per usare un termine alla moda, basata sul valore delle emozioni fondamentali, quelle che uniscono gli esseri umani connettendoli alle loro autentiche dimensioni interiori. Quindi questo viaggio musicale percorre il mediterraneo fin oltre i Balcani, spingendosi al medio-oriente e all’Africa e addirittura oltreoceano, toccando anche corde – è il caso di dirlo in questo contesto – che portano con sé vibrazioni della tradizione chitarristica classica europea e contemporanea – come accade ad esempio nella rivisitazione del brano dei King Crimson, Frame by Frame. La musica di Tiraboschi non è una semplice new age rivitalizzata da qualche nota blu, nemmeno potrei definirla con un termine di comodo come etno-jazz – che tra l’alto è una definizione tautologica, dato che ogni musica tradizionale è di per sé strutturata su ampia forma improvvisata… Il modo di suonare dell’Autore è completamente indifferente al virtuosismo e la tecnica utilizzata appare immediatamente conforme all’essenzialità espressiva. Il suono prodotto dal gruppo non è un luccichio abbagliante, per intenderci, né un’intellettualistica dichiarazione d’intenti ma un’irradiazione dolce e progressiva, rispettosa e attenta alla dimensione timbrica dei vari cordofoni, archi compresi, sui quali volteggia a tratti il pregiato soprano di Girotto.

Due parole sull’ampio parco di chitarre usate da Tiraboschi. La chitarra ibrida, ampiamente utilizzata nella maggior parte dei brani dell’album, è una chitarra elettrica che, oltre alla propria tipica sonorità, possiede un pick-up in grado di offrire le analoghe prestazioni tonali di una chitarra acustica. L‘archtop electric guitar è anch’essa uno strumento elettrico ma più frequentemente si tratta della classica semi-acustica, con forma curvilinea più violinosa, ricercata in ambito jazz per la sua sonorità generalmente maggiormente ovattata. L‘infinite guitar è sempre uno strumento elettrico dove un circuito esterno, avvicinato ai pick up, induce un sustain sonoro che può durare per un tempo anche indefinito, a piacere e a controllo ovviamente dello strumentista. Inoltre Tiraboschi utilizza in questo album l’oud, l’antesignano arabo del nostro liuto rinascimentale.

Brano d’inizio è 00:21, numero che sembra rappresentare il segnale digitale di un orario notturno, con il suono di una kora – o dell’effetto che la riproduce – ad introdurre la melodia che verrà, frutto di una sovrapposizione tra violino e sax soprano. Al cessare di quest’ultima, la musica tende a concentrarsi sulla chitarra e sul contrabbasso, con qualche percussione di sottofondo. Riappare il violino a scivolare suadente sul fraseggio di Tiraboschi, con un’improvvisazione che richiama alla mente una qualche sonorità tzigana. Giunge poi il sax di Girotto con un assolo esattamente a mezza strada tra l’impostazione jazz e qualche reminiscenza balcanica. Ricomponendosi la coppia violino-sax soprano, ritorna in auge, prima della fine del brano, la melodia impostata nella fase iniziale. Natus si dondola letteralmente su un arpeggio di chitarra sopra la quale s’adagia una sequenza molto delicata di note, frutto della collaborazione tra la viola di Richiedei e la voce del soprano di Girotto, con il contrabbasso di Corini a legare il tutto. Poi, tramite la partecipazione dell’infinite guitar, tra un lieve ribollir di flauti, Tiraboschi imposta un assolo in forma modale, interrotto a tratti da un handclap a mo’ di contorno di danza gitana. Il contrabbasso imposta un riff di base su cui la viola trova la sua fase improvvisativa, dialogando in sottofondo con il sax. Il brano si chiude con la ripresa del motivo melodico gestito da Richiedei e Girotto, disteso sull’onnipresente trama di chitarra. An Empty Garden inizia con qualche valenza che ricorda in parte alcune atmosfere di Ry Cooder e per altro verso, soprattutto per l’arrangiamento degli archi e per l’uso dei pizzicati, la Penguin Cafè Orchestra. Per l’uso che fa Marc Ribot della chitarra Fender giocando sui vibrati, il clima si stabilizza al confine tra USA e Messico. Il brano è tra i più orecchiabili e tutto sommato, proprio per la sua apparente semplicità rispetto ai precedenti, si fa apprezzare con la sua rapida e piacevole assimilazione. El Suadente resta in ambito latino ma si sposta più a sud, verso l’Argentina, con un tangaccio arricchito da insoliti interventi di sapore orientale. Contrabbasso e chitarra, questa volta l’archtop, s’allacciano in questa danza dalle timbriche intime e colorate di jazz. Quasi irridente, il violino aleggia attorno a questa coppia di strumenti con un assolo splendido, cercando di conquistare la loro complicità. Anche questo brano ha una presa immediata e devo dire che il connubio latino-medio orientale, pur se viene tutto sommato accennato in non più di un paio di rapidi passaggi, lascia una singolare impronta di sé. La Nuit Parisienne si avvale di un’atmosfera danzante nord-africana che germoglia da un’introduzione un po’ misteriosa, con il fiato di Girotto a innescare i tempi del ballo e quelli dei cambi di passo. Molto attivo il contrabbasso che introduce una lunga improvvisazione modale in cui lavora insieme alla chitarra e al violino. Arriva anche l’assolo di soprano, condotto con la solita, fluida maestria che da sempre compete a Girotto. Si va a chiudere andando a riallacciarsi ai ritmi della danza iniziale. Intro è un breve intermezzo composto e suonato da Girotto al quena, meglio conosciuto come flauto andino.

