E V E N T I – D E S I G N


Articolo e immagini di Mario Grella

Nel 1976 Bruno Munari in un indimenticabile intervento alla Televisione della Svizzera Italiana (per altro ancora visibile su YouTube), affermava che sarebbe stato opportuno assegnare un compasso d’oro (il più prestigioso premio di design che si assegna in Italia) ad ignoti, per la genialità e la bellezza di alcuni semplici oggetti della vita quotidiana. Tra gli oggetti che Munari elencò c’era il fiasco. Perché il fiasco era così geniale e conseguentemente, (ma solo conseguentemente), bello? Perché era un oggetto “logico”, di una materia semplice (e memorizzate il termine “materia”) che si adattava alla natura (e memorizzate “natura”). Il fiasco di vetro, assumeva la forma naturale dalla soffiatura del vetro che uscendo dalla cannula dove il vetraio soffiava si allargava nella forma di una grande goccia. Questo faceva sì che il vetro si assottigliasse, ma rimanesse dello stesso spessore in tutte le parti. Un’altra materia, molto semplice e di derivazione diretta dalla natura, la paglia andavano a completare l’oggetto. Grazie alla paglia il fiasco stava in piedi e le gocce di vino, che eventualmente potevano colare dal collo del fiasco, sarebbero stata assorbite dalla paglia: facile da impugnare, sicuro (la paglia protegge il vetro dagli urti), poco costoso e, quindi, per le concezioni del design delle origini, bello.
Il titolo del Fuorisalone 2024, colossale manifestazione collaterale alla Fiera del mobile di Milano, conclusasi a scorsa settimana, era quest’anno Materia Natura, temo però, anzi ne sono sicuro, che il senso delle parole di Bruno Munari sia un po’ andato perduto.

La manifestazione milanese, nel corso degli anni, è diventata qualcosa di gigantesco, con molti eventi e installazioni, anzi moltissimi, quasi direi troppi, e spesso, anche superflui o comunque la cui attinenza col design e col tema dato è pari a zero. Quest’anno, vista la assoluta impossibilità di visitare, non dico tutto, ma nemmeno la decima parte di quanto esposto, ho optato per una zona in cui il Fuorisalone nacque un po’ di anni fa, ovvero Via Tortona. Lo scorso anno mi ero dedicato al collettivo Alcova e al solito percorso Statale-Brera, un po’ troppo mainstream per i miei gusti. Se questa volta qualche pregevole spunto e variazione sul tema Materia-Natura l’ho trovato, è giusto dire che, anche qui, nel quartiere alternativo e creativo per antonomasia, materia e natura spesso sono solo dei pretesti, anzi, nemmeno quello, e i designer (ammesso che si tratti ancora di designer) si fanno bellamente gli affari loro che consistono principalmente in un esercizio del commercio dei propri prodotti, siano esse piastrelle o essenze di profumi, sigarette elettroniche o maglioncini. Insomma ho l’impressione che al Fuorisalone ormai il design è un convitato di pietra e che i veri protagonisti delle manifestazioni siano il marketing, le installazioni, gli eventi e magari anche un po’ gli aperitivi (anzi “apericena” come amano chiamarli i milanesi fighetti). Niente di male per carità, ma devo ammettere che questa manifestazione, svuotata del suo vero significato, mi piace sempre meno.

Tra le migliaia di insignificanti banalità che ho visto, come in ogni regola, ho trovato delle eccezioni, anzi devo dire che di eccezioni ve ne erano più d’una. Nella mia zona di pertinenza, il BASE è certamente una garanzia, centro culturale e collettivo creativo che ha sede presso l’ex Ansaldo accanto al MUDEC il Museo delle Culture. È in questa gigantesca pancia di balena che ci si riconcilia un po’ la manifestazione, poiché è qui che vengono mostrati oggetti e creazioni che più si avvicinano a quel concetto di design così rivoluzionario che Bruno Munari e tanti altri designer italiani andavano propugnando, in quel periodo, così fertile per le arti visive e applicate. Di grande interesse per esempio è Design accross the Borders in time of global crisis presentato dall’Università di Firenze e dal DIDA (Dipartimento di architettura) con una serie di studi e di realizzazioni di oggetti e sistemi coerenti col concetto di “sviluppo sostenibile” del quale tutti ormai parlano e pochi realizzano. Altrettanto degno di attenzione Biowooddesign progetto slovacco di utilizzo responsabile del legno e di alcuni suoi derivati. Spostandosi di poche centinaia di metri, molto interessante lo spazio di Opificio 31 con qualche bella intuizione, ma poco di assolutamente originale. Qualche atelier di grande fascino come lo studio di Paola Navone, dove l’art director Corina Jucan ha allestito una parete di 5.000 oggetti disposti nel suo caratteristico stile pittorico che vanno a formare una gigantesca parete  di colore sfumato e fatta di vasi in ceramica e vetro della metà del secolo, libri antichi, bottiglie di seltzer e molti altri oggetti unici. Lo spazio funziona sia come negozio che come installazione vivente in continua evoluzione: gli oggetti vengono sostituiti e spostati per tutta la durata dell’evento in collaborazione con l’atelier All’Origine di Imola. Naturalmente questo punto di vista sul Fuorisalone è assolutamente parziale e prende in considerazione solo una piccola parte della colossale manifestazione milanese e sarebbe del resto praticamente impossibile render conto di tutti gli oltre milletrecento appuntamenti e spazi espositivi. Per chi se lo fosse perso e volesse approfondire lo può fare ancora sulla pagina ufficiale della manifestazione che comprendono già anche il vasto programma del prossimo anno.