Past Change sposta gli equilibri dalla parte opposta del mondo con il suono caratteristico del pianoforte del deserto, come viene chiamato l’oud in medio-oriente. Introduzione al contrabbasso che precede l’affacciarsi dello stesso oud tra la fioritura di sax e violino che camminano inizialmente all’unisono, per poi misurarsi in gradi diversi nell’accompagnare lo strumento di Tiraboschi. Il brano viaggia tra momenti più intensi ed altri più contratti in cui il contrabbasso di Corini trova momenti di solismo, alternandosi all’oud, accompagnato dalle percussioni. Grande, dinamico assolo di Girotto che chiude in accecante solarità. In a New World è dedicata allo scomparso Prando con cui Tiraboschi ha condiviso amicizia e progetti professionali. Come si può immaginare siamo in un contesto tranquillo e un po’ nostalgico, condotto soprattutto nelle fasi iniziali dal rapporto chitarra-contrabbasso. Ben presto la viola e il sax soprano trovano il loro spazio, alternandosi con il lungo soliloquio chitarristico dell’Autore. Momenti di accattivante dolcezza negli scambi tra chitarra ed archi, con l’intensità della melodia che riesce quasi ad aprire una spaccatura nel Tempo da dove possano emergere i ricordi migliori. Ed eccoci ora alla ripresa di Frame by Frame dei King Crimson, brano del 1981, originariamente composto con la preponderante impronta del chitarrista Adrian Belew. Molto coraggiosa è stata la scelta di lavorare su questo pezzo che nella versione di Re Cremisi si manifestava come un’autentica tempesta sonora. Ovviamente nella versione di In a New World manca il canto e intelligentemente Tiraboschi evita una mimesi complicata stravolgendo, è il caso di dirlo, la linea originale e adattandola all’impianto acustico di cui dispone. Il brano acquista più respiro, dilata i suoi tempi interiori trasformandosi in un quasi- swing in cui l’Autore dimostra un efficace assolo alla chitarra, avvolto dalla rete di note basse di Corini. Anche violino e sax hanno il loro momento di gloria ed è soprattutto Girotto a rimarcare con gran classe il suo intervento. Un Respiro è stato composto durante il lock-down del 2020 e si sviluppa inizialmente su una frase reiterata di contrabbasso e chitarra su cui si distende una linea melodica imbevuta di profonda malinconia. Sax soprano e il flauto moxeno – un altro modello di strumento andino appaiono insieme in una sovra-incisione ed è presente anche l’oud in assolo. Grande spazio anche al violino che accentua i toni drammatici dell’intera composizione. Sher, ultimo brano della selezione, riporta l’attenzione al mondo latino con un suono di chitarra alla Al Di Meola. Echi di Piazzolla, ombre tanghere, contrabbasso, violino e sax soprano uniti nella sensualità di un intreccio all’insegna di fremiti sentimentali.

Il contesto mobile di questo album, coi suoi numerosi assoli e cambi di orientamento geografico, ci offre la sintesi personale di una lettura sulle tradizioni di mezzo mondo ma filtrate da una sensibilità jazzistica che accomuna tutti i musicisti presenti in questo album. L’incedere seducente di alcune melodie, il moderno cross-over operato con spontaneità e gli arrangiamenti fluidi sono indicatori di un lavoro ben realizzato. Inoltre sono sempre stato convinto – ma questo è solo un’osservazione personale – che una maggior attenzione alla musica tradizionale, da qualunque parte essa provenga, ci suggerisca delle linee archetipiche sul comportamento emotivo degli esseri umani.

Tracklist:
01. 00_21
02. Natus
03. An empty garden
04. El suadente
05. La nuit parisienne
06. Intro
07. Past change
08. In a new world
09. Frame by frame
10. Un respiro
11. Sher

Photo © Matteo Marioli (1,2) e Fotolive (3)